Giornata di riposo per il nostro girone ieri e anche per quello della Slovenia, per cui non ci sono stati stress. C'è stato di sera in centro l'incontro promosso dalle massime autorità politiche sotto la spinta del Forum italo-sloveno, un gruppo di persone della società civile che si è prefisso lo scopo di contribuire al raggiungimento della seconda fase dei rapporti italo-sloveni, dalla comprensione alla condivisione dicono loro con uno slogan molto azzeccato, nel quale il sottoscritto ha condotto un dibattito con Dan Peterson, Dino Meneghin e Peter Vilfan. Buonissimo successo, tanta gente in piedi ad ascoltare da fuori, presenti tutti i colli grossi della politica (fuori che i due sindaci di Trieste e Capodistria, trattenuti da altri impegni, ma ben rappresentati) compresa la ministra slovena per gli sloveni all'estero (che è fra l'altro una della minoranza italiana in Slovenia che dunque conosce la problematica a puntino per averla vissuta sulla propria pelle) e l'Ambasciatrice d'Italia in Slovenia. Delle cose più interessanti dirò poi in fondo. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto)

Prima vorrei soddisfare una richiesta di Franz sulla mia column sul Primorski dnevnik. Ora, la mia fantasia è sì fervida, però non si spinge al punto di scrivere due pezzi in rapida successione senza ripetere per la maggior parte gli argomenti più importanti tali e quali in ambedue con qualche variante, ovviamente, più rivolta al pubblico che legge il giornale di una minoranza che non al pubblico di un blog seguito in Italia e al quale la problematica di un'oscura minoranza non potrebbe fregare di meno. Per darvi un'idea di quanto scrivo in quella sede e che non riporto qui vi vorrei comunque tradurre un passaggio del pezzo di ieri che, penso, può interessare, anche se di striscio, uno che mi legge in Italia. Cito (me stesso): “È veramente una bella sensazione quella che si prova quando ci si avvicina al Palazzetto e si coglie il polso di un importante evento. A me la cosa fa ancora più impressione, in quanto dopo averci lavorato per tanti anni sono diventato anch'io un po’ capodistriano e sono perciò pervaso da una particolare fierezza quando vedo la ‘mia’ città percorsa in lungo e largo da torme di finlandesi, svedesi, russi e greci, quando sento tutta una babele di lingue diverse, ma soprattutto quando vedo tanti italiani venuti da ogni parte d'Italia che probabilmente per la prima volta nella loro vita vengono a sapere che Koper, sotto il nome di Capodistria, ha avuto probabilmente tempo fa a che fare con l'Italia in quanto, vedi un po’ il caso, ma chi lo direbbe, tanti qui parlano italiano, non solo, ma alcuni di loro incredibilmente si dichiarano italiani veri. Noi sloveni a Trieste conosciamo perfettamente la frustrante sensazione di renderci conto di quanta gente in Slovenia (non prendiamoci in giro, la stragrande maggioranza) non sappia nulla di noi. Potete dunque solo pensare quale sia la sensazione degli italiani di qui, tenendo in conto il fatto che l'Italia è molto più grande e mediamente storicamente molto più ignorante.”

Tornando alla serata di ieri devo dire che sia Meneghin che Vilfan sono stati di una straordinaria simpatia profondendo aneddoti a raffica, alcuni assolutamente inediti, interessanti e per la maggior parte divertenti. Dan Peterson lo conosciamo tutti, per cui ci siamo divertiti. Non abbiamo potuto ovviamente tacere sulla famosa rissa di Limoges. Vilfan: “fino a oggi ero convinto che a tirarmi per i capelli sopra l'orecchio fosse stato Meneghin, e ora vedo che è stato Sacchetti. Se avessi saputo cosa sarebbe poi successo garantisco che al momento avrei fatto molto meno il bullo”. Meneghin: “a un dato momento ho rincorso Grbović che però si è avviato verso la panchina, ha frugato nella borsa e ha tirato fuori un paio di forbici. E allora mi sono detto: alt, ferma, qua non si scherza più”. Ambedue all'unisono hanno però confermato che la sera stessa in albergo si sono seduti assieme, jugoslavi e italiani, a ridere e scherzare bevendo qualche birra assieme sulle immagini della rissa che venivano incessantemente riproposte in replay dalle varie TV francesi.

Alla fine ho chiesto ad ambedue come vivessero gli scontri diretti. Meneghin ha risposto che giocare contro la Jugoslavia era sempre frustrante, perché per quanto si allenassero e si mettessero sotto, poi arrivava la grande manifestazione, nella Jugoslavia si materializzava qualche nuovo mai visto prima che era ancora più forte di quelli che già conoscevano e, tac, era sempre 20 per loro. Vilfan è stato molto più originale ed ha finalmente detto quanto tutti pensavamo già da tempo, ma nessuno aveva il coraggio di dire. Per finire riporto tali e quali le sue parole: “Inutile nascondercelo, le nostre motivazioni, quando dovevamo incontrare l'Italia, salivano alle stelle. Era per noi ‘il’ match da vincere. Noi venivamo alle partite vestiti ognuno per conto suo, gli italiani erano tutti figurini vestiti elegantemente tutti uguali e erano seguiti da uno stormo di persone che si prendevano cura di loro. Loro avevano 100000 lire di diaria, noi 25000 dinari e, tanto per  dire, il servizio di pulizia delle scarpe in albergo costava il corrispettivo di 15000 dinari. Quello però che ci faceva veramente imbestialire era il fatto che noi, con tutto il nostro folclore e con i palazzetti alla buona, giocavamo nel nostro campionato un grandissimo basket ed eravamo intimamente convinti che la nostra lega fosse la più forte d'Europa senza alcun dubbio. Mentre invece tutta l'opinione pubblica europea all'epoca guardava come punto di riferimento solo e esclusivamente al rutilante campionato italiano (ricorda qualcosa? N.d.a.) che si autodefiniva il migliore d' Europa, cosa che ci faceva girare vorticosamente le scatole. Per cui ogni partita contro l'Italia era una questione di prestigio. Manila '78: Jugoslavia 102, Italia 71 a pochi secondi dalla fine. Slavnić si alza e dice a tutti: guai al primo che festeggia a partita finita! Dobbiamo dare l'impressione di uscire arrabbiati perché abbiamo vinto di ‘soli’ 31 punti.”

Ripeto, serata tutta così e farne un resoconto sarebbe scrivere un libro. Penso proprio che chi vi ha partecipato, per esempio coach Michelini che ha seguito la serata tutta intera stando sempre in piedi a fondo sala, confermerà che non si è trattato certamente di tempo sprecato.