A volte penso a come sia nato questo blog. Dovevo, spinto dal mio press agent Tommaso, far sapere alla gente che sarebbe uscito un mio libro che parlava della storia del basket jugoslavo. Tutto qua. Che poi rimanesse attivo per tanto tempo (sono passati quasi 13 anni, ridendo e scherzando), ma che soprattutto si sarebbe espanso in modo tale da affrontare anche i massimi sistemi umani, culturali e politici, non me lo sarei mai immaginato. Ne sono un tantino spaventato. Non è che ci stiamo allargando un po’ troppo?
Forse no, leggendo quanto scrivono e dicono in giro, anche su testate che dovrebbero essere serie, su quanto sta succedendo in questo momento in Ucraina. Leggendo la raffica di cazzate senza senso che si leggono un po’ dappertutto, e dall’altra parte leggendo i commenti degli amici conosciuti e apprezzati in tante sconvenscion (una delle invenzioni di questo blog delle quali sono particolarmente orgoglioso) penso addirittura che questo sito sia tutto sommato molto più serio di tanti altri molto più noti e frequentati. Scusate la superbia, ma a volte sentendo quanto dicono cadono letteralmente le braccia.
Piccola parentesi parlando di sconvenscion. Sono stato pregato di indirla per il 7 di maggio per permettere una new entry in presenza, che è quella dell’amico Gabriele di Siena, quello che io reputo la mia anima cestisticamente gemella. L’ occasione di averlo fra di noi (per chi vuole conoscere tutto e di più sulla storia e sulla situazione attuale in Myanmar non ha che da chiederglielo) è imperdibile, per cui la data non è negoziabile. Chi c’è, c’è.
Tornando al tema principale per leggere stupidaggini assortite basta collegarsi ai siti che ci propina di continuo con pervicacia degna di miglior causa il nostro ineffabile Edoardo che ha praticamente monopolizzato la sezione commenti con post continui e insistiti che rimandano a siti e interventi vari dei quali nessuno di noi sente la mancanza, anzi ne perora ardentemente l’inesistenza. Edoardo, sei uno contro tutti! Per favore, renditene finalmente conto. Nessuno ti impedisce di dire la tua, ma non con tale insistenza. Che poi genera la classica trafila di alterchi insistiti con gli ultimi interventi che, a furia di restringere le righe dedicate alle repliche, sembrano tazebao cinesi. Ci ho pensato a lungo e sono giunto a una decisione sulla quale prego tutti di dire la vostra se la reputate giustificata. E cioè quella di concedere a Edoardo uno, e un solo, post giornaliero. Tutti gli altri, e darò a Tommaso precisa disposizione in merito, saranno segati senza pietà.
Tornando a cose più serie, anzi tragiche, vorrei aggiungere fatti e un po’ di storia per ampliare un tantino la base della discussione e offrire motivi di riflessione seria e informata. Sabato scorso ho partecipato e un’interessantissima serata organizzata dal circolo culturale sloveno Škamperle di San Giovanni, rione periferico di Trieste, nella quale a parlare della situazione in Ucraina sono stati chiamati un professore universitario di slavistica che nella vita ha tenuto lezioni e corsi un po’ dappertutto in Italia, di nome Ivan Verč, fra l’altro figlio del nostro vecchio medico di famiglia nonché mio perfetto coetaneo (ha sei giorni meno di me) e mio compagno di classe per otto anni fra medie inferiori e liceo, e l’ex presidente della sezione triestina dell’associazione per l’amicizia italo-russa Igor Kocijančič (anche qui la conoscenza con la persona è di lunghissima data, avendolo conosciuto da bambino quando giocava a minibasket e poi a basket per lunghi anni fino a quando è stato per anni il presidente della sezione basket dell’ US Bor), uno che è stato moltissime volte in Russia viaggiando in lungo e in largo per il paese conoscendo luoghi e persone come pochi altri dalle nostre parti. Per la cronaca il suo cognome è lo stesso del compianto corrispondente RAI dalla Russia Sergio Canciani (versione italianizzata dell’originale cognome sloveno), anche se non sono parenti, ma solo omonimi essendo ambedue sangiovannini, dove questo cognome è comunissimo. Fra l’altro come Sergij Kocijančič all’inizio della sua carriera giornalistica seguiva lo sport e specialmente le partite del Bor in Serie D per la radio in lingua slovena di Trieste (stessi inizi di un’icona del giornalismo come Mitja, poi Demetrio, Volčič) e più volte a fine partita intervistava me, che pure avevo fatto panchina per la massima parte del tempo, per un commento, cosa che ancora adesso ricordo con orgoglio.
La serata è stata impostata in modo eccellente, in quanto i due hanno volutamente omesso di parlare dell’attualità sulla quale, hanno giustamente detto, ognuno ha la sua opinione e che comunque andrà rivissuta e analizzata fra moltissimo tempo quando le cose potranno essere viste nella giusta prospettiva storica. Fermo restando ovviamente che chi comincia una guerra di aggressione ha sempre torto marcio a prescindere. Cosa che comunque non impedisce di tentare di capire la genesi dei fatti.
Il mio amico Vanček (come chiamavamo Verč da piccolo e come, curiosamente, lo chiama ancora la moglie dopo tanti anni), uno che può parlarvi di come si sia svolta la storia della Russia anno per anno, dai tempi della creazione della Russia di Kiev nel decimo secolo fino a oggi, ha voluto, appunto, parlare della storia russa proprio per sviscerare le origini della mentalità di quel popolo e di come si sia creata la cultura russa, cultura che ha sottolineato va scritta con la minuscola iniziale, in quanto si riferisce al modo in cui le varie vicissitudini storiche durate un millennio si siano sedimentate, generazione dopo generazione, nella memoria storica di quella gente in modo quasi genetico. E ciò soprattutto nel cuore più profondo della Russia, quello che tutto sommato ancora oggi, escluse le piccolissime oasi costituite dalle città più cosmopolite e occidentali, crea l’opinione pubblica in quello sterminato paese. E ha voluto sottolineare come questa memoria storica che funge da motore ancora oggidì per tutte le espressioni sociali e politiche di un popolo dalla storia tanto lunga, che può essere paragonata a quella di altri grandi popoli europei come tedeschi, britannici e francesi, sia del tutto incomprensibile per un popolo come quello americano che ha una storia praticamente insignificante rispetto a quella dei popoli europei, ma che soprattutto si è formato in modo totalmente diverso. Ed è questo, secondo lui, e anche secondo me, se è per quello, che fa in modo che americani e russi non potranno mai capirsi e confrontarsi alla pari, soprattutto alla luce della spocchia con la quale una nazione nata ieri come gli USA pretende di dare lezioni di comportamento al resto del mondo che ha una storia ben più complessa, complicata, ma soprattutto, come detto, stratificata in modo indelebile nelle coscienze. In breve gli americani ragionano a un tanto al chilo senza neanche conoscere, e ovviamente tanto meno comprendere, perché certi si comportino in un modo e altri in tutt’altro modo. Che non sarà mai cambiato, nasca quel che nasca, per quanto si sforzino di uniformare il mondo alla loro way of life senza rendersi minimamente conto che quello è il “loro” modo di vivere, loro e soltanto loro. E che dunque le categorie con le quali pesano il mondo possono, e normalmente lo sono, essere del tutto aliene e incomprensibili in altre parti del globo (tutte le altre parti del globo, se è per quello, soprattutto quelle con storie millenarie tipo Europa, Cina, Giappone o India, per non parlare di Mesopotamia e Egitto, dove in realtà è nata tutta la nostra storia). Comunque tutto potrebbe ancora essere capito e tollerato se non facessero gli sceriffi del mondo invadendo a destra e manca chi non la pensa come loro. Ma questo è tutto un altro discorso.
Tornando alla storia della Russia i punti da avere sempre in mente sono sostanzialmente tre. Il primo: la storia dei popoli slavi, di cui i russi sono di gran lunga quelli più importanti, è sempre andata al traino rispetto a quella di tutti gli altri. L’insediamento originario nelle pianure a est dei Carpazi è rimasto tale fino a che, con il declino dell’impero romano, i germanici hanno cominciato a migrare verso ovest e poi dappertutto altrove lasciando spazi liberi occupati poi, ma sempre dopo, dagli slavi. Ragion per cui sono arrivati sempre dopo, sia per quanto riguarda l’insediamento che la conversione alla religione cristiana, tanto che per esempio la loro chiesa si è formata ben dopo il grande scisma cristiano dell’11-esimo secolo. La conseguenza è stata che hanno dovuto sempre farsi accettare dagli altri senza mai essere veramente protagonisti dei movimenti storici, per cui sono stati fondamentalmente visti dai latini e dai germanici come intrusi, gente dunque percepita come inferiore, da “civilizzare” a ogni costo, cosa che ha indotto in tutti gli slavi gravi complessi di inferiorità e di inadeguatezza lasciando strascichi culturali ben visibili anche oggigiorno. E in un grande popolo come i russi generando anche continui spiriti di rivalsa e quasi di vendetta.
Secondo punto: la loro struttura sociale è sempre stata totalmente diversa da quella di tutti gli altri popoli europei. Il primo regno russo, guarda caso con centro proprio a Kiev, nacque sostanzialmente quando le tribù locali, sempre in guerra fra di loro, chiamarono degli stranieri, appunto quelli che loro chiamavano russi ed erano in realtà scandinavi, svedesi per la precisione, per mettere ordine. E infatti lo fecero prendendo il potere in modo ovviamente del tutto contrario a quello che noi chiamiamo democratico. E dunque i russi in realtà la democrazia neanche sanno cosa sia, non avendola mai vissuta né sperimentata in tutta la loro storia. Per loro la società è formata da un fortissimo potere centrale dominante, da una classe aristocratica di possidenti terrieri legata in vari modi al potere e da uno sterminato popolino che le classi dominanti manovrano a loro piacimento. A noi sembra impossibile questo tipo di mentalità, ma come detto è quello a cui sono abituati da un millennio con la sterminata folla della classe più povera e sottomessa che non pensa neppure di ribellarsi, ma che anzi vede nel potere assoluto una coperta protettiva che li difende dagli assalti continui dei popoli confinanti che nella loro mente hanno il solo scopo di sottometterli. Le dinamiche sociali in questo contesto sono molto semplici: sostanzialmente la Russia è forte quando lo zar è forte e i boiardi (oggigiorno oligarchi economico-mafiosi, la sostanza è sempre quella) deboli, mentre è debole quando succede il contrario. Illuminante il caso del più famoso zar di tutti, Ivan Groznij, che noi traduciamo in modo del tutto erroneo come Ivan il Terribile, mentre in effetti groznij significa potente, uno che domina in modo così forte da generare quasi terrore nei suoi sottomessi. Quando i boiardi si fecero avanti pretendendo più potere politico lui non batté ciglio, disse accomodatevi e si ritirò nei suoi possedimenti. Risultato: cominciarono a litigare violentemente fra di loro e alla fine si rivolsero allo zar implorandolo di mettere ordine. Cosa che fece, ma ovviamente a modo suo esautorando i boiardi da qualsiasi potere politico. Non credo che ci sia qualcuno che non veda un parallelo assolutamente analogo a quanto successe nella Russia della fine del secolo scorso, quando dal caos sotto Jelcin si passò all’”ordine” imposto da Putin. Che, forte del fatto che era il capo dei servizi segreti, esautorò da ogni potere politico gli oligarchi, e infatti quando Hodorkovskij pensò di sfidarlo proprio sul piano della politica, finì in quattro e quattr’otto in prigione dando così un fortissimo esempio a tutti gli altri di non pensare neanche di avere qualsiasi tipo di velleità in questo campo riservato in modo assoluto allo zar. E dunque bisogna semplicemente prendere atto che da quelle parti la politica va così e, visto che la storia in questo campo va avanti e si evolve con estrema lentezza, dovendo spostare un’inerzia millenaria, sarà esattamente così ancora per un lunghissimo tempo, checché ne pensino americani e europei.
Terzo punto: la famosa storia della paranoia da accerchiamento. Che è assolutamente giustificata, visto che la Russia è stata sempre un campo di continue invasioni. Chi prima, chi dopo, un po’ tutti hanno tentato di occuparla, per quanto ovviamente mai ci sono riusciti del tutto, vista la sua sconfinata grandezza. Lasciando stare la lunghissima e sanguinosa storia delle invasioni mongole e tartare, dalla quale i russi sono usciti solamente circa trecento anni fa cominciando così fra l’altro la loro espansione asiatica, pochi sanno per esempio che la Russia fu invasa con sostanziosa perdita di territori dalla coalizione polacco-lituana ai tempi in cui questi due popoli formavano un importante e molto potente regno comune. Ragion per cui non sono solo i polacchi e i lituani ad avere sassolini da levarsi dalle scarpe. L’ultima invasione da parte di un regno europeo, prima di quelle storiche di Napoleone prima e di Hitler poi, i russi la subirono addirittura da parte degli svedesi, per dire. Si può dunque facilmente comprendere questo loro sentimento di accerchiamento continuo, esacerbato dal fatto che, quando serve, tocca poi a loro di levare le castagne dal fuoco per tutta l’Europa come hanno fatto battendo sostanzialmente da soli, al di là della retorica occidentale dei vari D-Day o El Alamein, i tedeschi nella seconda guerra mondiale avendo qualcosa come 18 milioni di vittime in tutto questo processo. O anche dal fatto che quando sono loro invece a tentare qualche piccola invasione, come quella della Crimea del19-esimo secolo, tutta l’Europa si levi contro di lei mandando una vastissima coalizione a combatterli, come a dire noi possiamo invadere quanto vogliamo, ma voi dovete stare buoni e a cuccia. Cosa che, lo concederete, ai russi piace assai poco. E che dunque quando la macchina di guerra dell’Occidente si avvicina ai loro confini, soprattutto quelli che loro reputano sacri delle tre Russie, quella grande, quella piccola o Ucraina e quella bianca, è del tutto comprensibile che scattino in loro tutte le possibili spie di allerta. Pensare dunque con queste premesse che il popolo russo si ribelli a quanto sta facendo in questo preciso istante Putin è un totale wishful thinking che non ha nessun tipo di legame con la realtà fattuale. La grande pancia della Russia starà sempre e comunque a fianco del suo zar che la difende dai cattivi stranieri.
Questo è dunque, volenti o nolenti, ma questo è, il quadro nel quale si svolgono gli attuali eventi. Con l’ulteriore problema che l’Ucraina è in realtà una realtà estremamente complessa della quale bisognerebbe conoscere con precisione la storia. In sostanza i piccoli russi, o russini, come venivano comunemente chiamati originariamente, e come si chiamavano e si chiamano ancora loro stessi fra di loro, quelli che finirono sotto l’influsso politico e religioso polacco prima e austro-ungarico poi, leggi l’amplissima regione a est dei Carpazi (proprio quella originaria di tutti gli slavi!), essendo legati appunto da sempre all’occidente odiano i russi con tutto il loro cuore, tanto da non avere alcuna remora ad essere piuttosto nazisti che russi. Raccontava il “Cancia” (anche Igor Kocijančič, prima di ripristinare ufficialmente il cognome originale, era Canciani, per cui per tutti noi il play delle giovanili del Bor è sempre stato “el Cancia”) che quando girava da quelle parti, mentre in tutto il resto dell’Ucraina la gente, pur essendo di sentimenti nazionali molto sviluppati, cioè sentendosi sinceramente ucraini, pur tuttavia fra di loro normalmente parlava in russo (un po’ come gli irlandesi, insomma, che per quanto odino gli inglesi, pur sempre parlano fra di loro nella lingua dei dominatori), mentre all’occidente, Leopoli (Lvov) e dintorni, pur conoscendo tutti più che correntemente il russo, quando parlavi con loro non c’era verso che ti rispondessero in quella aborrita lingua, per cui avevi bisogno dell’interprete (fra ucraino e russo c’è un po’ la stessa differenza che c’è fra lo sloveno e il croato). Tutt’altra storia invece sia per le regioni del Donbass, quelle che adesso sono sotto l’ombrello militare russo con le due sedicenti regioni autonome, che per la Crimea. E se il Donbass è sempre stato una regione molto mista, e dunque sotto l’URSS a dominare erano i russi, mentre con l’Ucraina indipendente erano gli ucraini con in ambo i casi i non dominanti a subire angherie e sgarbi continui, la Crimea è sempre stata russa al 100% da quando i tartari rimasti lì isolati al disfacimento del loro impero si dichiararono compattamente fedeli al potere centrale, e dunque con ciò progressivamente russificandosi totalmente. E tutto ciò per contrasto con la popolazione locale con la quale non avevano alcuna intenzione di mischiarsi, visto che per lunghi secoli erano stati i loro dominanti.
Ovviamente come andrà a finire nessuno può saperlo. C’è però una cosa da tenere molto bene a mente, come diceva più che giustamente Verč. Comunque la vicenda finirà la Russia rimarrà sempre lì, a occupare con i suoi 200 milioni di abitanti un settimo delle terre emerse, e con essa si avrà sempre a che fare. Tale e quale com’è e come ho tentato di descrivere sopra, del tutto aliena agli schemi mentali e comportamentali del resto dell’Europa (e del resto, volenti o nolenti, la Russia è in tutto e per tutto una potenza culturalmente fondamentalmente asiatica, molto più simile per concezione del potere centrale e del suo rapporto con i sudditi alla Cina o all’India che non alle democrazie occidentali), e dunque sarebbe finalmente ora di instaurare un dialogo aperto, alla pari, senza voler imporre ad ogni costo le proprie idee. Sarebbe ora che qualcuno si facesse avanti in modo pragmatico, ma costruttivo, con la mente aperta e soprattutto obiettiva senza interessi di parte, e tentasse di immaginare il mondo dopo questa immane catastrofe che stiamo vivendo. Voi lo vedete? Io proprio no, neanche lontanamente (avete presente Di Maio? Ecco, per dire, non è che gli altri siano molto meglio). E dunque sono pessimista e molto angosciato.
P.S: Buck, per favore spiegami, ma io ho la netta impressione che Milano arrivi alla fase finale della stagione cotta sia di mente che di corpo. Sbaglio? Illuminami.