Oggi preparavo un servizio da mettere in onda nel nostro magazine Zona sport su TV Capodistria con l'intervista che avevo fatto a Jaka Lakovič quest'estate, quando a Doberdò del Lago, comune della provincia di Gorizia abitato da gente di etnia slovena, località originaria del nonno e dove Jaka ha ancora moltissimi parenti ai quali fa regolarmente visita, essendo molto legato alle sue origini, ha ricevuto la cittadinanza onoraria regalando per l'occasione al paese due canestri per il campetto all'aperto. Ripercorrendo la sua carriera mi ha molto colpito la risposta che mi ha dato alla domanda di quale fu il suo impatto con Želimir Obradović quando approdò al Panathinaikos nove anni fa. Riporto testualmente dalla traduzione della trascrizione:
"Fenomenale, assolutamente fenomenale. Ed anche molto duro. Quando sono arrivato al Panathinaikos ero il secondo miglior marcatore dell'Eurolega (col Krka -N.d.A.), uno dei giocatori con la valutazione più alta, e invece la prima metà della mia prima stagione fu un periodo di puro e semplice apprendistato. Coach Obradović è stato il mio mentore, severo come un secondo padre. Per ogni cosa che facevo subivo un rimprovero, la colpa era sempre mia anche quando l'errore lo facevano gli altri, mi urlava letteralmente per ogni cosa che facevo, e ciò perché voleva che imparassi, che lavorassi per diventare il futuro leader del Panathinaikos, cosa che si è poi verificata già nella seconda stagione. A Obradović sarò eternamente riconoscente, perché lui mi ha dato il sapere cestistico che non acquisisci da solo quando sei giovane, quello che solo un grande allenatore può darti, di insegnarti ad essere il leader di una grande squadra." (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto").
Il commento mio a queste parole è molto sintetico, racchiuso nella chiosa che ho messo nel servizio e che vi riporto anch'essa com'è, testuale:
Amen. Parole sante. Scolpite nella pietra che dovrebbero far fischiare come treni in un tunnel le orecchie di tanti pseudocoachetti di casa nostra che pensano di essere tali perché conoscono a perfezione lo schema a trapezoide rovesciato della Pinkaw Pallin University.
Preparando il servizio mi è balzato all'attenzione anche un altro fatto. Jaka ha cominciato a giocare nello Slovan, la seconda squadra di Lubiana. Ora, fermo restando che l'Olimpija ha da molti anni a questa parte un settore giovanile che te lo raccomando, rimane purtuttavia vero che Lubiana, con tutto il suo hinterland, supera a malapena i 300.000 abitanti, un bacino di reclutamento paragonabile a quello che può avere una città pur in decadenza qual è Trieste. Eppure lo Slovan, diciamo così negli ultimi 15 anni, ha allevato, nel vero senso della parola, hanno cioe' fatto tutta la trafila delle giovanili col club, i seguenti giocatori che più o meno tutta l'Europa conosce. Elencandoli in ordine cronologico dal più anziano al più giovane sono: Rašo Nesterović (classe '56), Jaka Lakovič ('78), Marko Maravić ('79), Miha Zupan ('82), Uroš Slokar ('83), Goran Dragić ('86), Gašper Vidmar ('87). Ora, come già detto, hanno lanciato anche il fratello di Goran, Zoran Dragić, che si sta facendo benissimo le ossa in Lega adriatica col Krka. Questo per dire solamente dei più famosi, perché ce ne sono tanti altri di buon livello, certamente però non di livello internazionale (Jaka Klobučar, per dirne uno). Tanto per quanto riguarda i giocatori costruiti in casa. Se andiamo a vedere le escursioni che lo Slovan ha fatto all'estero rimaniamo ugualmente esterrefatti. Sempre circa 15 anni fa quando decisero di ricostruire il vivaio (coach Tomo Mahorič, come vedete il manico c'entra sempre) mandarono una spedizione in Georgia, e furono i primi ad avere l'idea di andare a vedere cosa succedeva sul Caucaso, portando indietro tre giovani di belle speranze e nessuna conoscenza cestistica che si chiamavano Stepania, Boisa e Ckitašvili. Un paio d'anni fa fecero un raid nella Repubblica Ceca portando con sé il 16-enne Jan Vesely. Ancora prima, recatisi in Bosnia, prelevarono un bambino di nome Emir Preldžić naturalizzandolo frettolosamente appena tornati indietro. Rileggete i nomi che vi ho citato e non ditemi che con due buoni rinforzi questa squadra non possa essere in seria corsa per vincere l'Eurolega. Ripeto, tutto questo è stato fatto dalla seconda squadra di una città di 300.000 abitanti con disponibilità economiche assolutamente risibili.
Quando dunque qualcuno mi viene a dire che una grande squadra non può contare granché sul proprio vivaio, mi viene sempre in mente l'esempio dello Slovan e mi dico: e perché mai? Già ora una qualsiasi squadra di Serie A (pardon, di LegaUno) destina ai propri vivai molti, ma molti più soldi di quanti non ne destinasse lo Slovan mentre produceva tutti questi giocatori. Coma mai allora non ne viene fuori che uno buono ogni morte di papa? Evidentemente perché non si sa fare (ricordatevi le parole di Jaka Lakovič all'inizio sugli allenatori "veri"). Se si vuole mettere in piedi un vivaio serio, che cominci a produrre giocatori, bisogna evidentemente avere un progetto a lungo termine, un progetto che produrrà i suoi primi risultati appena dopo 6-7 anni. Produrre un giocatore significa avere capacità fuori dal comune, bisogna riconoscere il talento potenziale abitualmente fra i più disgraziati ed imbranati fra i piccoli che si presentano ad una leva, mentre per vincere gli insignificanti e demenziali campionati di bambini bastano i nanetti precoci che poi ovviamente si perdono per strada appena entrati nell'adolescenza creando così una schiera di frustrati che hanno sprecato inutilmente anni della propria vita mentre per esempio avrebbero potuto essere calciatori di assoluto vertice. Insomma bisogna avere il coraggio di mandare in assoluta malora i campionati di categoria e di affidare tutto il vivaio alle persone più capaci e competenti che si possano trovare, delegando i giovani coach appena reduci dalle varie agghiaccianti infornate che vengono dai corsi allenatori a mansioni di scout, organizzazione logistica, contatti con le Autorità, tutto quello che volete, basta che non mettano piede in palestra a voler insegnare il loro basket. Guarda caso allo Slovan il progetto fu lanciato da Tomo Mahorič ed è ora egregiamente proseguito dal suo successore Miro Alilovič che non è per niente che, per quanto sia giovane, sia da molto tempo a capo del settore giovanile dello Slovan.
L'esempio della società lubianese dimostra che si può fare, basta fortemente volerlo e soprattutto saperlo. Guardando il panorama italiano comunque cadono le braccia, in quanto ormai i settori giovanili sono tutti in mano ai presuntuosi bambocci descritti sopra, mentre i veri grandi istruttori di una volta o sono in pensione o semplicemente non li fanno lavorare più. Tornando all'esempio del mio amico Franco Stibiel, citato in un post precedente per una sua straordinaria e fulminante battuta, che infatti ora fa tutto meno che l'istruttore, narrerò a mo' di apologo un aneddoto. Tanto tempo fa allenava la squadra triestina dell'Alabarda. Per rimpolpare il settore giovanile ebbe un'idea geniale. Convocò la sua squadra cadetti e fece loro questo discorso: "Ragazzi, chi di voi mi porterà all'allenamento uno nuovo che sia alto più di due metri, e non importa che abbia mai preso in mano un pallone di basket, giocherà titolare per tutto il campionato". Ovviamente i ragazzi si scatenarono alla caccia ed uno dei primi che fu portato in palestra, incontrato per caso sul tram, fu un ragazzone di nome Renzo Vecchiato.