First things first: il giorno della riunione conviviale settembrina, o sconvenscion, è fissato per sabato 15 settembre. Orario come l'altra volta, verso l'una, luogo che sarà prontamente pubblicato su queste colonne verso metà settimana, in quanto il sottoscritto ha intenzione di ponderare bene le cose e di adeguare il posto prescelto al presunto numero di persone partecipanti.
Ora passiamo alle cose meno importanti. Non posso non commentare il responso oceanico al mio ultimo post e devo confessare di essere stato sia sadico che autocompiacente prima di redigere il successivo, in quanto volevo vedere se riuscivo a provare l'ebbrezza dei 400 commenti, nuovo primato personale. La cosa più divertente, almeno per me, è che è stata in massima parte un'accanita discussione sul sesso degli angeli con moltitudini di opinioni opposte che discutevano animatamente con escursioni nel campo degli insulti (anche nei miei confronti, che non so onestamente cosa ho fatto per essermeli meritati) su pura e semplice aria fritta. Accanirsi con fini deduzioni su controdeduzioni con numeri, statistiche e tabelle per determinare se è più buona la carbonara o l'amatriciana, se sono meglio i Beatles o i Rolling Stones, se sono meglio le pesche o le albicocche, mi sembra alla fin fine un esercizio insano da bar sport di periferia quando si parla per fare vento alle ugole. Qui non si tratta di determinare verità scientifiche, si tratta semplicemente di esprimere la propria opinione su quel che piace di più e, si sa, i gusti sono gusti, ognuno ha i suoi ed è perfettamente legittimo che li abbia. Io i miei li ho già rivelati millanta volte e, sembra che questo sia il mio peccato imperdonabile, ci tengo ad essi e non li cambio. Come è solo ovvio che quelli della fazione opposta hanno i loro gusti e come è altrettanto ovvio che non hanno la minima intenzione di cambiarli, per cui il tutto si risolve alla fine in un inevitabile dialogo fra sordi. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto")
Visto che però sono uno che tenta di trarre lezioni da ogni cosa che fa e nella quale è coinvolto un paio di considerazioni su questa ultima furibonda e oceanica discussione vorrei comunque farle. Prima e forse più importante proprio per l'educazione personale e per mettere molte cose in chiaro sul modo di pensare di ciascuno di noi. Sicuramente sono parziale, ma le argomentazioni di quelli che sempre più continuerò a definire Adoratori del Reverendo James mi sono sembrate quasi tutte del tipo: "Noi rispettiamo le vostre opinioni, però rendetevi conto di avere torto." Alt, fermi qui. Torto perché? Chi lo ha detto? Voi? E chi siete voi per affermare di detenere il possesso della Verità assoluta? Non vi è mai balenata l'idea balzana che ad avere torto potreste anche essere voi? Un approccio del genere mi sembra quanto di più vicino ci possa essere ad un'integralistica professione di fede e, scusatemi, un animo laico ed illuminista quale pensa di essere il sottoscritto quando sente odore di acqua santa e di incenso ha immediatamente un istintivo moto di repulsione. So benissimo che alcuni dei miei più fedeli "adepti" (o "adulatori", come sono stati anche chiamati) sono credenti in senso religioso e perciò spero di non averli troppo scioccati con questa mia professione di agnosticismo verso qualsiasi tipo di fede rivelata. Io, vedete, sono di un'altra scuola che all'apparenza può sembrare più integralista vista la premessa, ma che è secondo me molto più onesta, liberale ed umana. Io dico semplicemente: "Dal mio punto di vista le vostre opinioni più che sbagliate mi sembrano risibili, però ho sempre ben presente nella mia mente che potreste avere ragione voi ed io torto". Il che più o meno corrisponde alla famosa frase di Voltaire sul: "non sono d'accordo con voi e combatterò tutta la vita contro le vostre opinioni, ma sono anche pronto a morire..." eccetera. Che è quella che è sempre stata una specie di stella polare per i comportamenti che ho tenuto nella mia vita, sia ragionando dei massimi sistemi escatologici che di cose insignificanti quali ad esempio se sia stato meglio Duncan o Robinson (a proposito, che nessuno si azzardi a toccarmi l'Ammiraglio che mi folgorò la prima volta che lo vidi dal vivo ai Mondiali di Spagna dell'86!).
Seconda considerazione, molto preoccupante. Quando parlo degli argomenti che più mi stanno a cuore e che sono il fulcro del problema basket in Italia e nel mondo, leggi educazione generale e tecnica delle nuove leve, attività giovanile, cura dei fondamentali, ma soprattutto l'approccio da tenere per capire veramente il gioco che si pratica, i commenti sono, se va bene, una trentina, divisi più o meno fra 4-5 interlocutori. Quando parlo di aria fritta (mettendo nero su bianco addirittura un primo quintetto, cosa che normalmente mi sembra un esercizio futile) allora c'è l'esplosione di commenti con gente pronta a sfidarsi a duello per perorare la propria causa. Il che mi fa rivalutare la stampa ed in genere il giornalismo sportivo italiano che sull'aria fritta campano e vendono tante copie o hanno audience oceaniche (ricordate ancora l'agghiacciante "Processo di Biscardi"?) quando appunto parlano di cose per me assolutamente irrilevanti ed in realtà, per come le vedo io, perfettamente stupide. Inutile: non riuscirò mai, ma proprio mai, a capire la mentalità dell'appassionato medio di sport in Italia. Evidentemente ci deve essere qualcosa di genetico, per cui l'italiano quando può scatenare la propria vis retorica ed oratoria è come un pesce che sguazza nello stagno. E più un argomento è palesemente futile, più si appassiona. Forse perché in cuor suo sa benissimo che si parla di opinioni, per cui può tranquillamente esporre le sue che tanto nessuno può confutarlo, dunque l'esercizio è a costo zero, in quanto si tratta di un campo nel quale ogni opinione vale chiaramente un'altra. Pensavo che gli appassionati di basket o comunque di non-calcio fossero diversi, ma evidentemente mi sbagliavo.
Lasciando stare per un po' questi argomenti lugubri passo ad altre cose. Intanto un grazie sentito di cuore a Skuer per la sua lucida esposizione del caso Pallacanestro Treviso. Mi piace sempre quando su questo blog trovo cose che mi informano (gratis!), perché vuol dire che facendo la fatica (scherzo...) di scrivere ogni tanto qualcosa ottengo anche cose preziose in cambio.
E poi l'argomento del giorno, la famosa "verta" (i triestini capiranno – per i non triestini qualcosa tipo sfogo) di Tanjević sulla Gazzetta in merito agli allenatori americani che non capiscono un c...avolo. L'altro ieri arrivando al lavoro ho preso il pacco dei giornali dal portiere e sono andato in ufficio in piena solitudine (tempo di ferie generali...) meravigliandomi quando mi sono trovato a ridere a crepapelle capitando sul famoso passaggio. Meno male che ero solo, perché qualcuno che mi avesse visto avrebbe pensato che fossi uscito pazzo per come saltellavo tirando vigorosi pugni al cielo. Grande Boša, dal mio punto di vista ha perfettamente ragione, e meno male che a dire che il re è nudo sia stato qualcuno dal carisma e dalla credibilità ben più grandi di quanta ne possa avere un povero cronistucolo di una televisione di estrema periferia. Dunque non ho nulla da aggiungere. Ha detto tutto lui. Penso però che sia anche giusto tentare di trovare una spiegazione sul perché sia così. Comincerò da un aneddoto che mi riguarda e che risale agli Europei di Zagabria dell' '89. Un giorno un mio amico giornalista di Zagabria delle Sportske Novosti mi invitò a pranzo in un bellissimo locale nella città alta di Zagabria (la parte vecchia che i locali chiamano Kaptol) assieme ad un suo amico americano, a me allora totalmente sconosciuto, di nome Gregg Popovich che all'epoca era il direttore sportivo di San Antonio. Parlando del più e del meno Popovich mi parlò a lungo dei giocatori europei che avrebbero potuto fare bene nell'NBA. Per la cronaca espresse molti dubbi su Petrović, mentre continuava a magnificare le doti di Kukoč che secondo lui avrebbe potuto fare molto bene dopo però un lungo e congruo periodo di adattamento al gioco NBA. Per inciso durante la conversazione espressi l'opinione che secondo me un giocatore jugoslavo che aveva le doti giuste per giocare nell'NBA e di cui non si parlava era Paspalj. E quando in autunno Paspalj firmò proprio per San Antonio lasciatemi l'illusione che la mia nullità possa avere avuto qualche influenza su questa decisione. Tornando a Popovich ed alla sua disamina sul modo di giocare nell'NBA capii che la loro mentalità era anni luce distante dalla nostra e che il tipo di gioco che loro praticavano e soprattutto propugnavano era basata su tutto un altro impianto di valori. Quella discussione mi aprì gli occhi in modo decisivo e ringrazio ancora il mio amico Samovojska per aver organizzato quel pranzo. In definitiva capii che la loro filosofia verteva sul fatto che in squadra ci sono gerarchie ben definite, per cui accanto al leader, leggi stella della squadra, ci sono i ruoli di supporto che devono specializzarsi in modo tale da essere perfettamente funzionali alle esigenze della stella o del ristretto gruppo di stelle della squadra, mai assolutamente più di tre. Fra questi ruoli di supporto uno è riservato senza dubbio anche al coach che a sua volta deve trovare il modo di far rendere al massimo il suo fenomeno più che per vincere le partite per fare spettacolo, vendere tante magliette e lucrare i contratti televisivi più remunerativi possibili. A meno che a sua volta la stella della squadra non sia proprio il coach come poteva essere un Phil Jackson, un Pat Riley o lo stesso Popovich quando poi prese in mano anche le redini tecniche della squadra. In questo caso il coach prende i famosi miliardi ed è bravo intanto perché il carisma se l'è conquistato a suon di risultati e poi perché in questo modo può avere mani libere per fare la squadra come piace a lui senza dover dipendere dalle paturnie dei suoi fenomeni. In definitiva nella stragrande maggioranza dei casi un coach può essere anche Einstein e John Wooden in persona, ma se il suo ingaggio dipende da come è contenta la sua stella e se essa rende, allora si adegua e fa esattamente quanto detto prima, trova cioè la collocazione migliore per i suoi comprimari. Ed è solo ovvio che un giocatore non nordamericano, soprattutto se di educazione cestistica europea (Nowitzki e Nash sono casi particolari, avendo fatto tutta la scuola cestistica in America), non potrà mai essere una stella anche e soprattutto, più che per questione di mentalità, per pure e semplici ragioni di marketing, visto che una franchigia in cui la stella fosse un europeo avrebbe molto meno appeal mediatico presso l'appassionato medio (che, some sappiamo, in America è molto difficile che sia cosmopolita). Per cui anche i più bravi europei, anche quelli che avevano una mente cestistica superiore, tipo appunto Petrović e Kukoč, una volta arrivati nell'NBA hanno dovuto specializzarsi in ruoli ben definiti che alla fine ne hanno castrato tutto il potenziale intellettuale che avevano facendoli innegabilmente regredire rispetto a quanto mostrato in Europa. Per cui tecnicamente si può senz'altro dire che da questo punto di vista i coach americani non capiscono un c...avolo. Hanno però tantissime attenuanti dovute alla mentalità, alla tradizione, in definitiva al sistema stesso. La cartina di tornasole di quanto vado dicendo è la sorte di Vlade Divac, l'unico che abbia avuto modo anche nell'NBA di giocare esattamente nello stesso modo in cui giocava in Europa. Che abbia avuto a che fare con uno dei sommi del basket di tutti i tempi che l'ha preso sotto la sua ala protettiva capendo subito, da giocatore di straordinaria intelligenza, quali fossero le sue qualità? Parlo ovviamente di Magic. E qui torniamo alla radice. Cos'è il basket? Quali sono le qualità che rendono grandi un giocatore? Quanto salta, le sue percentuali di tiro o quante triple doppie ha fatto in una stagione? Ma fatemi il piacere.