Mi scuso per il diradarsi dei miei interventi, anche se noto con piacere che comunque non demordete. A parziale scusante devo addurre per quest'ultima settimana gli impegni di lavoro, dovendo seguire per TV Capodistria il mio secondo sport, il nuoto, con commenti e servizi sugli Europei in vasca corta. Detto di sfuggita la vasca da 25 metri mi sta fortemente sulle scatole, perché soprattutto in rana ed a farfalla si assiste di continuo a 15 metri di subacquea e 10 di nuotata, cosa che a me, che mi piace il nuoto e non le attività da sub, disturba non poco.
E comunque di argomenti cestistici ce ne sono ben pochi, se non si vuole di continuo parlare di Milano e di Gallinari, cosa diventata ormai per me stucchevole, perché, più mi sforzo di farmi capire, più vengo frainteso, per cui basta. Nessuno ha detto e tanto meno posso pensarlo, perché suppongo di non essere un idiota, che Gallinari sia scarso, ho solo detto, e lo ripeto fino allo sfinimento, che avrebbe potuto essere semplicemente molto più forte se solo avesse fatto i passi giusti nel suo sviluppo tecnico e nella sua carriera. Tutto qua.
Però proprio ieri un argomento interessante si è proposto da sé, venendo a galla in due suoi aspetti probabilmente connessi, anzi secondo me fortemente correlati, in due diversi momenti della mia giornata. Al mattino, al solito caffè in bar assieme a Robi Siljan, dove si discute di tutto e di più, eravamo arrivati (purtroppo le nostre discussioni sono un po' limitate, perché in ambito cestistico abbiamo esattamente le stesse opinioni, per cui non facciamo che darci di continuo ragione) alla conclusione che oggigiorno si siano dimenticati interi settori di tecnica individuale e di squadra sui quali i nostri istruttori (anche quelli di Robi, per quanto abbia 16 anni meno di me) invece puntavano tantissimo massacrandoci in allenamento con ripetizioni e correzioni continue. Per esempio dicevamo che non si vede più quello che ci veniva detto di continuo: la guardia che in contropiede (per noi transizione, o contropiede secondario, era tutto un altro concetto) può tirare sull'ex linea tratteggiata del cerchio della lunetta dell'area degli ex tre secondi e non lo fa viene sostituita di colpo, perché di uno che gioca a basket in qualsiasi lega si pretende che da due metri da posizione centrale segni in sospensione. Come è andata in completo dimenticatoio tutta la tecnica di squadra che ci veniva ammannita a dosi di cavallo sulla conduzione del contropiede e delle situazioni di soprannumero, leggi 2 contro 1, 3 contro 2, ed addirittura 4 contro 3 con alla fine l'inserimento del secondo rimorchio (questa sì che la chiamavamo transizione). Nel 2 contro 1, che sembra facilissimo, ci sono due cose fondamentali: una sono ovviamente le linee che devono essere occupate dagli attaccanti, simmetriche rispetto all'asse centrale del campo, ma molto più importante è il momento in cui viene passata la palla per la conclusione, che non deve essere né troppo presto, né ovviamente troppo tardi, quando non c'è più l'angolo per l'appoggio a canestro (perché si usa la parola inglese layup che in effetti anche etimologicamente vuole dire esattamente la stessa cosa? Da lay up – mettere su ad a-poggio, non esprimono forse esattamente lo stesso identico concetto?), e soprattutto quando il difensore ha inequivocabilmente palesato le sue intenzioni su chi dei due andare. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto").
Inutile dire che non si conosce più la famosa finta difensiva di fingere di andare sul portatore di palla per costringerlo a recuperare il palleggio magari ancora a tre quarti campo per poi lasciarlo di colpo andando a chiudere la linea di passaggio col poveraccio che fa figure barbine cominciando il terzo tempo a distanza impossibile con finali esilaranti. In questi ultimi 20 anni questa finta l'ho vista fare una volta sola, dalla famosa playmakerina di Notre Dame di cui ormai mi sfugge il nome negli ultimi minuti del match di semifinale del campionato NCAA che a punteggio in bilico ha spostato in pochi secondi 4 punti (figura barbina in entrata dell'attaccante in terzo tempo e pronto contropiede in schiena). Inutile dire che da questa situazione i giovani giocatori traggono importantissime lezioni di interpretazione e tempistica di passaggio che poi serve loro in una miriade di altre situazioni. Oltre a fare ovviamente tante corse che servono a mo' di preparazione atletica. Il 3 contro 2 ci veniva insegnato "ab ovo": dal passaggio d'apertura alla guardia che doveva occupare la corsia centrale in palleggio, in quanto era regola tassativa che la palla dovesse varcare la linea centrale del campo entro il cerchio del salto a due, costringendo i due difensori alla famosa copertura ad elle lasciando dietro un solo difensore contro due attaccanti che in effetti si trovavano in una situazione di 2 contro 1. Se nessuno dei due copriva il centrale, allora interveniva la regola detta sopra per cui lui, arrivato sulla famosa ex linea tratteggiata, doveva arrestarsi, tirare e ovviamente anche segnare. Oggigiorno si vedono contropiedi 3 contro 2 fatti a pene di anziano segugio con la palla portata sulla linea laterale, cosa che a mio parere per semplici ragioni fisiche taglia fuori dal gioco l'ala che corre dall'altra parte del campo che non può ricevere in nessun modo una palla utile mancando proprio l'angolo di passaggio, oltre al fatto ovviamente che, più lungo è, più il passaggio è difficile, per cui perché corra e fatichi mi riesce sempre impossibile comprendere. Ed il bello è che nessuno dice niente! Una megacagata del genere sembra normale e sfiga se non hanno fatto canestro! Mentre a me, che sono di natura filosoficamente pigro, per cui la cosa che odio di più è faticare per niente, sembra un delitto contro la natura umana che nella mia concezione deve sempre ottenere il massimo col minimo sforzo e non sprecare violente corse per nulla. Se invece per qualche arcana ragione la palla varca la linea in posizione centrale, chissà come il contropiede riesce sempre. Poi magari sbagliano il tempo dell'ultimo passaggio, non avendo fatto abbastanza 2 contro 1, ma questo è un altro discorso. Lasciamo poi stare gli spostamenti sull'arrivo del primo rimorchio (o traino, come si chiama adesso?) per fargli spazio ed iniziare la fase della transizione vera e propria, perché qui entriamo già a parlare di argomenti quasi metafisici per il basket moderno.
Ci sarebbe poi il discorso sul tagliafuori difensivo che noi a volte facevamo per allenamenti interi fra le urla dell'istruttore ("perché non lo chiudi? Hai paura di fargli male? Non è mica tuo fratello!"), ma i capitoli interi di tecnica individuale, per non parlare di tattica individuale, come la chiamano nell'ex Jugo, che sono stati accantonati, e spero vivamente non ancora totalmente dimenticati nell'istruzione dei giovani sono tanti che uno (anzi due, Robi ed io) si chiede perché mai sia successo.
Poi ieri sera, non avendo voglia di stare a casa a guardare l'Eurolega ho accompagnato mio fratello a vedere la partita di Serie C femminile, nella quale era stata inserita per premio anche mia nipote, cosa che ci ha reso ovviamente ambedue molto fieri. La squadra di mia nipote, ancora prima in classifica a punteggio pieno prima dello scontro diretto contro l'unica avversaria all'altezza, è formata da giocatrici ancora quasi tutte giovani (20-22 anni), tutte dotate di ottima scuola ed allenate da un allenatore bravissimo che cura tutto il movimento della Societa', dalle Under 15 alla prima squadra allevando le ragazze in modo ammirevole e quasi inconcepibile di questi tempi. Avversarie erano una squadra Under 19 di un'altra città della Regione che grazie alla benemerita regola del doppio tesseramento possono giocare due campionati, cioè il proprio ed anche quello senior in una squadra praticamente creata ad hoc. Queste qua a livello giovanile sono delle vere e proprie califfe ed infatti lottano alla pari in Regione con le migliori squadre triestine (Ginnastica ed Interclub), per cui sono ai vertici del movimento giovanile in Italia e lo sono state da sempre, cioè dai tempi dell'Under 15, in quanto sono una selezione che è stata fatta prestissimo (lasciando a 14 anni in braghe di tela tante altre volonterose ragazze, ma questo è un discorso tristissimo che non voglio neppure sfiorare, perché se no mi incazzo come una iena) e che dunque prestissimo ha cominciato a vincere. Ora hanno tutte 18-19 anni, età già matura per le ragazze e fisicamente a vederle sembravano addirittura meglio delle "nostre" (per convenienza, "nostre" sono la squadra di mia nipote). Per dire, nel campionato Under 19 le "nostre" hanno subito da loro una dura paga. Risultato ieri? 83 a 40 per le "nostre" (commento di Irina: "zio, che soddisfazione! Sono 5 anni che fanno le gradasse – la vera parola è ovviamente un'altra – contro di noi nelle giovanili ed ora hanno capito cosa si prova a prendere un'asfaltata). E ciò solo per la semplicissima ragione che una squadra sapeva giocare e giocava a pallacanestro, l'altra della pallacanestro vera non aveva la più pallida idea. E per pallacanestro vera intendo la capacità di giocare in 5 contro 5 in difesa ed in attacco, di cercare le soluzioni migliori, di capire e leggere (scusate) le situazioni come si venivano a creare per trovare la soluzione contingente migliore, insomma le une giocavano, le altre...boh? Difendevano in modo selvaggio correndo apparentemente senza senso da una parte all'altra del campo tentando di sfoderare quella specie di pseudopressing che tanto successo porta a livello giovanile in presenza di palesi superiorità fisiche e di esperienza (nonché anche, perché no, di doti – se no non le avrebbero selezionate, mi pare) lasciando autostrade enormi alle "nostre" che senza troppo senso "sportivo" le sfruttavano prontamente segnando canestri a volte facili in modo imbarazzante. In attacco la classica azione era l'ovvio 1 contro 1 che poi si trasforma al primo aiuto (che a livello giovanile contro la maggior parte delle avversarie non arriva) in schianto con conseguente palla persa. Oppure in uno scarico affannato di puro stampo difensivo tanto per non perdere la palla con conseguente ripetizione della stessa cosa per un paio di volte. Esagero un po' ovviamente, ma è per rendere l'idea della filosofia che sottintende a quest'approccio al basket. Un po' in forma quasi caricaturale quello che avviene nell'NBA. La conclusione che ne ho tratto, memore anche della discussione della mattina, è che la mania di vincere titoli giovanili, o in subordine, di essere comunque competitivi a livello giovanile a livello di risultati, porta, per vincere, a fare cose che sono utili al momento, ma che in realtà non servono a niente, anzi, più passa il tempo, più che inutili, diventano dannose. Cosa che mi ha sempre più convinto che il movimento giovanile, per come è concepito da noi, è una cacca ancora più putrida e puzzolente di quanto non supponessi, nel senso anche che, più una società ha soldi e più investe, più vuole vincere, dunque peggio istruisce i suoi giovani creando un circolo vizioso terribile, dal quale non si esce, perché nelle nazionali giovanili non verranno mai chiamati i giocatori delle piccole squadre di serie B2 o C1, gli unici che, giocando in ambienti più sani o anche avendo coach più umani, meno costretti a vincere per portare ogni mese a casa una busta paga, avrebbero qualche vaga speranza di imparare a giocare a basket. Magari imparando finalmente come si fa un tagliafuori o si conduce un contropiede.