Oggi me la sono presa comoda, in quanto non sentivo alcun bisogno urgente di dire qualcosa. Non saprei infatti dire nulla di originale rispetto a quanto avete detto voi in merito a Francia-Spagna. Chissà come, quando non ci sono in ballo gli amati colori azzurri che normalmente fanno uscire dalle viscere sentimenti a volte scarsamente supportati da ragionamenti e logica, e soprattutto portano a abbarbicarsi alle proprie posizioni senza neanche degnare di un pensiero fugace le posizioni di chi non è d’accordo con convinzioni che sanno tanto di fede invece che di capolinea di ragionamenti un po’ più raffinati che pesino nel modo giusto i pro e i contro di quanto si vede e si analizza, allora come per incanto le disamine diventano obiettive, magari discordanti, ma tutte logiche e discutibili, nel senso etimologico che si discutono per vedere magari di trovare una sintesi condivisa fra le varie posizioni. Cosa che dovrebbe essere normale per una discussione seria e pacata, poi se ognuno rimane della stessa idea che aveva prima, poco male, intanto però ha sentito cosa ne pensano gli altri e, se non è stupido, ci ripenserà magari per pesare meglio una prossima volta le sue percezioni.

 

Quando però si parla di Italia le cose diventano frustranti. In sintesi disturba molto che la maggior parte dei discutenti continui a incrociare sentenze sparate per partito preso senza minimamente stare a sentire quanto dicono gli altri accusando a destra e a manca tutti coloro che non la pensano come loro di avere miopi preconcetti nel più puro solco della tradizione di una mandria di buoi che danno del cornuto all’asino di turno. Ragion di cui dell’Italia non parlo più, perché non ha senso. Chiaramente rimango convinto di quanto vado dicendo da tempo in quanto, contrariamente a quanto avete visto voi, io, ovviamente con l’audio virato sugli effetti per non ascoltare e dunque magari lasciarmi prendere dalle immaginifiche metafore di turno o dalle esclamazioni estasiate a raffica, penso di aver visto tutt’altre cose che evidentemente riescono aliene alla stragrande maggioranza, per cui rimango zitto e non parlerò più neppure sotto tortura. Per fortuna ieri sono stato invitato a pranzo da Boša Tanjević che aveva per ospiti i suoi vecchi amici di Lubiana, gente che aveva ancora giocato con lui nelle varie rappresentative giovanili jugoslave, gente insomma di straordinaria levatura sia umana che cestistica, compresi fra loro Ivo Daneu e Rado Lorbek. Fra l’altro, avendo alla mia sinistra Rado Lorbek, all’epoca direttore sportivo dell’Olimpija, e di fronte a me Boša, all’epoca allenatore della Stefanel Trieste, sono finalmente riuscito, incrociando le versioni di ambedue, a ricostruire per filo e per segno l'interessantissima storia dello scippo di Fučka dall'Olimpija alla Stefanel, storia gustosissima con particolari straordinariamente interessanti, storia che già valeva da sola la giornata. Dicevo per fortuna, in quanto parlando con loro degli Europei ho avuto la conferma che le cose le vedono più o meno come le vedo io, con ovvie varianti che però non si discontano granché da quanto vado dicendo su queste pagine da tempo. E devo dire che la cosa mi ha fatto un enorme piacere, in quanto devo dirvi che tengo infinitamente di più a quanto pensano personaggi del genere rispetto a quanto vedo scritto nei vostri commenti. Non vi offenderete, spero. E se lo fate, pazienza. Fra l'altro Tanjević ha raccontato un'interessantissima storia su quando era lui il coach della nazionale, poi vittoriosa nel '99. Non credo che l'abbia raccontata in forma confidenziale (fra l'altro, essendo un vecchio volpone, ogni volta che dice una cosa che non deve essere divulgata, dice sempre: »Sergio, mi raccomando, questo non deve uscire in nessun modo«, e su questa storia non ha detto niente), per cui penso di poterla riportare. Per dare più vivacità al racconto lo metto in prima persona, peraltro riportando abbastanza fedelmente quanto detto da Boša stesso:

“Una delle prime cose che ho voluto fare quale coach della nazionale era di fare in modo che la squadra si togliesse dalla spalla la scimmia che la perseguitava da tempo immemorabile, quella di andare sempre in soggezione e poi di perdere ogni qualvolta incontrava una squadra con su scritto Jugoslavia. Feci allora in modo che la Federazione organizzasse una serie di amichevoli contro la Jugoslavia. Giocammo la prima in casa e io caricai al massimo i miei che infatti vinsero contro una Jugoslavia per la quale quello era un match come tutti gli altri e infatti lo giocò sottogamba. Facemmo altre due partite da loro: la prima la perdemmo, ma vincemmo invece la seconda. Solo in questo modo i miei ragazzi maturarono l’intima convinzione che la Jugoslavia non fosse un babau e infatti nella semifinale dell’Europeo li triturammo. La Grecia ha perso contro la Spagna. Dimmi tu come faceva a vincere quando in due precedenti grandi manifestazioni perdette apposta due partite ridicole solo per non incontrare successivamente la Spagna? Queste sono cose che nell’animo dei giocatori si sedimentano, per cui loro della Spagna avevano semplicemente paura, visto che due volte avevano fatto apposta per evitarla. E quando giochi con questo tipo di attitudine inconscia, non puoi che perdere.”

Ecco, a me sembra una storia interessantissima che dimostra come in effetti lo sport, e il basket in particolare, sia un affare mentale, di uomini, di attitudini, prima che un’accozzaglia di numeri che vogliono dire tutto e il contrario di tutto.

Una piccola aggiunta per finire a quanto da voi detto sulla semifinale di ieri. Nessuno, secondo me, ha riportato il fatto per me estremamente significativo che la Francia, dopo avere avuto una botta clamorosa di culo con la tabellata da tre di Lauvergne che l’aveva portata al massimo vantaggio, sia stata totalmente incapace di gestire il momento favorevole, anzi andando sempre più nel pallone più la partita andava avanti, tanto da finire nel caos più totale, durato gli ultimi cinque minuti dei 40 regolamentari e tutto il supplementare, nei quali i francesi sembravano essere le classiche galline che scorrazzano per l’aia quando gli mozzi la testa. Che abbia a che fare con il manico? Che a un dato punto conta come il due di coppe quando briscola è spade, in quanto prevalgono gli istinti dei giocatori che, più sono, o si ritengono, bravi, più sono refrattari a ogni tipo di gioco di squadra? E questa cosa vi ricorda qualcosa o no?