Un tuffo in gioventù
- Scritto da Sergio Tavčar
Non so se ve l’ho già detto (visto che ripeto sempre le stesse cose come un disco rotto – avete anche voi mai provato l’imbarazzo di quando dite: “Vi ho già raccontato la storia…” e vi sentite rispondere: “Quella di quando succede questo e quello e poi finisce così? No, mai sentita” – ebbene, a me succede più che spesso e volentieri, per cui ve l’avrò già detto mille volte), ma il mio vero sport è sempre stato il nuoto. Per tutta una serie di ragioni: la prima è che mio padre era un grande appassionato, avendolo praticato con successo in gioventù e, come sapete, tutto quello che mio papà faceva era per me sacro, ma la seconda e di gran lunga più importante era quella che io sono fondamentalmente una foca, maldestro, goffo e lento sull’asciutto, e perfettamente a mio agio in acqua. E infine ovviamente perché mi piace nuotare. Ragion per cui quando nei miei anni adolescenziali e della prima gioventù si disputavano ancora i Giochi sportivi della minoranza slovena in Italia e noi giovani ragazzi ci davamo da fare come matti per organizzare le varie squadre del nostro paese, tentando magari di carpire con qualche sotterfugio un potenziale campione a qualche paese rivale, io ero sempre l’ultimissima scartina quando si facevano le varie squadre degli sport sulla terra ferma (a parte il basket e il tennis tavolo che praticavo agonisticamente), ma ero il boss indiscusso quando si trattava di piscina. La squadra di nuoto la si faceva attorno a me. Avevo una buonissima acquaticità e dunque potevo nuotare con grande rendimento (ovviamente nelle nostre limitatissime proporzioni) tutti gli stili e in più durante gli anni del mio liceo papà, che insegnava nell’edificio attaccato al nostro, una volta alla settimana, quando finiva alla mia stessa ora, mi raccoglieva e andavamo a fare un’ora di allenamento alla vecchia piscina Bianchi durante l’ora aperta al pubblico prima di tornare a casa. Dove mi attendeva l’insuperabile jota di rape con salsiccia di mia nonna seguita dal grieskoch con lo chateaux. Scusate, struggenti ricordi di gioventù…
Quattro partite e cinquant'anni
- Scritto da Sergio Tavčar
Continuiamo a parlare di basket, vista la stringente attualità. A questo punto mi sembra di dover mettere la parola fine, almeno dal mio punto di vista, alla discussione su Pajola. Il ragazzo mi perdonerà, ma sono stato tirato in ballo tante volte che devo finalmente sviscerare la questione per tagliare la testa al topo (Stefano, un ratto si può decapitare, o anche questo è un reato anti natura?). E a proposito di Stefano lascio a lui la descrizione di Pajola, perché riflette esattamente quanto penso io di lui. Non solo, ma Stefano ha anche indovinato sul fatto che in teoria il ragazzo dovrebbe piacermi, perché è un ragazzo palesemente intelligente e umile, dunque non può che migliorare. La cosa che mi disturba profondamente e che mi fa essere un tantino “biased” nei suoi confronti è l’immane battage pubblicitario che si fa intorno a lui che ho paura che alla fine faccia sì che venga bruciato sull’altare di aspettative assolutamente spropositate rispetto alle sue qualità, che sono tante, ma non certamente straordinarie, anzi. L’unica cosa che mi consola un tantino è il fatto che sia il ragazzo stesso che dà la netta impressione di non farsi condizionare dagli sbrodolati e secondo me totalmente sovradimensionati elogi che gli vengono fatti. Lui va sulla sua strada e che Dio gli dia. Soprattutto però gli auguro di non leggere giornali né forum su Internet né ascoltare commentatori compiacenti che devono magnificare un prodotto in realtà abbastanza asfittico. Non si curi di loro e lavori duramente come sembra che faccia (ho anch’io le mie fonti autorevoli che mi ragguagliano su quanto succede in realtà dietro le quinte).
Un vile macello
- Scritto da Sergio Tavčar
Come primissima cosa, una cosa che mi sgorga dal cuore infranto e offeso, vorrei dire a tutti quanti che venite a Trieste di dare sì ascolto a quanto vi dice Franz, ma non solo, e soprattutto NON solo, a quanto vi dice lui. Nella sua rassegna delle cose da visitare a Trieste, ma soprattutto dei luoghi dove andare, ha dimenticato in modo che ancora mi fa incazzare la cosa che fa di Trieste la più bella città del mondo (scusate, ma sono un tantino di parte), e cioè il Carso che le sta alle spalle. E tutto ciò per una semplicissima ragione: se non ci fosse il Carso alle spalle di Trieste a più di 300 metri di altitudine, raggiungibile in dieci minuti di macchina dal centro città, nessuno potrebbe ammirare estasiato la straordinaria vista della nostra città e del nostro golfo. Salendo ai punti giusti nei giorni di bora, quando l’aria è limpida, si può ammirare a sinistra tutta la penisola istriana fino alla punta di Capo Promontore (per i cronisti sportivi della Rai, tipo Bizzotto, per i quali Fiume è Rijeka e Capodistria Koper, Premantura) con vista anche sulle coste di Cherso (sempre per i cronisti di cui sopra Cres, attenzione, si legge Tzres), mentre a destra dietro alle Prealpi venete si vedono in tutto il loro splendore le Dolomiti.
Pausa caffè
- Scritto da Sergio Tavčar
Non posso parlare di basket, visto che non sono abbonato a Eurosport player, per cui intervengo per esortarvi a ragguagliarmi su come stanno andando i playoff dell’Eurolega. Spero che Buck continui nelle sue esaustive cronache e nei suoi commenti e che anche gli altri si diano da fare per spiegarmi cosa succede nelle altre serie. Potete tranquillamente, se non vi interessa, saltare il resto di questo pezzo e continuare in calce a parlare solo di basket. Non me ne avrò certamente a male, visto che quanto sto per scrivere non c’entra per niente con ciò di cui normalmente discutiamo.
Ma comunque, a mo’ di diversivo, o di intermezzo, se preferite, e giusto per non limitarmi all’esortazione di cui sopra, vorrei riportarvi due notizie che ho letto sul Primorski Dnevnik che, come ormai già sapete, è il quotidiano della minoranza slovena in Italia.
Armani, l'abito che non fa il Monaco
- Scritto da Sergio Tavčar
Ho visto anch’io le prime due partite di Milano contro il Bayern e, se mi permettete, vorrei dire la mia in merito. Ho un’enorme stima per Trinchieri, maturata durante l’intervista che gli feci a Lubiana già quasi una decina di anni fa e nella quale espose concetti e pensieri molto acuti che mi impressionarono in modo estremamente favorevole. Ciò detto, e ribadito e sottolineato che ci sono pochissime persone in questo momento in Europa (al mondo? – visto il coaching che c’è nell’NBA verrebbe da dire subito di sì – anche perché nell’NBA il concetto di coach nel senso etimologico della parola, cioè di guida e timoniere, si è in questi anni completamente perso) che ci capiscono più di basket rispetto a lui, e testimone ne è il fatto che nelle sue squadre c’è ben poca gente che non siano giocatori veri di basket, per quanto poco possano costare, la prima partita è riuscito incredibilmente a perderla lui dopo averla stravinta in fase di preparazione e piano partita, eseguito in modo straordinario per più di un tempo, salvo poi andarsi e perdere in modo inatteso, forse sopraffatto dall’importanza del momento, fino a finire nel panico e nella confusione più totale che si è palesata negli allucinanti ultimi minuti della partita, giocata da ambedue le squadre sostanzialmente a chi fa meno.
NCAA dei tempi miei
- Scritto da Sergio Tavčar
L’ultimo tema che avete trattato nei vostri commenti sono le finali del torneo NCAA e mi sembra a questo punto di dovere delle spiegazioni e dei ragionamenti che completino il discorso che ho fatto due volte fa sul perché il torneo NCAA non mi interessi più. E continuerà a non interessarmi proprio per le ragioni addotte da Franz nel bel discorso, del tutto condivisibile perché fondamentalmente giusto, fatto per perorare la sua causa e che sono invece esattamente le ragioni del mio rifiuto.
Provate a mettervi nei miei panni. Sono gli anni ’60 del secolo scorso. Siete adolescenti avviati verso l’età maggiore, appassionati di musica (all’epoca, con tutto quello che succedeva, era molto facile esserlo) e di basket. Del quale però potete vedere in TV solamente un tempo di una partita di Serie A il sabato pomeriggio, con a seguire la partita delle 5 del campionato jugoslavo. Tutto qua. Però sapete che dall’altra parte dell’oceano c’è il vero basket, quello praticato da coloro che sono di un altro pianeta e che avete avuto modo di vedere a sprazzi grazie alle Olimpiadi romane con i vari Robertson, West, Lucas, Bellamy e compagnia bella, e nei highlights di quelle di Tokio con Bill Bradley.
Lo scrivo nero su bianco!
- Scritto da Sergio Tavčar
Piccolo intermezzo. Fate conto che sia un mio intervento sul blog di un altro a mo’ di risposta a quanto affermato o chiesto da un altro frequentatore. Era da tempo che dovevo una risposta a Roda in merito al perché e per come un animo libertario come il sottoscritto possa fare il tifo per la squadra di calcio espressione del più bieco potere capitalista. Stavo preparando la mia risposta con puntiglio, perché tutto volevo meno che andarci leggero o addirittura scusarmi come qualcuno forse pensava che avrei fatto. Tipo: sapete, il calcio è una questione di emozioni, non c’entra con il pensiero politico…e balle del genere. E proprio mentre mi preparo leggo quanto scritto da Boki (a proposito, cosa intendevi per progetto sullo sport zaratino?). Caro Boki: adesso siamo 1 a 1, palla al centro e ricominciamo. Nel senso che tempo fa citai un passo del libro di Ćosić traducendolo dalla sua autobiografia che mi regalasti alla sconvenscion di Borgo Grotta Gigante e tu mi rimproverasti per averti rubato il lavoro di traduzione che stavi cominciando a fare. Ora siamo pari, perché tu hai scritto esattamente, parola per parola quasi, quanto volevo scrivere io. L’ultimo paragrafo poi è apoteosi pura, nel senso che tutti i vari cacciaballe di tifosi delle altre squadre, dopo aver letto quanto scrivi, potrebbero benissimo mettersi la lingua in quel preciso posto e tacere in merito per i secoli dei secoli.
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