Scusate il ritardo, ma ero impegnato con i Mondiali di sci nordico e, visto che faccio telecronache di fondo ad ogni abdicazione di papa, dovevo prepararmi, per cui il basket è abbastanza sceso nella lista delle priorità del mio interesse.
Allora un po' di miscellanea traendo gli spunti dai vostri copiosi commenti al mio post precedente. Comincio subito dagli sport invernali, visto che sono ancora "fresco". Prima di tutto sul biathlon. Che a me piace tantissimo e lo guardo sempre, soprattutto quando sono in programma gare a inseguimento o in linea. Il fatto che abbini sci di fondo e tiro, due sport che in teoria nulla hanno in comune, non mi sembra per niente un motivo invalidante per non apprezzarlo. La genesi è ovvia: il biathlon è nato come sport tipicamente militare, una specie di pentathlon moderno invernale. Era infatti la palestra principale per le truppe scelte invernali che, ovviamente, dovevano sapere andare sugli sci e, quando serviva, sparare nel modo più preciso possibile ai nemici. Se controllate, vedrete infatti che il biathlon fino a non tantissimi anni fa faceva parte della Federazione mondiale di pentathlon moderno e solo quando i tedeschi (quando si spara...) hanno capito che aveva un grandissimo potenziale attrattivo per gli spettatori hanno fatto in modo che si emancipasse fondando l' IBU (International Biathlon Union) come Federazione a parte. Ora il biathlon è tanto popolare che in Germania, ma anche in Norvegia, addirittura, oltre che per esempio in Slovenia ed in altre nazioni relativamente (agli sport invernali intendo – non sia mai che sottovaluti i nostri grandi fratelli slavi del nord!) minori tipo la Repubblica ceca e altre, la prima scelta di coloro che si avvicinano al fondo. Che appunto vengono dirottati al fondo solo se proprio non riescono a tenere un fucile in mano. Esemplare il caso della biathleta tedesca Miriam Goessner che ha fatto una capatina in Val di Fiemme durante una pausa della Coppa del mondo subito dopo i suoi Mondiali ed è arrivata a cinque decimi di secondo dal bronzo nella 10 km a tecnica libera (a 21 secondi dalla Bjoergen!) ed è stata di gran lunga la miglior tedesca ai Mondiali. Oppure la finlandese Kaisa Maekaeraeinen, 13.esima nella stessa gara e terza miglior finlandese. O, se per quello, la svizzera Selina Gasparin, di gran lunga la miglior fondista del suo Paese pur facendo di professione la biathleta. Ricorderete anche che Ole Einar Bjoerndalen vinse una gara di Coppa del mondo di fondo e che Lars Berger, anche se in circostanze particolari, fu addirittura Campione del mondo a Sapporo. Il quale Berger ha una sorella, Tora, che quest'anno domina nel biathlon e che se gareggiasse nel fondo sarebbe del livello almeno della Steira o della Skofterud, e qui parliamo dei massimi vertici mondiali. Il livello generale è dunque spaventoso, la diffusione di questo sport è capillare, al via delle staffette ce n'è molte di più che nel fondo, le gare sono appassionanti e fino all'ultima sessione al poligono non si sa chi vincerà, onestamente cosa si vuole di più? (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto")
Sulla Maze penso di poter dire di essere convinto che la massima parte del merito per i suoi allucinanti successi sia di Andrea Massi. Goriziano della minoranza, fu portato in Slovenia quale preparatore atletico della squadra di pallavolo femminile di Capodistria (!) dall'allenatore triestino Kalc e poi per le sue capacità ha fatto tutta la trafila divenendo alla fine capo del progetto aMaze che aveva quale fine ultimo quello di sottrarre lo straordinario, ma al tempo molto disordinato, talento di Tina dalla morsa della burocrazia della Federazione slovena che in pieno delirio realsocialista pensava di trattarla come qualsiasi altra atleta del giro della nazionale facendola andare su tutte le furie con sbalzi incredibili di rendimento. Insomma se non ci fosse stato Massi la Maze avrebbe fatto la fine di Mateja Svet, altra straordinaria campionessa ed altro carattere difficilmente gestibile come deve essere per un cavallo da corsa che non può essere un mansueto ronzino, che smise di sciare ancora giovanissima per le stesse identiche ragioni. Alle sue capacità organizzative si è aggiunto il feeling del tutto personale fra il manager e l'atleta, per cui le cose sono andate nel verso migliore. La Maze, trovata la pace interiore sia affettiva che professionale, può così dedicarsi anima e corpo solo allo sci e dunque la ragione dei suoi successi sta esclusivamente nell'ordine che si è venuto a creare nella sua testa, perché sul suo talento nessuno aveva mai avuto dubbi. A Lenzerheide, prima delle gare mancate (già una volta avevano avuto problemi, stavolta hanno fatto superflop e indovinate dove ci sarà la finale di Coppa l'anno prossimo?) alla domanda se fosse stanca ha risposto: "Certo che lo sono, però la stagione è stata talmente incredibile che mi diverto tantissimo e vorrei che non finisse mai per poter vincere il più possibile. Chissà mai quando mi capiterà ancora!". Per dire dell'atteggiamento da vincente che la contraddistingue.
Intermezzo: piccolo prontuario sui nomi e cognomi jugoslavi. Gli sloveni, che parlano una lingua diversa, formano normalmente i cognomi secondo i canoni a noi più familiari, secondo caratteristiche fisiche, o mestieri, e i patronimici sono abbastanza rari (Jurčič, Ivančič o Janežič, Jakopič...). I patronimici sono invece la stragrande maggioranza dei cognomi dell'area di lingua serbo-croata (attenzione! Col trattino, se no i croati si arrabbiano) e per distinguerne la provenienza bisogna conoscere un po' la storia. Per esempio i croati hanno avuto nel Medio Evo un loro regno e possono essere solamente croati i nomi dei re del periodo, classici Tomislav, Krešimir, Zvonimir. Chi ha questo nome di battesimo è inevitabilmente croato. Per i serbi valgono i loro personaggi storici, tipo Miloš, Mihajlo, Nebojša, per cui un Milošević o un Mihajlović non possono che essere serbi. Come ovviamente serbo è Popović, in quanto figlio del pope ortodosso non può essere un croato, cattolico. Ed infatti la distinzione fra croati e serbi viene fatta (da loro stessi) per convenzione secondo l'appartenenza religiosa: cattolico=croato, ortodosso=serbo. Per i bosniaci il discorso è diverso: quelli di etnia musulmana hanno normalmente nomi compositi: per esempio Alihodžić deve essere scomposto in Ali (nome) e hodža (dignitario musulmano, vedi il Hoxha albanese), per cui vuol dire figlio del hodža Ali. O Delibašić, figlio del baša Deli, o ancora Halilhodžič, figlio del hodža Khalil. Per cui questi cognomi sono in realtà parole composte e vanno letti con doppio accento, tipo come se Luzzi Conti o Patroni Griffi fossero scritti tutti assieme. Va da sé che i patronimici semplici tratti da nomi prettamente musulmani tipo Alić, Halilović o lo stesso Ibrahimović non possono non essere musulmani di Bosnia. Una curiosità ulteriore che racconta storie interessanti sulle vere origini e senso di appartenenza della famiglia la si ha quando in presenza di questi cognomi si hanno nomi di battesimo non musulmani, tipo Dalipagić, cognome musulmano, ma nome Dražen, tipicamente croato (Mostar è in Erzegovina, a maggioranza croata). Per inciso la variante serba di Dražen è Dragan. O lo stesso Ibra che di nome fa Zlatan, tipicamente serbo. E infine per i montenegrini vale la storia molto isolata di quella terra con struttura sociale tipicamente rurale e pastorale, il che ha portato alla creazione di veri e propri clan, ognuno caratterizzato da un preciso cognome. Ed infatti mi sembra che ancora oggigiorno valga la regola che tutti quelli che hanno lo stesso cognome si trovano ogni anno per dare vita ad una enorme festa collettiva. Cognomi classici montenegrini sono proprio Petrović (ed infatti il padre di Dražen, nome croatissimo!, è un poliziotto di origine montenegrina), Pavlović, Vasojević, Danilović, Peković, per non parlare di tutti i nomi che hanno nella radice il lupo (vuk in serbo), tipo Vuković, Vućević, Vukičević, Vujačić, Vujošević, eccetera. Per gli amanti dei gialli d'autore, ricorderete che il vero nome di Nero Wolfe era Vukčić, dunque tanto di cappello a Rex Stout per aver così perfettamente caratterizzato le origini montenegrine del suo celeberrimo investigatore (facendolo anche fisicamente enorme, come sono normalmente i montenegrini).
Basket. Mi duole il cuore essere in disaccordo con Walter. Continuo ad essere fermamente convinto che per essere un grandissimo allenatore di basket si debba essere stati giocatori (come giustamente rimarcato, di qualsiasi categoria, non è la quantità che conta, ma la qualità) leader nelle squadre in cui si è militato. Posso solo convenire che essere stati al comando in qualsiasi altra attività della vita possa essere importantissimo, come fu il caso di Nico Messina, il creatore della grande Ignis, ma più di tanto non posso concedere. "Non occorre essere stati cavalli per fare il fantino". No, ma se per qualche strana magia lo si fosse stati in qualche vita anteriore, aiuterebbe, e molto, direi in modo decisivo. Solo un cavallo può capire a fondo un altro cavallo.
Fra i commenti che ho letto ce ne è uno che mi ha dato estremamente fastidio, ed è una citazione da un altro autore nella quale si dice che il mondo sta andando avanti e bisogna essere al passo dei tempi e che dunque rinchiudersi in una torre d'avorio rimpiangendo i tempi passati è patetico. Per uno dichiaratamente, proprio per convinzioni congenite sui valori importanti della vita, di sinistra come sono io sembra strano che possa dire che le sorti magnifiche e progressive dell'umanità sono una puttanata colossale che echeggia da lontano le promesse religiose sulla felicità della vita eterna, nel senso oggi mangiate pure sterco che tanto domani sarete felici in un'altra vita. Chi va avanti è solo la tecnologia, mentre nel suo animo l'uomo rimane lo stesso da sempre. E per quanta tecnologia ci possa essere a farci felici sarà sempre il sorriso dell'amata, la carezza di un bambino o un magnifico tramonto. Così, passando all'infimo, il basket sarà sempre bello quando sarà basket e farà schifo quando sarà circo. Tanto più trattandosi di un gioco, di un'attività cioè che coglie le corde più profonde e basilari dell'animo umano che tramite il gioco impara per la vita, ma anche si diverte in situazioni che sublimano la realtà, per cui la gioia estetica che offrirà una bella azione nel basket sarà sempre la stessa. Come, per quanto vada avanti il calcio, tutti godranno sempre a vedere una magia di Messi. Il problema del basket è che di Messi non ce n'è, per cui le nuove leve, avendo sotto gli occhi la realtà attuale pensano che il basket sia quello che vedono oggi. E se si appassionano al basket vedendo come viene interpretato oggidì, allora vuol dire che il basket è veramente uno sport fantastico. Pensate solo a cosa sarebbe se fosse giocato bene.
E per finire ancora la mia sull'infinita diatriba sul fallo sistematico. Come ho già detto (e sono stato anche citato da qualcuno) per me se una squadra è arrivata avanti all'ultimo minuto ha avuto dei meriti che non possono né devono essere cancellati dalla lotteria dei tiri liberi (sì, va be'...segnare i tiri liberi è importante, bisogna essere freddi, fa parte del gioco...ma è pur sempre un'esibizione balistica), per cui mi sembra che moralmente debba essere tutelata affinché porti a buon fine la partita. Per cui sono convinto che la gestione arbitrale negli ultimi minuti dovrebbe essere molto più aderente allo spirito del gioco, nel senso che la squadra che è avanti ha tutto il diritto di far scorrere il tempo, per cui adotterei seduta stante il principio secondo cui fino a quando la squadra in vantaggio è in possesso del pallone si sorvola sul falletto tattico lasciando che il tempo passi. In definitiva introdurrei il concetto, che a me sembra sportivissimo, della regola del vantaggio. Per cui la squadra sotto nel punteggio o difende regolarmente tentando di portar via il pallone grazie alla difesa, ai raddoppi, al pressing o quant'altro oppure deve rassegnarsi al fatto che gli avversari possono tenere la palla per tutti i fatidici 24 secondi concessi dal regolamento. Se vuole far fallo deve allora farlo in modo plateale se non brutale ed allora scatta automaticamente (e legittimamente) la regola del fallo antisportivo. Mia impressione è che gli arbitri siano sempre loro, se mi permettete questa frase, nel senso che non vogliono smettere di essere protagonisti e di voler essere un fattore decisivo nello svolgimento della partita. Se invece nei minuti finali si limitassero alla banale logica del danno procurato, con ciò tutelando la squadra in vantaggio, sarebbe molto meglio per tutti, primi noi spettatori, ai quali sarebbe risparmiata la stucchevole litania dei trasferimenti continui da un canestro all'altro con gli ultimi 30 secondi che durano dieci minuti.