Niente da dire, ragazzi. Andate avanti così che va bene. Volevo commentare la finale di Eurolega che Eurosport si è degnata di trasmettere, ma mi avete preceduto dicendo voi praticamente tutto quello che volevo dire io. Concordo praticamente in pieno con le pagelle di Fabrizio, soprattutto per l’alto voto dato a Moerman che forse avrebbe meritato un minutaggio superiore soprattutto nei momenti nei quali ci sono stati quei tiri da tre senza senso di Sanli. E inoltre, come sempre, “el mulo Cencio” di Siena (Gabriele) mi ha preceduto scrivendo praticamente punto per punto e virgola per virgola tutto quello che avrei voluto scrivere io. Su quanto ha scritto lui solamente qualche breve commento e chiosa. Su Larkin: il mio primo commento, espresso a voce alta come faccio sempre quando guardo le partite da solo facendomi una specie di telecronaca parallela (il lupo perde il pelo, ma non il vizio) ovviamente con l’audio girato sui suoni d’ambiente per poter vedere la partita come la vedo io e non come la vedono quelli che la commentano, che normalmente vedono tutto altro, o per meglio dire vedono cose giuste, ma irrilevanti dal mio punto di vista sorvolando su quelle veramente importanti, è stato: “perdinci, ma qualcuno deve avergli fatto un trapianto di cervello! Non è più lui!”. Grandioso.

Come ha rilevato giustamente Gabriele i primi nove punti li ha fatti tutti dalla lunetta, il che è il modo più giusto per approcciare una partita tanto importante. Prima si apre la scatola lavorando l’avversario ai fianchi, poi si colpisce. Sempre dopo, mai prima. In tutta la partita ha fatto solamente due tiri insensati, fra l’altro segnando il secondo in un momento molto importante. Però soprattutto ha cercato i compagni e, quando serviva, ha colpito in penetrazione con canestri da sotto. Semplicemente irriconoscibile, e per tutto questo grandi meriti vanno dati ad Ataman, quello che, come giustamente ricordato, ha mandato in tilt ai Mondiali con una squadra fondamentalmente di cessi i fenomeni dell’NBA. Come merito gli va dato per aver trovato la collocazione giusta a Micić, facendogli capire quello che si voleva da lui e quando (la tripla segnata sul 69 pari è stato il canestro della partita – altro commento in diretta: ”alla faccia, questo tiro potrebbe aver deciso la partita”, come poi è veramente stato), facendo in modo che lui e Larkin collaborassero senza pestarsi i piedi. Anch’io avevo visto l’Efes a metà stagione e poi basta, ma rivederli in finale è stata una rivelazione, tutta un’altra squadra, era infatti una vera squadra con i compiti ben definiti che per tutto il tempo sapeva cosa dovesse fare. E veder vincere l’Eurolega segnando solo quattro tiri da tre in quest’era nella quale sembra che esista solo il bombardamento da fuori è stato per me un formidabile balsamo per l’anima, ed è stata anche l’ennesima prova di quanto vado dicendo da una decina di anni da questa parte, che il tiro da tre è un’arma tattica, ma non può mai essere un’arma strategica. Semplicemente aiuta a vincere le partite, quando viene usato con criterio, ma non è assolutamente decisivo.

Anche su quanto detto del Barcellona concordo in pieno. Anche qui avete fatto un ottimo lavoro. Decisivo il fatto che Calathes fosse a un decimo di servizio. Il fosforo in campo si nota sempre quando manca. Bolmaro ha numeri, ma semplicemente non è un play (fra l’altro ha enormi carenze squisitamente tecniche nel palleggio e nel passaggio). Giuste le considerazioni su Higgins e qui aggiungerei che è anche grazie a lui che al CSKA poteva brillare uno dei giocatori che, più passa il tempo, più mi convinco che fosse uno dei più sopravvalutati (anche da me) giocatori della storia, cioè De Colo. Del resto basta ricordare Rigaudeau (bolognesi, nostalgia?) per vedere la stridente differenza. Sulla gestione della partita dalla panchina vorrei dire qualcosa in più coinvolgendo l’arbitraggio. Che è stato secondo me magistrale. Nel senso che si possono sbagliare fischi, come i giocatori sbagliano facili lay-up, ma non si può sbagliare l’approccio alla partita. E gli arbitri l’hanno approcciata nel modo migliore. Qualcuno ha nominato Lamonica. Sono convinto che, se l’avesse arbitrata lui, con l’elettricità palpabile che circolava in campo, sarebbe finita in rissa e a cazzotti e lui sì sarebbe stato un grande protagonista, ma, come non si dovrebbe mai dimenticare, quando un arbitro è il protagonista della partita vuol dire che ha arbitrato nel peggior modo possibile. Protagonista della partita può essere chiunque, ma mai l’arbitro. Perché semplicemente vuol dire che, se è stato lui il protagonista, l’ha condizionata in modo decisivo. E ciò è sempre profondamente sbagliato. Non conosco di persona Sašo Pukl, ma ho seguito da giornalista tutta la sua carriera. So da fonti più che sicure (Robi Siljan)  che è stato un eccellente giocatore di Serie B a Maribor ed ancora oggi è un’arma letale nelle varie partite fra arbitri. Ha dunque quella che io ritengo la dote fondamentale per ogni arbitro: essendo stato giocatore capisce benissimo gli stati d’animo di giocatori e coach. Certo, uno sbirro tipo Lamonica avrebbe cacciato dal campo Jasi che si comportava da isterico invasato, ma Pukl è stato molto più perfido. Mentre Jasi gli sbraitava di tutto in faccia da un metro Pukl rimaneva imperterrito facendo finta di non sentire. E allora Jasi è andato totalmente fuori di testa, come succede a chiunque che si accorge che l’interlocutore non gli da bado mentre lui si infervora facendogli chiaramente capire che proprio non lo defeca. Il buon Pukl ha semplicemente dato a Jasikievičius la corda giusta perché si impiccasse da solo dimenticando di guidare la sua squadra che intanto stava andando a picco. Per me questa è stata una lezione fondamentale per ogni arbitro che voglia diventare tale. Basta guardare e impararla.

Passando ad altri argomenti ho seguito con enorme interesse il dibattito fra Pado e Andrea sull’argomento da me introdotto nel post precedente. Intanto grazie di cuore a Pado per aver ribattuto alla mia filippica esattamente come mi aspettavo da lui ed altrettante grazie ad Andrea per aver più o meno ribattuto come avrei fatto io, soprattutto sull’argomento del politicamente corretto che è, detto in soldoni, in teoria una cosa stragiusta, ma che viene spesso usata a sproposito e in modo ossessivo, secondo me, e su questa mia opinione non transigo né nessuno riuscirà mai a convincermi del contrario, proprio per le ragioni che ho addotto nel mio post. Nel senso che ci si maschera dietro ad un politicamente corretto di stampo fondamentalista proprio per tentare di nascondere sotto il tappeto carenze profonde di veri sentimenti di empatia verso il diverso. Tutte cose affascinanti delle quali mi piacerebbe tanto discutere con tutti voi, anche quelli che non avete partecipato al dibattito, alla prossima sconvenscion che, detto di sfuggita, mi piacerebbe farla sabato 26 p.v. Che ne dite? La data è stata, come dire, negoziata con il nucleo di Bologna di coach Michelini, Lorenzo Sani e Ciccio Cantergiani che dopo dovrebbero essere impegnati con il preolimpico di Belgrado. Provate a vedere se riuscite a venire. Si potrebbe fare anche il sabato prima, ma ho paura che per l’epoca non ci saranno ancora le necessarie libertà di movimento, anche se qui da noi è già da ieri in vigore la zona bianca.

Tornando a quanto mi imputa Pado dovrei ancora aggiungere che forse continua a sottovalutarmi. Quando la mia esperienza di coach mi ha convinto che in effetti ci sono grandi differenze proprio di mentalità e sentimenti fra maschi e ragazze la primissima (scusa, Pado, ma devo dire “ovviamente”) domanda che mi sono posto è proprio quella fondamentale, che forse mai avrà una risposta, di cosa sia connaturato al sesso in sé e quanto invece sia frutto di condizionamenti culturali che sono tali e tanti che noi stessi non ce ne rendiamo conto. Per trovare almeno un punto di partenza nel mio ragionamento sono partito da quella che ritengo la base. La domanda chiave è: “esistono comportamenti tanto maschili che femminili che siano comuni a tutte le culture che ci sono al mondo?” Se riusciamo a trovarne qualcuno, allora avremo comunque un punto di partenza solido su cui costruire. Vorrei banalizzare il tutto per spiegarmi meglio, ripeto banalizzare e dunque non attaccatemi perché sono superficiale. Lo sono volutamente per far passare il concetto. Chiunque di noi maschi abbia avuto nella vita privata a che fare con una donna in casa sa che alcuni suoi comportamenti saranno sempre per noi del tutto incomprensibili. Per esempio, e ciò vale sia da noi che in Cina, Kuwait, Ruanda o Papuasia, ogni tanto sono prese da una compulsione irrefrenabile di cambiare l’ordine di qualcosa in casa, tipo mobili o posizione, che ne so, di piatti o bicchieri, per ragioni che a noi maschi appaiono inesistenti, visto che tutto andava per il meglio. Oppure, e la cosa fa andarci sempre in bestia, quando si intromettono nelle nostre cose per “mettere le cose in ordine”, con ciò praticamente scombussolando tutto, e noi metà delle nostre cose proprio non le ritroviamo più, perché le mettono nei posti più assurdi (per noi, per loro semplicemente i più “logici”) che noi possiamo immaginare. Ecco, secondo me, per quanto la questione sia fondamentalmente stupida e futile, questa può essere una buona base di partenza per tentare di capire dove e quando e soprattutto perché sia successo nel processo evolutivo della nostra specie in un milione e mezzo di anni che siamo su questo pianeta che le donne abbiano sviluppato questa peculiarità. Chissà, lo dico per dire, sparando a caso, forse perché è un metodo che hanno sviluppato nei millenni per marcare il territorio e dimostrare in modo simbolico chi in realtà comanda fra le mura domestiche.

Ripeto, l’esempio è stupido, ma rende l’idea, penso, del metodo di ragionamento che ho usato per arrivare alle mie conclusioni sulla differente importanza che ha la vita affettiva sul resto del proprio comportamento per maschi e femmine. Che ne dite, se ve lo spiego alla sconvenscion, ci venite?

E infine ancora un paio di considerazioni sul nuoto e sulle domande di Llandre con qualche chiosa sulla meticolosa e enciclopedica esposizione di Cicciobruttino sulla storia del nuoto. Quanto dice lui sulla differenza fra delfino e dorso è esattissima, addirittura per difetto. Se fra i maschi la differenza fra un tempo mondiale sui 100 delfino (50” basso) e 100 dorso (attorno ai 52” netti) è di neanche due secondi (non tre), sui 200 le differenze in pratica si annullano, per cui a livello dei migliori 10 tempi stagionali al mondo le differenze sulla media sono minime. C’è stato addirittura un periodo, quello del più grande nuotatore di tutti tempi, il leggendario Roland Matthes, atleta DDR (ovviamente classe ’50 come Spitz e chi scrive) totalmente fuori da qualsiasi schema assimilabile a un atleta di quel paese, casinista, che non aveva voglia di allenarsi, che scaraventava a sorpresa in acqua i colleghi durante gli allenamenti (visto con i miei occhi a Belgrado nel ’73), uomo pesce se ce ne è mai stato uno, quello insomma che batteva i primati mondiali con il contagocce (leggendaria la frenata finale dopo sguardo al tabellone agli Europei di Barcellona del ’70, quando riuscì nuotando al contrario a non polverizzare il primato precedente, ma solo a migliorarlo, visto che nella DDR si prendevano bonus a parte per ogni mondiale battuto), periodo, dicevo (scusate, ma parlare di Matthes apre vere e proprie cateratte di ricordi) nel quale, prima dell’avvento di Mark Spitz, il suo record mondiale dei 200 dorso era migliore rispetto a quello sui 200 delfino. Per le ragazze, meno potenti dei maschi (è sessismo anche questo?), la differenza è ancora minore. Guardate i tempi degli ultimi Europei: sbaglierò, ma penso che con il tempo con il quale la Panziera ha vinto i 200 dorso sarebbe salita addirittura sul podio dei 200 delfino, o se non sul podio, sicuramente in finale. Del resto basta nuotare i due stili per accorgersene. Nel dorso, stile naturale da riposo, intanto stai a galla senza fare nulla e, se voi muoverti, muovi le braccia alla velocità e con l’intensità che vuoi. Nel delfino, o lo nuoti o affondi, e quando non riesci più a spingere quel tanto da fare in modo che le braccia escano dall’acqua per riportarle davanti alla testa semplicemente ti areni in modo patetico. Per cui state pur sicuri che una gara sui 1500 delfino mai sarà nuotata. E’ semplicemente impossibile tirare il delfino per più di 300-350 metri, facciamo anche mezzo chilometro, ma non di più, anche per quelli più allenati. La rana è lo stile più riposante perché, come dice Franz, non occorre portare le braccia fuori dall’acqua, ed è assimilabile, come qualcuno ha giustamente osservato, a quella che è la camminata sulla terraferma. E come la marcia agonistica è una camminata veloce nella quale vince sostanzialmente chi riesce a mascherare nel migliore dei modi il fatto che in realtà corre, così nella rana agonistica moderna vince chi riesce a nascondere il fatto che in realtà, soprattutto con la battuta di gambe, sta nuotando a delfino.

Per finire il crawl, la vera e propria corsa del nuoto, secondo me, che sono in realtà un fondamentalista, l’unico vero stile del nuoto, perché quello più logico, idrodinamico e tutto sommato naturale per la simmetria dei movimenti. Ammetto i 100 e 200 artistici, onestamente mi piacciono anche i misti, ma aborro i 50 nelle nuotate artistiche. Non hanno letteralmente senso, visto fra l’altro che quasi metà gara si svolge sotto acqua. I 50 crawl no: sono l’unica gara di sprint nel nuoto, l’unica nella quale il tempo di percorrenza permette uno sforzo completamente anaerobico, per cui ben venga anche una gara per i veri sprinter (i 100 no: sono uno sprint prolungato ibrido, come i 400 in atletica).

E infine una domanda: lo stile primigenio evocato da Cicciobruttino a Trieste lo chiamiamo “nuotata a mezza nave”. Come si chiama da altre parti?