Vorrei subito, per quel che vale, consolare vincentvega e moka: siamo comunque almeno in tre. Se c’è una cosa che non ho mai fatto, perché la ritengo totalmente irrilevante, è valutare un giocatore per i titoli che ha vinto. Un grande giocatore semplicemente rende più forte la squadra in cui gioca: se poi la squadra, per quanto lui possa portarla a livelli impensabili, è comunque inferiore a qualcun altra, pazienza. Lui il suo l’ha più che fatto. Fra l’altro mi ha molto incuriosito il vostro excursus sui grandi del passato dell’NBA, soprattutto per le enormi lacune e omissioni che, a mio avviso che ho ahimè qualche anno più di voi, avete palesato. Per esempio nessuno ha parlato di grandissimi playmaker che ci sono stati molto prima di John Stockton. A occhio, se proprio non vogliamo parlare di Bob Cousy che giocava agli albori del basket moderno, Tiny Archibald o l’immenso senatore Bill Bradley una qualche nomination la meritavano di sicuro. E ancora. Guardate che, oltre a Maravich e Bird, ci sono stati tantissimi altri giocatori di pelle chiara che sono stati campioni inimitabili. I primi nomi che mi vengono in mente sono quelli della più pura guardia, o numero due che dir si voglia, della storia che è stato Jerry West, o dell’altrettanto più pura ala piccola che ci sia mai stata, di nome Bill Havlicek, o ancora lo straordinario e irripetibile Bill Walton di UCLA e dell’unico anello vinto da Portland, e lui sì che vinse l’anello da solo, visto quello che ha fatto poi la squadra quando lui si è infortunato. E potete credermi che il Walton che avete visto vincere con i Celtics era sì e no il 30% del “vero” Bill Walton. E Moses Malone, allora? Mister consistenza e rendimento, uno che ha fatto probabilmente una mole di lavoro sporco della massima utilità superiore a quello fatto in tutta la carriera da tutta una serie di stelle da voi altamente celebrate messe assieme. Per non parlare poi di Bill Russell, probabilmente il pivot, per rendimento e utilità a favore della squadra, più grande che mai ci sia stato. Insomma, quello che voglio dire è che parlare di straordinari campioni di epoche diverse è esattamente una gigantesca sega mentale di nessuna utilità.
Non posso però non riportare quanto detto a suo tempo da Buck Williams in un’intervista che ho sentito guardando un documentario su Arvidas Sabonis. Domanda: ”Cosa pensa che sarebbe successo se Sabonis fosse arrivato da voi quando era ancora giovane e sano?” “Sono convinto che adesso girerei con qualche anello in più di quelli che non ho mai vinto”. Per non parlare dei tentativi disperati scomodando le autorità politiche ai massimi livelli che Red Auerbach aveva fatto, in piena guerra fredda, per portare Sabonis dall’URSS ai Celtics.
Ancora una precisazione che deve essere fatta, visto che fra quelli mi leggono i sordi che non vogliono sentire sono evidentemente molti di più di quanto uno si attenderebbe prendendo in considerazione il fatto che qui si dovrebbe essere fra persone raziocinanti, cioè fra persone per le quali la testa non è solamente un appendi-cappelli. Quando uno parla di decadenza è solo ovvio, non ritenendomi un idiota, che do per scontato che anche in periodi come questi il campione possa nascere. L’unica cosa è che ne nascono di meno. Se ne nascono in percentuale sempre di meno, siamo in decadenza, se ne nascono in percentuale sempre di più, siamo nel rinascimento. Tutto qua. E’ praticamente un’equazione matematica. Nessuno nega che Kevin Durant sia uno dei più grandi giocatori all-time. Il problema è che come lui ce ne sono ben pochi, se volete la mia opinione, non ce n’è nessuno, ma qui valgono le valutazioni personali, per cui per favore lasciate stare polemiche tentando di convincermi che il Reverendo è invece lui il più grande. Per me non lo è. Punto e basta. Amici come prima. Il discorso è invece molto più ampio e riguarda il reclutamento, la filosofia del gioco, la scuola tecnica che viene impartita alle nuove leve, il loro livello di comprensione del gioco, tutte cose che richiederebbero analisi serie e approfondite e non slogan stupidi buttati qua e là.
Tornando ai Mondiali. Purtroppo mi fa cadere le braccia e penso a quanto poco sia considerata la mia povera, piccola e misconosciuta Slovenia quando anche un amico come Leo la paragona a Finlandia e Ucraina e esprime l’opinione che l’Italia sia attualmente sicuramente più forte. Non esageriamo, per favore. Siamo comunque ai Mondiali (l’Italia no), dopo tre partite siamo imbattuti, abbiamo spazzato via l’Australia che ha poi battuto la Lituania, insomma, dai, almeno un po’ di considerazione la meritiamo. Va be’ che siamo indeboliti, ma dire che l’Italia ci batte di sicuro mi sembra eccessivo, molto eccessivo. Pietà!
Confermato che il livello tecnico mi sembra irrimediabilmente scarso con gente anche di nome che letteralmente non sa manovrare la palla, per cui mi sembra di vedere le immagini del basket dei primi anni ’60 quando i fondamentali erano un’opinione e ognuno giocava come aveva imparato da solo sul campetto con esiti a volte bizzarri, sono anch’io dell’opinione che si tratta di Mondiali divertenti con partite equilibrate, con spesso e volentieri finali dal divertimento assicurato, con partite insomma che si fanno vedere anche perché, e qui mi unisco al plauso della maggior parte di voi, i commenti su Sportitalia mi sembrano molto buoni e equilibrati con i cronisti che rispetto al solito sbraitano nettamente di meno rispetto a quanto facevano prima, per cui viene a galla la loro preparazione (giusta, fra l’altro, in quanto ci danno informazioni interessanti e a volte vitali sorvolando sui vari gossip che infestano le telecronache Sky e dei quali non frega nulla a nessuno), in ciò sicuramente aiutati dal commento tecnico che è veramente ottimo con informazioni concise, anche se a volte inutilmente troppo tecniche con sfoggio di conoscenze teoriche sicuramente lodevoli, ma che potrebbero essere spiegate al vulgo in termini molto più terra-terra, e soprattutto ogni volta perfettamente attinenti a quanto si svolge in campo, contrariamente a quello che avviene su un’altra, molto più grande, emittente che tutti noi contribuiamo a sostenere e che non mi ha permesso, per tortura psico-fisica e conseguente tentativo di distruggere l’apparecchio TV, di seguire, se non per brevissimi spezzoni prima della tumultuosa, inevitabile e incontrollabile salita della pressione, le partite del torneo di Trieste e delle qualificazioni europee.
Di sfuggita mi spiace per il mio amico Guerrino Cerebuch che, secondo quanto ho letto oggi su un giornale sloveno, sarebbe stato sospeso per l’inaudito fischio finale che ha regalato la vittoria alla Francia contro la Serbia. Sta finendo una gloriosa carriera. C’era proprio il bisogno di macchiarla così, con un fischio allucinante che ha direttamente deciso una partita che ogni essere umano normale avrebbe portato tranquillamente al supplementare come ormai erano palesemente rassegnati a fare gli stessi giocatori? Ma cosa gli ha preso? Totalmente incomprensibile. Fra l’altro, commentando con Robi Siljan l’episodio, lui mi ha ricordato cosa disse Boša Tanjević a suo tempo: “Sull’ultima azione è fallo solo quando finisci con un coltello nella schiena.”
Prima di parlare delle squadre, cosa che farò in un secondo tempo (molto secondo, se non terzo, in quanto Tommaso parte domani per lavoro per l’Inghilterra per girare un documentario su cinque fratelli inglesi di origini slovene che, per desiderio del padre, emigrante nostalgico della patria abbandonata, giocano per la nazionale slovena di rugby, per cui torna solo lunedì prossimo), vorrei solo sottolineare il pregio maggiore di una competizione come il Mondiale. Pregio che secondo la maggioranza degli appassionati è invece il suo maggior difetto, quello cioè di vedere al via una quantità enorme di squadre di Paesi esotici che all’impatto con le corazzate americo-europee, perdono subito e se ne vanno a casa, per cui tanti si chiedono cosa cavolo siano venuti a farci, ai Mondiali. Veder giocare le squadre asiatiche e africane è invece per me una boccata di aria fresca assoluta. Loro sono lontane da tutti i trend mondiali, i loro giocatori evoluiscono in condizioni totalmente autarchiche, per cui la loro concezione del basket è totalmente diversa dal mainstream imperante da noi, nel mondo cestisticamente sviluppato, una concezione fai-da-te che, almeno per quanto mi riguarda, mi porta a ragionare sui fondamenti “veri” del nostro sport, insomma mi fa ragionare su quanto, nel nostro gioco occidentale, ci sia di spontaneo e quanto invece di “imparato”, di stereotipo culturale. Mi ha fatto pensare quanto detto ieri da Goran Dragić dopo la partita della Slovenia contro la Corea, pari dopo il primo tempo e poi vinta di quasi 20 senza storia nel secondo tempo: “all’inizio non capivamo nulla di quanto loro facessero in campo, facevano azioni che nessuno di noi in vita nostra aveva mai visto fare. Ci abbiamo messo un tempo intero a capire come giocavano e solo allora siamo riusciti a andar via”. Abbiamo visto tutti le Filippine, come giocano. O il Messico, che nel primo quarto ha dato lezioni di basic basket alla Lituania che non capiva come mai uno (Cruz), battuta la prima linea difensiva, invece di scaricare verso la linea dei tre punti, semplicemente tirava a canestro segnando. Infatti il giorno dopo, seduti davanti al caffè, con Robi ci siamo detti quasi all’unisono: “Ieri nel primo quarto di Messico-Lituania ho goduto come un suino!” O ancora come giocano il Senegal o l’Angola. Chiaro, si tratta di squadre con giocatori senza esperienza, ma soprattutto senza un’adeguata base tecnica, per cui, quando il gioco si fa duro e si entra nei momenti importanti, si sciolgono come neve al sole e perdono (a volte, quelle africane, chiedere alla Croazia, invece vincono). Ciò però assolutamente non inficia il fatto che anche noi, che sappiamo tutto, abbiamo sempre qualcosa di nuovo da imparare. Se non altro che non esiste solo il nostro modo di vedere le cose, ma che la realtà è estremamente più complicata di quanto noi, nella nostra immensa auto-difensiva pigrizia, pensiamo.