L'inverno russo
- Scritto da Sergio Tavčar
Salve! E’ da tempo che non scrivo e ci sarebbero tante cose da commentare. Come sapete voi che mi conoscete la pigrizia filosofica è una delle mie caratteristiche delle quali vado più fiero e dunque, avendo in questi tempi olimpici preso un impegno con il Primorski Dnevnik (per i nuovi del blog è il quotidiano in lingua slovena della minoranza slovena in Italia) per un pezzo quotidiano di commento, ho ritenuto che spremermi il cervello una volta al giorno per trovare qualcosa di intelligente da scrivere fosse un impegno gravoso quanto bastava e dunque non avevo né motivazioni né voglia per scrivere qualsiasi altra cosa. Ora le Olimpiadi sono finite e posso rituffarmi nella routine, chiamiamola così, anche se non voglio essere frainteso, in quanto scrivere e sapere che in molti mi leggete mi dà non poca soddisfazione, lo ammetto.
Voglio subito cominciare con una cosa difficile e fare una specie di quadruplo mortale carpiato (3,2 di coefficiente, mi sembra) accoppiando due storie che apparentemente non c’entrano assolutamente una con l’altra. La prima è la situazione politica e militare con l’attacco della Russia all’ Ucraina. In Occidente non si riesce a capire in realtà cosa voglia Putin provocando in questo modo gli americani e tutti i suoi satelliti, UE in primis (che l’Europa sia un satellite politico dell’America che è stata quella che l’ha creata, alla fin fine, non credo sia confutabile in modo serio). A me onestamente, conoscendo un po’ i russi anche e soprattutto per come si comportano in campo sportivo, che sono uno dei pochi a non sottovalutare, in quanto è proprio nello sport che vengono fuori le caratteristiche più profonde e radicate di un popolo, la cosa sembra molto chiara.
Un basket che mi suona bene!
- Scritto da Sergio Tavčar
Sono tempi di Olimpiadi invernali e di (ahimè per me) Sei Nazioni di rugby, per cui immagino che la vostra attenzione, soprattutto dei rugbisti “diehard”, sarà spalmata su vari poli di interesse. Per quanto mi riguarda, con le Olimpiadi che si disputano dall’altra parte del mondo, in un ambiente letteralmente asettico in tutti i sensi, con gente maledettamente forte che non potrà gareggiare causa Covid (tipo la povera Marita Kramer, che per chi non lo sapesse, è una fenomena austriaca del salto), e dunque con un evento che seguirò con molta minor partecipazione rispetto al solito, concentrandomi principalmente su quanto faranno i saltatori sloveni (e se il bel giorno si vede dal mattino…), Anamarija Lampič e le sciatrici italiane (sperando che Sofia Goggia ce la faccia), e con il rugby che, come sapete, è per me uno degli sport situato ai posti più bassi della classifica dell’interesse per quelli che esistono e di cui sono a conoscenza, mi succede che, incredibilmente, sono molto più focalizzato sul basket di quanto pensassi che avrei potuto esserlo. Chiaramente dell’NBA non potrebbe fregarmi di meno, soprattutto adesso che stanno organizzando quell’immonda kermesse circense denominata All Star Weekend, il campionato italiano è quello che è, il quinto-sesto fra i campionati nazionali europei (Spagna, Russia, Turchia, Grecia sono sicuramente molto meglio, probabilmente meglio sono anche Germania e Francia, per non parlare dell’ ABA e della Lega baltica che sono a parte – basta vedere le scelte degli stranieri e cioè dove vanno per prima cosa quando vengono in Europa), per cui è difficile vedere basket di qualità, mancando proprio i protagonisti, essendo i giocatori, inutile negarlo, di terza fascia europea, ma l’Eurolega in questi ultimi tempi mi sta offrendo partite di una qualità che non pensavo di poter vedere in questo A.D. 2022.
Isole di resistenza
- Scritto da Sergio Tavčar
“Giocano diversamente perché sono cambiate 1000 cose, il risultato potrà anche non piacere ma infangarli con le peggiori offese (tipo 'circo') mi pare una dimostrazione di grossi limiti nel decifrare la realtà attuale e d'altro canto mitizzare una sorta di Arcadia dei campionati anni 70 - 80 (dove anche lì c'era un sacco di gente che si palleggiava sui piedi: non mi pare che la casella delle palle perse fosse sempre a zero) mi pare un errore ancora più marchiano. Ma tant'è...”
Riporto tali e quali le frasi di Stefano che ha già riportato Edoardo per mettere anch’io fine alla diatriba che ha ormai stancato un po’ tutti. Voglio solo ribadire alcune cose e chiarire alcune altre. Onestamente mi sento un tantino offeso per l’accusa di essere un patetico passatista che parla di fantomatiche Arcadie. Ho solo un’età, permettetemelo, per parlare di alcune cose con maggior cognizione di causa di persone nate qualche decennio dopo di me e dunque chiunque nato in quel lasso di tempo dopo di me non ha esattamente nulla da insegnarmi se non considerandomi uno scemo. Che non credo di essere.
I materiali di Dante
- Scritto da Sergio Tavčar
Siamo sotto feste e dunque anche voi avete più tempo per intervenire. Ho letto con molto interesse la discussione sullo sport di una volta rispetto a quello di adesso in relazione allo spaventoso cambiamento dei materiali che da attrezzi sono diventati braccia robotiche cibernetiche. Avete parlato di tutti gli sport in cui ciò è accaduto senza menzionare ovviamente uno sport che piace a me e che voi non calcolate, parlo del golf. A me capita che invece di Jack Nicklaus o Arnold Palmer o Gary Player o Tiger Woods, se volete, mi capiti di dover vedere le vittorie di forzuti bruti tipo Bruce Koepka o soprattutto del giocatore da me in assoluto più odiato omnisport, e cioè Bryson DeChambeau, al confronto del quale anche uno come Koepka sembra un sopraffino ricamatore. E inoltre avete trascurato tutto il campo degli sport invernali, nei quali i materiali e le piste sono componenti fondamentali. Vi siete mai chiesti cosa farebbe un Paris se dovesse gareggiare con ai piedi gli assi di una volta calzato con scarponi improbabili attaccati agli sci con stringhe e corde varie e sulle piste piene di gobbe senza protezioni di alcun genere come faceva Zeno Colò? O se Kobayashi dovesse saltare dal trampolino vestito con un maglione di lana e pantaloni alla zuava? Ragion per cui capisco perfettamente il vostro discorso e sono d’accordo con Roda (vedi che abbiamo trovato una cosa in comune – amici come prima?) che l’unica cosa che importa è quella se ci piaceva prima o più adesso.
Tanti auguri arrabbiati e felici!
- Scritto da Sergio Tavčar
Finalmente! Eureka! Ci siamo!
Sono estremamente contento della vostra reazione al mio ultimo post. Avete evidentemente compreso che era stato scritto di “pancia”, in preda a una forte momentanea emozione (e rabbia nonché, mi scuserete, disgusto), per cui i vostri commenti sono stati tutti civili, ma soprattutto pertinenti al tema. Che Roda sia nel merito (per il resto rimane una bravissima persona e, spero, un amico) ormai un caso incurabile è ormai assodato (sembra un no-vax che protesta per partito preso e per non perdere la faccia), per cui lo do per disperso nella nebbia, ma gli altri mi siete piaciuti tutti. Ovviamente un grazie particolare va a Boki che (ero sicuro) mi ha appoggiato avendo la mia stessa storia linguistica in famiglia e dunque sa benissimo di cosa parlo, ma che lo ha fatto dall’alto dei suoi studi e delle sue conoscenze che mi hanno insegnato cose che non sapevo (che esistesse anche la versione POgačar è stata una novità) e già che ci sono gli faccio una domanda sull’argomento dello spagnolo parlato nelle “colonie” americane, spagnolo più arcaico di quello moderno.
Nel nome del rispetto
- Scritto da Sergio Tavčar
È la prima volta che lo faccio, ma stavolta proprio non ne posso fare a meno. Vorrei subito stoppare la discussione che immagino verterà sulle considerazioni di Pado e Roda, persone che stimo tantissimo e con le quali ci conosciamo e apprezziamo già da tanto tempo, anche per le sconvenscion bellissime che abbiamo passato assieme.
Semplicemente la discussione che hanno cominciato è totalmente, perfettamente fuori tema rispetto a quanto volevo dire io. Quanto dicono mi trova perfettamente d’accordo con loro, solo che non è questo il punto. Per dire quanto mi trovo d’accordo basti l’accenno che faccio nel post alla pronuncia di Macura alla americana che, ripeto, mi fa sbellicare dalle risate. E Dellavedòva dove lo mettete? Tanto per dire. Ricordo fra l’altro che agli inizi della mia carriera commentai da seconda voce i Mondiali di calcio del 1974. Nella Svezia giocava un’ala di nome Sandberg che io, nel mio zelo da neofita, per tutta la telecronaca chiamai, come in effetti era, Sandberj. Il giorno dopo incontrai per strada amici miei che per prima cosa mi risero in faccia. “Dai, Sergio, per favore, smettila di farla fuori dal vaso! Chi vuoi che ti prenda sul serio con il tuo Sandberj?”. Capii al volo l’antifona e potete stare sicuri che i nomi svedesi, Borg compreso, da quel momento in poi li ho sempre pronunciati alla nostra. E non ho mai detto Joeteborj se non come curiosità per dire agli spettatori come gli indigeni chiamano la loro città (magnifica fra l’altro, ci sono stato).
Tiratori imparati e pronunce da imparare
- Scritto da Sergio Tavčar
Ho veramente tanta roba da dire dopo che nei vostri commenti avete toccato un’infinità di argomenti che non saprei da dove cominciare. Lascio le mie riflessioni sui tiratori metafisici per la fine, così che forse leggerete anche il resto.
Comincio con una nota di cronaca che forse non vi interessa, ma ieri si è svolta la cerimonia della consegna dei premi per lo sportivo dell’anno in Slovenia. Ha vinto ovviamente Tadej Pogačar davanti a Primož Roglič con Luka Dončić terzo (!) per un’incollatura (!) davanti alla medaglia d’oro olimpica nella canoa fluviale Benjamin Savšek. Che è dunque giù dal podio pur avendo ottenuto un successo straordinario per un Paese piccolo come la Slovenia. Come a dire troppa grazia Sant’Antonio. Fra le donne ha vinto ovviamente a mani basse spiderwoman Janja Garnbret, altro oro olimpico, mentre fra le squadre c’era da scegliere fra i quarti alle Olimpiadi, i cestisti, e i vicecampioni d’Europa della pallavolo. Anche qui niente male, che ne dite? Hanno vinto, come è solo normale, i cestisti.
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