"Grande lettura dello spazio". Troppo bella per essere vera. Siamo ai vertici più sublimi dell'ermetismo poetico. "Leggo lo spazio". Ungaretti non avrebbe saputo fare meglio. Certo che ormai stiamo galoppando a briglie sciolte. Mi è piaciuta molto la vostra disamina dei triti e ritriti modi di dire che hanno disegnato proprio il quadro che speravo venisse fuori. Quell'altra è anche micidiale: "si appoggia al tabellone". Mi credete se vi dico che la prima volta che l'ho sentita mi è venuto spontaneo di chiedere a voce alta (vivo da solo, per cui la cosa era anche abbastanza ridicola): "Perché? Stava cadendo?". Come l'abitudine sempre più radicata di non usare più la vetusta descrizione dell'esecuzione dei tiri liberi come "va a tirare in lunetta", che se ci pensate era anche un modo carino di dire (e che io pervicacemente continuo contro tutto e tutti ad usare) come "tira dalla linea della carità", modo di dire che non so da dove sia venuto e che la prima volta che l'ho sentito mi ha fatto cadere dalla sedia. Fra l'altro nel florilegio di frasi mie vere ed apocrife che circolano in rete non c'è una che ho detto veramente durante una telecronaca alle prese con un tiratore particolarmente inefficace nei tiri liberi: "la linea del tiro libero certi la chiamano linea della carità, ebbene per XY più che linea di carità è linea di disperata questua". Carità per che cavolo di ragione? Perché i tiri liberi che uno si procura sono un'elemosina degli arbitri? O cos'altro? Ora si usa molto dire che i tiri liberi sono tiri scoccati a cronometro fermo. E chiamarli semplicemente tiri liberi? Cosa ci sarebbe di male? Tutto quanto sembra onestamente un tentativo di mettersi in mostra in modo molto moderno, cioè fasullo perché falso ed irrilevante, senza alcun tipo di sostanza dietro. Ed è questo che mi fa arrabbiare. Uno dovrebbe usare neologismi o parole magari anche desuete o mai usate prima in un determinato contesto quando ha qualcosa da dire che nessuno ha detto ancora o più modestamente quando vuole esprimere un concetto un tantino più complesso, se no va benissimo usare le espressioni di uso comune, anche perché, soprattutto con un microfono in mano, ma vale anche per la carta stampata, la chiarezza è fondamentale per spiegarsi meglio e per mettere lo spettatore (o lettore) a suo agio. Usare espressioni contorte solo per "meravigliare il borghese", come dicono i francesi, è un'operazione, scusatemi, fondamentalmente disonesta. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto")
In realtà quanto ho scritto l'altra volta era più o meno un tentativo di far capire proprio questo concetto che, mi sembra, sia stato anche capito nelle sue linee fondamentali, guarda caso, più da gente più o meno della mia generazione che non dai più giovani, ormai abituati al marinismo (barocco in letteratura) più spinto ed ormai senza più veri e propri anticorpi contro questo dilagante malcostume. Sono fermamente convinto che quando si parla in pubblico sia fondamentale la vecchia massima latina del "qui bene distinguit bene docet", nel senso che per spiegare, raccontare e, perché no, insegnare le cose bisogna chiamare ogni cosa col suo nome, la stessa cosa nello stesso modo sempre, non confondere i concetti, anche se sembrano simili, perché sono proprio i dettagli e la capacità di distinguere le cose che fanno di una persona uno che ci capisce o meno, detto brutalmente. Il tutto nella massima ricerca della semplicità e della radice del concetto che si vuole esprimere, usando possibilmente il maggior buon senso di cui uno è capace. Ora bisogna vedere se coloro che ci ammanniscono tutti questi neologismi tirati per i capelli siano in effetti persone che ci capiscono o no. Da come parlano uno viene tanto intontito e, tutto sommato, preso per i fondelli, che non si raccapezza e non riesce a capirlo.
Vorrei solo chiarire ancora una cosa: non sono affatto contrario ai modi di dire, per così dire, "normali" e tutto sommato neutri. In quanto neutri infatti non disturbano e, quando semplificano un concetto, ben vengano. Per esempio non ho proprio nulla in contrario a dire di uno che ha "le mani buone", o "abili", perché in questo caso quello che si vuol dire è perfettamente chiaro e comprensibile. Lo stesso per i "piedi buoni". Perché no? Nello stesso modo si dice di uno che è una testa pensante, o lucida, o quel che volete che è comunque più che comprensibile. Però, ripeto e insisto, mani "educate" mi sembra una violenta escursione dall'apposito vaso. Come sono più che d'accordo con il commentatore a cui non piace proprio la "lettura" delle situazioni, in quanto si leggono libri, riviste, giornali, ma non certamente situazioni che sono interpretate, capite, valutate eccetera. Però purtroppo qui mi sembra che siamo alle prese con una battaglia di retroguardia, in quanto la brutta parola "lettura" ha un grandissimo merito: è semplice e, devo ammetterlo a denti stretti, rende l'idea, per cui mi sembra che ce la sorbiremo da qui in poi in modo ineluttabile. Dal canto mio provo ad usare questa parola il meno possibile andando sul descrittivo, ma purtroppo mi rendo conto che si tratta ormai di un vezzo, perché tantissime volte mi viene la voglia di usarla e me ne astengo solo con grandi sforzi, provocati anche dalla difficoltà di trovare una descrizione che sia sufficientemente breve e precisa.
Cambiando argomento: un triplice urrà per la fine della serrata NBA! Finalmente si farà chiarezza ed il basket europeo potrà ridiventare normale e soprattutto legale. La calata dei giocatori NBA io personalmente l'ho vista come una cosa neutra, nel senso che, una volta smontato il mito dei fenomeni NBA, nel senso che, a prescindere, uno che ci gioca deve essere per forza un marziano, si è visto chiaramente che come in ogni attività della vita anche lì ci sono giocatori forti, giocatori medi e brocchi senza speranza. Basta saper scegliere e poi non meravigliarsi quando uno che è palesemente brocco nell'NBA si rivela tale anche venendo in Europa. Il punto è ovviamente un altro: quelli forti se li sono presi le squadre forti, mentre quelle più scarse non sono riuscite a prendere nessuno. Onestamente avevo paura del peggio, che cioè questa invasione avrebbe falsato pesantemente i risultati della prima fase dell'Eurolega. Non è successo minimamente e, penso, per due semplici ragioni: i giocatori in libera uscita sapevano benissimo di esserlo, e dunque hanno giocato più o meno tutti quanti con il freno a mano tirato per non rischiare infortuni, certi magari anche inconsciamente e comunque tutti, penso, in buonafede, ed in più ritornando in Europa dal basket selvaggio degli States ci hanno messo del tempo per adattarsi, per cui proprio mentre riuscivano a capire quel che succede e cominciavano ad essere produttivi per il loro vero valore, ripeto, che può anche essere molto alto, nessuno nega che quelli forti lo siano veramente, la ricreazione è finita e se ne sono tornati all'ovile. La seconda ragione è che nei preliminari di Eurolega il passaggio dalle 24 squadre alle 16 della fase successiva è, se ci pensate, un filtro tutt'altro che micidiale (promossi il 67% dei partecipanti), con in più al via squadre palesemente più deboli (tipo l'Olimpija, purtroppo) che quando cadono in due nello stesso gruppo (per non far nomi quello della Montepaschi), la promozione delle altre quattro diventa pressoché automatica. Per cui danni veri non ne sono stati fatti ed alle Top 16 ci arriveranno le più meritevoli che poi si giocheranno il resto della stagione ad armi pari.
Il botto vero ed unico potrebbe essere l'eliminazione al primo turno di Milano. La quale però non ha scuse, in quanto dalla serrata dell'NBA ha approfittato più di tanti altri prendendo una vera e propria stella, per nome uno dei migliori che siano venuti in Europa. Il quale Gallinari però non ha spostato praticamente nessun equilibrio proprio perché solo nelle ultime partite ha dato l'impressione di cominciare a capire cosa avrebbe dovuto fare per rendersi utile. Se pensava di giocare come a Denver, prendendo ogni tanto qualche rimbalzo, tirando come un ossesso da fuori ed ogni tanto andando a concludere in penetrazione, allora anche il più imbecille di coloro che seguono il basket capisce al volo che era semplicemente la cosa più sbagliata che potesse fare. Per i compiti come quelli Milano aveva tutta una serie di giocatori comprati a peso d'oro sul mercato, da Fotsis a Nicholas ed è solo ovvio che il ruolo di ala tiratrice è uno, e se lo occupa Tizio, allora non può giocarci Caio, il che significa che è come non averlo. Nelle ultimissime partite ha mostrato qualche barlume di voler fare da collante della squadra, di volersi a volte anche sporcare le mani per fare quello che a Milano sarebbe servito come un bicchiere di acqua fresca ad uno perso nel deserto: fare semplicemente il lavoro sporco, copertura, aiuto, tagliafuori e rimbalzi in difesa, ed in attacco aggressività, presenza sotto canestro, capacità di punire mismatch non con tiri alla pene di segugio, ma portando il proprio uomo nelle vicinanze del canestro per provocare aiuti della difesa avversaria, o semplicemente per vedere quali fossero gli adeguamenti della difesa per prendere le contromisure necessarie (giocare in uno contro uno, scaricare dentro o riaprire). Cioè esattamente quello che fa, con molta meno classe, Mancinelli. Tutte cose che da un giocatore intelligente come Gallinari uno si sarebbe atteso che le avrebbe capite da solo (avete presente Kirilenko nel CSKA? Ebbene, uguale) e ciò anche molto prima, avendo avuto tutta un'estate con la Nazionale per arrivarci, in quanto alla Nazionale sarebbe servita esattamente la stessa cosa. Non è successo, Milano continua ad essere una squadra senza alcun tipo di gerarchia e se sarà eliminata potrà solo piangere se stessa. Non esiste che una squadra, sotto di 4 punti a sei minuti dalla fine come contro il Real, difenda bene, costringa gli avversari ad errori continui e poi, in attacco, per quattro (! - li ho contati) attacchi di fila il giocatore che porta la palla oltre metà campo palleggi per 15 secondi e poi tiri da tre senza che nessun altro compagno tocchi nel frattempo il pallone (due volte Nicholas, una volta Gallinari ed una volta Cook, se volete saperlo). Chi di voi ha giocato saprà benissimo quale voglia di difendere nell'azione successiva abbiano avuto poi gli stizziti spettatori delle prodezze (ovviamente tutte fallite) del presunto sedicente salvatore della patria. Se uno legge i nomi di Cantù o quelli di Milano trasecola: sembrano due squadre di due Leghe diverse. Eppure Cantù fa risultati e con ogni probabilità approderà alle Top 16 (il Nancy senza Batum è ridicolo, dunque basterà tenere dietro una sola altra squadra), mentre Milano no. Forse perché Cantù gioca a basket? Di squadra?