Mi scuserete se all'inizio voglio continuare a battere il tasto che per me è diventato quasi una questione di orgoglio. Contesto infatti vivamente (confortato in questo dalle esaustive analisi di wf2) che oggigiorno i fisici siano tanto migliori rispetto a quelli dei tempi che furono. Do atto, perché sarebbe stupido non farlo, che oggigiorno la base si è allargata, che mediamente la gente, anche per gli aiuti farmacologici che sono stati nel frattempo scoperti, è più grossa, fondamentalmente, rispetto ad una volta e che ce n'è molta di più. Nel senso che una volta si poteva giocare a basket anche essendo mingherlini, oggi è molto più difficile. Lascio stare i metri arbitrali troppo permissivi (dal mio punto di vista), lascio stare anche il discorso che di giocatori meramente tecnici oggigiorno si è perso lo stampo, per cui non c'è lo straccio di una controprova, insomma do per acquisite cose che per me sono tutt'altro che tali. Però, scusate, solo perché oggigiorno esiste un marziano di nome Usain Bolt non si può generalizzare. Vorrei solo umilmente ricordare che nel '36 JC Owens correva i 100 metri in 10"2 allenandosi come ci si allenava quella volta, cioè praticamente niente (ed infatti vincevano i dilettanti, cioè i ricconi che potevano dedicare più tempo rispetto agli altri ad allenarsi). E che in lungo saltava oltre gli 8 e 10 su pedane di terra battuta, misura che ancora oggigiorno fa andare in finale alle Olimpiadi (sul sintetico rimbalzante). Vorrei ricordare che Bob Hayes corse 9"9 elettrico a Tokio nel '64 sempre sulla terra battuta, vorrei infine ricordare che ancora a Mosca senza gli americani l'alto si vinse a 2,36, sempre misura che ancora oggigiorno permette di avere ottime speranze di vincere alle Olimpiadi (32 anni dopo). Del resto, da quanto dura il record di Sotomayor? E, tornando all'oggi, se non ci sono Bolt e Gay, quali sono i tempi sui 100 metri (sempre sul sintetico rimbalzante)? Insomma, almeno su questi dati oggettivi spero di non essere contestato. Nei vostri interventi vorreste avere notizie di giocatori del passato. A questo punto vi do due nomi che pochi di voi ricorderanno: Darrell "Skywalker" Thompson e, uno a caso, Larry Nance, gente che se non stava attenta si spaccava il cranio sul ferro, per non parlare di Jabbar che per scommessa andò a prendere il cappellino posto sulla cima del tabellone. Chiaro, voi in genere avete percezione di Jabbar per come giocava alle soglie dei 40 anni (classe '47, nato esattamente 10 anni prima di mio fratello, il 16 di aprile, giorno anche di Charlie Chaplin, per questo lo ricordo bene), cioè di uno che giocava di esperienza, tecnica e classe, per cui (come per Ćosić, o anche Sabonis, se è per quello) non potete ricordarvi delle devastanti doti atletiche che aveva Jabbar da giovane quando ancora si chiamava Alcindor, sia all' UCLA, che poi nei primi anni a Milwaukee. Di Wilt "The Stilt" Chamberlain ho già parlato, per cui inutile insistere. Chi nega l'evidenza continuerà a negarla. Certo, ce n'erano di meno, ma c'erano, credetemi. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto).

Già che sono in tema ancora un paio di parole su grandi campioni del passato dei quali avete chiesto notizie. Di due, miei idoli assoluti, parlo più che volentieri. Il primo è Nate "Tiny" Archibald, uno dei più grandi play della storia, anche perché fu il primo play moderno, nel senso che da lui si potevano pretendere anche punti, non solo creazione del gioco. Non era un particolare tiratore, era piccolo e mingherlino, però era una scheggia e, soprattutto, faceva girare le rotelle del suo cervello a velocità impossibile per gli avversari. Era cioè sempre un attimo avanti: il difensore pensava che lui avrebbe fatto A? In un amen lui cambiava movimento e faceva B. Un difensore straordinario capiva anche questo ed allora lui si inventava C. Per non parlare delle sue immense doti di passatore puro, di giocatore cioè che recapita il pallone col contagiri nell'unico momento possibile. Ed infine, come già detto, a me rimane particolarmente caro, perché quale ultima frase del suo filmino didattico sull'arte del passaggio disse parole sacrosante: "in ogni occasione usate sempre il passaggio più semplice possibile e ricorrete all'acrobazia solo se siete con le spalle al muro". Il secondo è Dave Cowens, giocatore di quelli che non ce ne sono proprio più. Rosso e mancino (penso, anche se potrei sbagliare confondendolo con Archibald che, lui sì, era sicuramente mancino), inconfondibile, era un tuttofare. Giocava normalmente da centro atipico (era abbastanza piccolotto, anche se spostarlo era difficile, in quanto in fatto di tecnica era un manuale ambulante), ma comunque in ogni occasione faceva la cosa che serviva. In breve, avete presente un Mason Rocca un tantino più alto capace anche di giocare a basket, nel senso di tiro e tecnica complessiva? Ecco, avrete una pallida rappresentazione di Dave Cowens.

Mi parlate anche di giocatori jugoslavi del passato. Onestamente di tanti di quelli che mi nominate parlo anche abbastanza ampiamente nel libro, per cui rispetto a quanto scritto avrei poco da aggiungere. Forse qualcosa su Prelević, giocatore sicuramente bravo ed ottimo tiratore, quando in giornata. Non sono tanto d'accordo con Lofoten che fosse una pippa, anzi, quando giocava nel PAOK era più che decisivo, in quanto giocava per quello che sapeva fare: essere un terminale dell'attacco imbeccato dai compagni (Korfas) per un tiro od una penetrazione. Era sì lento ed infatti non fu mai preso in considerazione dalla nazionale jugoslava, neanche da lontano. Forse fu rovinato dalla fama di infallibile cecchino che gli era stata cucita addosso. Era sicuramente un buon giocatore, ma campione non di certo. E forse qualcosa ci sarebbe da aggiungere su Čutura, altro giocatore di quelli di cui si è perso lo stampo. In vita mia ho poche volte avuto a che fare con un giocatore intelligente come lui. Per quanto fosse basso per il suo ruolo (2 e 02 con collo lunghissimo e dunque spalle basse), aveva una tecnica sopraffina e soprattutto aveva una grandissima percezione spaziale, per cui sapeva sempre dove si trovava, riuscendo anche a fare tiri totalmente inattesi per i difensori che andavano a stoppare le farfalle mentre lui li buggerava in sottomano, magari dai 4 metri. Il bello era poi sentirlo parlare, non tanto in conferenza stampa, dove anche lui era costretto a dire le solite fregnacce, ma poi, a microfoni spenti. Partiva con un argomento, lo sviscerava, non perdeva mai il filo, e poi concludeva da perfetto oratore riprendendo tutte le fila del discorso. Poi uno tentava di capire cosa avesse detto e, quando ci riusciva, riusciva anche a capire che i concetti espressi erano tutti di livello incredibile e che palesavano una conoscenza delle cose spaventosa. Ed infatti non per niente poi nella vita è diventato dottore accumulando tutti i titoli accademici che esistono.

Sempre parlando di singoli giocatori e passando all'attualità vorrei dire la mia su Gallinari. Lunedì scorso ero ad una cena a Capodistria assieme a Dan Peterson (aveva ancora voce) e lui mi diceva che la sua imprecisione al tiro attuale è dovuta principalmente al mal di schiena che ancora lo tormenta e che gli ha fatto sballare i meccanismi (concretamente, tira troppo da eretto). Presa per buona questa spiegazione, anche perché non c'è motivo di dubitarne, basta vederlo tirare, rimane però il fatto che un giocatore come lui dovrebbe essere ugualmente più decisivo. Da un 2 e quasi 10 dotato delle sue doti neuromuscolari e della sua intelligenza uno si attende che nelle serate senza tiro si dedichi ad altri compiti. Per esempio di rendersi pericoloso sotto canestro sfruttando la sua statura e la sua mano per poi magari riaprire il gioco, per esempio di penetrare senza l'assillo di dover fare canestro a tutti i costi, ma semplicemente per creare gioco. Della difesa ovviamente non parlo, perché in quel settore chiaramente l'impegno non manca, essendo una persona seria. La cosa che mi disturba di lui è che voglia fare cose che è meglio non facesse, perché proprio non sono nelle sue corde. Il Gallo ha inesorabilmente il piede lento, per cui sullo scatto non va via a nessuno, ma lui si intestardisce a volerlo fare finendo con lo schiantarsi contro la difesa avversaria, anche perché lui entra e poi si arrangia. Non essendo però questa l'NBA ed arrivando puntuali i raddoppi e le rotazioni, il più delle volte finisce con l'incartarsi. Fra l'altro avete notato che quando va in entrata non guarda il canestro? Sarà una fissazione mia, ma uno che in entrata guarda magari per terra e non il canestro è secondo me colpevole di un delitto imperdonabile per uno che vorrebbe essere un campione e non un semplice giocatore di basket qualsiasi. Niente da fare, siamo sempre lì. E' andato troppo presto in America, prima di finire il suo apprendistato tecnico, per cui ho l'impressione che rimarrà sempre un mezzo giocatore. Un po' quello che succede a tutte le grandi speranze del basket italiano che vengono pompate ignominiosamente quando magari fanno 10 punti in tempo dei rifiuti o contro avversari scarsi, ma rimangono puntualmente sedute in panca quando arrivano i momenti nei quali si decide una partita. Starebbe ai coach avere il coraggio di farli giocare i minuti importanti, anche a costo di perdere qualche partita in più. Il grande merito dei coach jugoslavi di una volta era quello che, una volta deciso che uno era un talento, veniva forzato apposta, gli venivano cioè fatti giocare anche minuti nei quali si sapeva che avrebbe costituito una palla al piede della squadra, ma, dai e dai, solo così poteva accumulare l' esperienza, quella che arriva dagli errori, necessaria per poi nella maturità questi errori non commetterli più. Già, ma chi in Italia potrebbe oggi permettersi una cosa del genere senza venir crocifisso dalla stessa stampa, magari, che aveva osannato il prodigioso pargolo? E' il terzo anno che seguo la Falconstar in B2 e neanche in quella Lega mi è stato ancora dato da vedere un giovane forzato dalla sua Società e dal suo coach. Inutile: tutti vogliono vincere, e per vincere si ricorre a mani basse a giocatori di esperienza, normalmente tutti sopra i 35 anni, formatisi cioè ai tempi in cui in qualche squadra avevano ancora la pazienza di far crescere i giovani. Se non si vedono giovani in B2, come ci si può attendere che giochino in A1?

A proposito di Falconstar vorrei riferire di quanto visto domenica scorsa. Si giocava contro la forte squadra di Ravenna, finalista dei playoff l'anno scorso, e la Falconstar era in emergenza assoluta. Reparto guardie: rientrava dopo un lungo infortunio Laezza con l'idea di farlo giocare qualche minuto, ma mancavano Palombita (fuori 40 giorni per strappo ad un legamento del ginocchio) e Braidot (tendinite sempre al ginocchio) e, se non bastasse, in riscaldamento Budin ha accusato un terribile colpo della strega, per cui ha guardato la partita dalla panchina. Il povero coach Padovan ha dovuto far giocare i 5 rimasti 5, di cui tre lunghi che mai avevano giocato assieme in campo (Bellina, Zambon e Cantarello) più Laezza e Marisi. Primo e praticamente unico cambio Stefano Tonut (classe '93). All'inizio Bellina, che e' un'ala-centro, doveva marcare una guardia avversaria che gli ha fatto 10 punti nei primi 4 minuti. Disastro? No. Perché nello stesso accoppiamento Bellina dall'altra parte del campo ne ha messi 31 nei primi tre quarti prima di uscire per cinque falli all'inizio dell'ultimo quarto. Falconstar praticamente sempre indietro in una partita a punteggio altissimo (anche di 10 a metà del terzo quarto) e sempre in attesa che il 43-enne Cantarello, impiegato 34 minuti su 40, esalasse da un momento all'altro l'ultimo respiro. Morale della favola? Giocando in cinque (con Tonut al posto di Bellina nell' ultimo quarto) la Falconstar ha gettato il cuore oltre l'ostacolo, ha giocato un'ultima frazione esaltante, non sbagliando nulla né in attacco né in difesa, ed alla fine ha vinto 95 a 89. Cantarello? Mai visto tanto pimpante con addirittura un canestro cruciale dalla lunga distanza nel finale. Il rientrante Laezza? Praticamente pochissimo durante tutta la partita, ma assolutamente devastante nel finale con due bombe delle sue che hanno deciso la partita. Cosa voglio dire con questo resoconto? Semplicemente che ancora una volta la mia teoria che si gioca molto meglio in cinque quando ognuno sa il suo ruolo (e del resto per arrivare al finale di partita ci sono prima quasi 40 minuti per trovare il giusto amalgama – basta che la gente sia intelligente e capisca quello che può dare) è stata confermata platealmente dai fatti. E che vale pagare qualcosa in difesa quando l'attacco si rivela del tutto incontenibile con i tre lunghi, ripeto, mai usati prima assieme. C.v.d.