Sono rimasto assolutamente abbacinato dal post di Stefano nel quale parla delle ultime vicende riguardanti i diritti delle incisioni fatte negli anni ’50 e nei primi anni ’60 dalla Sun Records di Memphis. Parlare dell’angusto studio in 706, Union Avenue che ha agito da big bang per tutta la musica popolare della seconda metà del secolo scorso e che l’ha poi indirizzata lungo una strada ben precisa (anche se sempre più impervia e impraticabile) fino ai giorni nostri significa colpirmi direttamente al cuore del mio interesse per la musica popolare, per cui mi scuserete se all’inizio parlerò un po’ di questo. Penso che alla grande maggioranza di voi l’argomento non interessi (siete più interessati, vedo, alle sigle televisive di cartoni animati e similia: a ciascuno i suoi gusti), per cui potete tranquillamente saltare a pie’ pari questo post. Di sport scriverò la volta prossima, fra pochissimo tempo.
Ovviamente quanto letto dell’articolo postato da Stefano mi ha fatto subito riflettere sul fatto che, sostanzialmente, la stragrande parte delle cose che leggiamo e che prendiamo per vere, visto che sarebbero state scritte da esperti, sono, per usare un eufemismo, superficiali, piene zeppe come sono di errori sui fatti, quando vengono lette da persone che dell’argomento se ne intendono avendolo studiato e approfondito per tutta una vita. La prima volta che ho avuto questa prova sono state ovviamente le cose che venivano dette sulla guerra in Jugoslavia. Più che di inesattezze si trattava di vere e proprie stupidaggini che non avevano né capo né coda, e che soprattutto leggevano la situazione in modo totalmente distorto, scambiando cause per effetti, con ciò indirizzando nella direzione più sbagliata possibile l’opinione pubblica mondiale, ma che hanno fatto soprattutto sì che le varie cancellerie politiche prendessero provvedimenti che hanno avuto per lungo tempo il classico effetto del bidone di benzina versato sul fuoco. Per la cronaca, a parte Paolo Rumiz, ovviamente, che le cose le conosce a fondo (anche se io da sloveno sono stato più volte in disaccordo con quanto scriveva, ma comunque quello che scriveva aveva, dal suo punto di vista, assolutamente senso ed era basato su fatti storici veri), e Enzo Bettiza, spalatino DOC, che comunque aveva una visione forse troppo pro-Croazia, l’unico fra i giornalisti italiani che si sia salvato nell’occasione è stato Gigi Riva, che infatti poi ha scritto quel bellissimo libro sull’ultimo rigore, dimostrando così che la vicenda gli stava veramente a cuore.
Tornando a quanto scritto sulla Sun Records è stata omessa la cosa fondamentale, e che Sam Phillips aveva cominciato come tecnico del suono registrando concerti e che sfruttò a pieno questa sua esperienza quando mise in piedi la sua compagnia. Soprattutto importante fu il fatto che, avendo avuto a che fare con i musicisti neri, ne apprezzasse la bravura, per cui registrò fra gli altri, a parte il citato Rufus Thomas (anche la figlia fece poi un’ottima carriera), gente come B.B.King e Ike Turner che erano all’epoca totalmente sconosciuti al largo pubblico. Un grave errore fattuale è la data della registrazione dell’acetato che il camionista belloccio con i capelli a coda d’anatra e i basettoni dedicò all’amata mamma Gladys quale regalo di compleanno e che comprendeva una ballata country (eseguita peraltro anche da gente come Fats Domino) “My Happiness” con sul retro la sua versione di un pezzo degli Ink Spots, attenzione!, gruppo nero che Elvis adorava. Correva l’estate del 1953, dunque un anno prima di quanto riportato, con Elvis che aveva appena finito il liceo (Humes High, liceo per bianchi, e infatti alla sua prima intervista radiofonica Dewey Phillips, il DJ amico, ma non parente di Sam, che aveva messo per primo in onda “That’s All Right Mama” riscuotendo un incredibile e immediato successo, per prima cosa gli chiese che scuola avesse fatto per far capire a tutti che non era un nero). Quando si presentò allo studio Sam Phillips non c’era, c’era solamente la sua segretaria tuttofare (sembra in tutti i sensi) Marion Keisker che per rompere il ghiaccio con il timidissimo ragazzo che aspettava il suo turno gli fece le due domande che, viste a posteriori, sembrano profetiche: “Cosa suoni?” “Di tutto” e “A chi ti ispiri?” “A nessuno”. Sentitolo cantare decise di tenere i nastri scrivendo sulla scatola “Elvis Presley, buon cantante di ballate”. Quando Sam Phillips tornò Marion gli fece sentire la registrazione che però non lo impressionò, visto che quello che cercava lui era tutt’altro che non l’ennesimo cantante country. Agli inizi dell’anno successivo Elvis tentò di nuovo la fortuna andando a registrare un altro acetato con altre due ballate (gli acetati si sono conservati miracolosamente e dunque è possibile ascoltarli), ma anche queste non sortirono alcun effetto. Poi in estate Sam Phillips ebbe per le mani un bel pezzo, “Without You”, che però non sapeva a chi affidare. Marion gli ricordò il ragazzo con le basette e lui lo chiamò per vedere cosa si poteva fare. E lì comincia più e meno la storia ricordata con Elvis che durante una pausa comincia a suonare il pezzo di “Big” Bill Crudup, classico R&B nero, con Scottie Moore e Bill Black (il bassista, poi morto molto giovane) a seguirlo divertiti, e con Sam che apre la porta dello studio, e chiede: “Cosa state facendo?” ”Non lo sappiamo in realtà” ”Bene, trovate il posto giusto e rifatelo.” Sam non credette alle sue orecchie: aveva trovato un ragazzo bianco che conosceva a menadito praticamente tutta la musica nera dell’epoca e che la reinterpretava secondo le sue attitudini, con ciò raggiungendo uno straordinario grado di freschezza e originalità, cosa che era esattamente quello che Sam cercava: lui odiava le cose complicate e cerebrali (c’è un passaggio registrato in studio qualche mese dopo nel quale si sente Sam che apre la porta e grida a Scottie “Don’t make it too damn complicated in the middle!”), e cercava emozioni semplici. Quello che voleva lui era la semplicità e il sentimento, l’emozione del momento. Cioè esattamente quello che voglio io dalla musica, ed è questa la ragione per la quale adoro tutto quanto fatto alla Sun ed è anche la ragione per la quale sono un fanatico di tutto quello che le ruota attorno. Dico sempre che, se vado in America, e spero proprio prima o poi di andarci, l’obiettivo primo e unico è un pellegrinaggio in Union Avenue. Penso che, quando e se varcherò quella porta, scoppierò a piangere di emozione come un vitello. Poi, forse visto che già ci sarò, ma penso di no, andrò a Graceland che in realtà non mi interessa, a dire il vero, essendo la classica americanata, mentre gli studi della Sun hanno una valenza storica e emotiva enorme, avendo cambiato il corso della musica del 20esimo secolo.
Inciso: per la cronaca e per la precisione la versione più veloce di “Blue Moon Of Kentucky”, lato B di “That’s All Right Mama”, fu messa in piedi la sera stessa e il disco fu portato, come scritto sopra, a Dewey Phillips che lo mise subito in onda, riscuotendo tanto successo che Elvis fu prelevato di forza dal cinema dove era andato a guardare un film del suo idolo James Dean, per rilasciare l’intervista succitata.
Ovviamente l’articolo citato da Stefano doveva essere conciso, ma ciò non toglie che certi scivoloni poteva evitarli. Per esempio i Prisonaires vengono dati come successivi a Elvis, e invece erano venuti abbastanza prima con una storia incredibile che già da sola varrebbe un libro. Lo dice il nome stesso, erano veri galeotti, ovviamente tutti neri, gli unici che da quelle parti andassero in prigione, di un carcere del circondario che avevano messo in piedi un complesso con il leader che scrisse una bellissima canzone, “Just Walking In The Rain”. Sam Phillips la sentì, volle registrarla e alla fine ci riuscì con il gruppo di galeotti che fu scortato dai secondini a Memphis e riportato indietro immediatamente alla fine della sessione. Il disco ebbe un grosso successo e l’unico problema fu che i protagonisti non poterono per causa di forza maggiore andare in tour a promuoverlo.
L’importanza dell’apparizione di Elvis fu che, quando Sam vendette per l’esorbitante cifra all’epoca di 35000 dollari i suoi diritti alla RCA (con ciò compresi tutti i nastri che lo riguardavano, ed è per questo che i diritti delle registrazioni di Elvis per la Sun ora sono della Sony), ebbe fra le mani un bel gruzzolo per lanciare la sua compagnia. Aveva in scuderia già un bravissimo cantautore country di nome Johnny Cash e un altro cantautore country che però prediligeva ritmi più veloci dal sapore di rock-and-roll, il fondatore del rockabilly Carl Perkins, e intanto tutta una serie di giovani di belle speranze faceva la fila davanti alla porta dello studio sperando di sfondare andando alla Sun. L’acquisizione più felice fu quella di un giovane pianista di Ferryday in Louisiana di nome Jerry Lee Lewis, un pazzo scatenato dall’ego smisurato (in un’intervista disse poi: “Se Sam era riuscito a fare una stella di Elvis, ero sicuro che avrebbe fatto una stella anche di me”) che nei primi tempi fu usato come musicista di studio suonando nelle sessioni di Carl Perkins (il piano che si sente nella famosa “Put Your Cat Clothes On” è suo), il quale Perkins sfondò con il pezzo che si era inventato la sera prima della registrazione del pezzo che doveva essere il lato A del suo nuovo single, “Honey Don’t” (poi ripreso dai Beatles con Ringo voce solista), e che parlava di scarpe blu di cuoio svedese. “Blue Suede Shoes” fu un successo immediato, ma proprio mentre Carl doveva andare a New York per un’importantissima apparizione televisiva, ebbe un incidente d’auto, con uno dei fratelli che suonava nel gruppo tempo dopo morto per le conseguenze, e che lo costrinse in ospedale per un lungo periodo, cosa che gli impedì di consolidare il successo. Il pezzo fu poi ripreso da Elvis (che per farlo uscire chiese, ottenendolo, il permesso Sam Phillips con il quale era rimasto in ottimi rapporti) e il mondo sembra si ricordi solo della sua versione, cosa altamente ingiusta. Il mondo forse, ma non i musicisti britannici della successiva ondata che hanno una specie di venerazione per Carl Perkins, primi fra tutti George Harrison, Paul McCartney e Eric Clapton.
L’artista della galassia Sun che a me fa più tenerezza di tutti è comunque Charlie Rich (“The Silver Fox”, per i capelli incanutiti precocemente), straordinario musicista, cantante, pianista e autore che si era fatto le ossa suonando più o meno in tutti i night di Memphis. Era tanto bravo e poliedrico (suonava di tutto, anche se preferiva il blues e soprattutto lo swing, dunque era in realtà nel cuore più che altro uno jazzista) quanto timido e schivo, che per combattere l’ansia da palcoscenico beveva come una spugna e fumava come un plotone di serbi (che sono molto peggio dei turchi), ed era dunque solo normale che finisse nell’orbita di Sam Phillips che lo impiegò soprattutto come musicista di studio ed autore di canzoni che forniva un po’ a tutti. Quando esplose la mania del R&R Sam gli chiese di scrivere pezzi di questo tipo e alla domanda di Charlie come fare, visto che non aveva idea di come scrivere un pezzo di un genere che gli era alieno, Sam gli disse semplicemente “Get bad!”, cioè scendi dal tuo piedestallo e scrivi cose per il popolino, cosa che lui fece scrivendo pezzi di successo soprattutto per uno dei rocker più scatenati della Sun, un texano di nome Ray Smith, ma anche delicate ballate per Jerry Lee quando questi cadde in disgrazia dopo lo scandalo della scoperta della moglie 13enne, fra l’altro sua seconda cugina. Terza moglie (a 22 anni!) senza che in realtà avesse ancora divorziato da una delle prime due. Tanto per dire dell’elemento.
Tornando a Charlie pian piano riuscì a costruirsi una sua carriera con un buon successo grazie al singolo “Lonely Weekends”. I suoi singoli successivi sono migliori e “Who Will The Next Fool Be?” assieme alla mai completata né uscita “Put No Headstone On My Grave” sono fra l’altro fra i pezzi migliori che io abbia mai sentito, grondanti blues da ogni poro con armonie magnifiche e una melodia sofisticata, ma molto accattivante. Non per niente sono diventati poi classici che tutti hanno, chi prima chi poi, eseguito. Poi proseguì la sua carriera lontano dalla Sun specializzandosi nel solo country, riscuotendo anche un grandissimo successo con una magnifica canzone, citata anche da Nick Hornby, “Behind Closed Doors”, ma con ciò sviluppando solo una minima parte del suo sconfinato talento, talento che si espresse solamente durante la sua permanenza alla Sun.
La grandezza di Sam e della sua visione di come si doveva suonare la musica si dimostra proprio nel fatto che praticamente tutti quelli che sono passati da quelle parti abbiano raggiunto i massimi artistici della carriera durante quel periodo. Come scrisse Peter Guralnick i 5 single che Elvis fece uscire sotto l’etichetta Sun sono pezzi che ancora adesso, a quasi 70 anni di distanza, sembrano senza tempo, con la vetta assoluta di “Mistery Train”, la cosa migliore che a detta di tutti Elvis abbia mai fatto. La stessa cosa vale sia per Carl Perkins che per Jerry Lee Lewis, ma soprattutto per Johnny Cash che deve proprio al suo periodo alla Sun i suoi successi maggiori e le sue canzoni migliori, da “Folsom Prison Blues” a “I Walk The Line”, “Train Of Love”, “Big River” eccetera, eccetera. Il tutto in meno di quattro anni. Poi in tutti gli anni successivi aggiunse ben poco, “Don’t Take Your Guns To Town”, ovviamente “Man In Black”, “Ring Of Fire”, scrittagli peraltro dalla moglie June, e più o meno tutto qua.
L’unico che Sam non seppe gestire fu (assieme a Eddie Cochran, ma questa è tutta un’altra storia) Roy Orbison che Sam si ostinò a volere come cantante e autore di R&R rifiutandosi di incidere le ballate che intanto componeva e che poi lo resero famoso quando cambiò etichetta. Nella sua scuderia ci fu anche per breve tempo un oscuro cantante di rockabilly di nome Harold Jenkins che poi ebbe uno strepitoso successo quando cambiò etichetta e nome, e come Conway Twitty divenne una superstella del country.
Nell’assieme comunque Sam Phillips può essere considerato uno dei più straordinari giganti visionari di tutta la musica popolare del 20esimo secolo. Senza di lui e senza la Sun Records la musica che ascolteremmo oggi sarebbe del tutto diversa e secondo me molto, ma molto più stereotipata e noiosa.