I vostri ultimi commenti sono stati un po' per il sottoscritto lo sventolio della muleta davanti al toro, perchè mi danno lo spunto per partire lancia in resta per una di quelle disquisizioni psico-socio-filosofiche che sono la rovina dei miei interlocutori abituali. Non prima però di avervi ringraziato tutti pubblicamente per il caldo responso alla proposta di vederci dal vivo. Per la cronaca i siti da me individuati non rientrano nella categorie delle osmice (scusate, ma lo scrivo alla slovena, perchè è un'invenzione "nostrana") dell'elenco che avete postato, ma più in quelli dell'agriturismo, anche se per noi sempre di osmice si tratta. Per i conoscitori avevo in mente o Lupinc a Prepotto-Praprot, o Colja a Zagradec-Sagrado (che non c'entra con quello in provincia di Gorizia). Piščanci sarebbe perfetto, peccato che l'agglomerato di case che lo compone sia su un pendio dalla pendenza media del 25% e parcheggiare lì in tanti è improponibile. E poi per trovarlo ci vuole la bussola o una mappa militare. I conoscitori dicano la loro.

Sul perchè del calcio sia lo sport di gran lunga più popolare al mondo e muova i sentimenti della gente su piani irraggiungibili da qualsiasi altra attività ludica sono stati scritti fior di trattati da gente con crani smisurati e studi infiniti, per cui non credo sia qui inventabile l'acqua calda. È lo sport più facilmente praticabile, a tutti noi quando camminiamo per la strada viene sempre l'irresistibile impulso di dare un calcio al ciottolo che ci si para davanti, eccetera. Tutto vero. Però, come hanno scritto gli analisti più impegnati, il calcio è lo sport che meglio riflette lo stato reale della vita. È lo sport dove, come nella vita reale, prevale il furbo, meglio se un po' lestofante, più che il bravo o intelligente, dove la fortuna gioca un ruolo preponderante ed assolutamente imprevedibile (Giordani, se ricordate, lo chiamava "divino flipper"), dove il fatto stesso che le marcature siano poche, esse vengono vissute come una liberazione ed un momento di estasi collettiva che difficilmente possono ripetersi in altre attività agonistiche. E poi ha un vantaggio assolutamente decisivo: è facilmente comprensibile, con regole elementari, quasi primitive, per cui basta vedere un paio di partite per pensare di essere esperti. Ed infatti, se ci fate caso, c'è una moltitudine di gente che dice: "io di sport non ne capisco, però il nostro Mister è uno sprovveduto". Ma come! Se non capisci di sport come ti azzardi ad aprire bocca? Evidentemente l'opinione comune vive il calcio non come uno sport, ma come un metafenomeno di qualcosa di ancestrale che tutti possediamo. E dunque pensare di minacciare il calcio in fatto di popolarità è impossibile, anzi stupido. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto")

Tecnicamente dall'altro canto sono convinto che il calcio sia uno sport molto meno stupido di quanto riteniamo noi cestofili (o volleyofili, o hockeyofili, o rugbyofili) con la nostra puzza sotto il naso. Giocandosi in spazi molto ampi e con tempi molto più diluiti il senso della posizione è fondamentale, l'anticipo pure, la lettura delle intenzioni avversarie pure, cioè se uno è intelligente ha vantaggi enormi. Del resto Gianni Rivera fisicamente era inesistente, lo stesso Platini non era poi una scheggia, Gaetano Scirea non era certamente Nesta in fatto di fisico, però chissà come sulla palla c'era sempre lui prima degli altri senza dover fare rincorse affannose, ma sono nel novero dei più grandi di tutti i tempi proprio perchè avevano un'intelligenza superiore. Il problema è che il calcio ha un reclutamento trasversale, nel quale confluiscono tutti gli esponenti della società in senso lato, società che sappiamo benissimo ha un surplus enorme ed ineliminabile di imbecilli. Voglio dire che mentre negli sport più raffinati chi vi si avvicina ha già una predisposizione a tentare di ragionare, chi va a giocare al calcio la domanda proprio non se la pone, anzi sembra che la concezione popolare sia quella per cui uno più è scemo, meglio riesce. E se ci fate caso nessuno si vergogna di apparire scemo. Lo sono tutti per cui posso esserlo anch'io. Anzi, succede normalmente il contrario, per cui uno intelligente si nasconde e viene a galla dopo, quando magari a fine carriera comincia a fare il commentatore o il funzionario e si scopre con meraviglia che sa tanto parlare quanto ragionare. L'unica cosa del calcio che non capirò mai (forse succede perchè anche i mister sono convinti che i loro giocatori siano tutti scemi) è perchè non ci sia una squadra al mondo che cambi sistema durante una partita come accade in tutti gli altri sport, perchè per esempio su un 4-4-2 di base non innesti durante la partita una zona press davanti con coperture a uomo dietro, perchè non alterni momenti di marcatura ad uomo all'italiana col vecchio libero (che funzionava, e come funzionava!) ad altri tipi di zone miste, insomma perchè non ci sia una variazione tattica di squadra come ce ne sono a iosa nel football americano, sport se possibile dove il livello intellettuale dei giocatori sembra raggiungere livelli difficilmente superabili verso il basso. Eppure loro ci riescono ed i calciatori no. Mistero. Chiudo questa breva parentesi tecnica con una risposta: confermo quanto detto alla fine del Mondiale '82. Tempo fa con l'amico Robi Siljan al caffè mattutino commentavamo Italia-Brasile dell'82, il mitico 3 a 2, che era stato proposto da una TV a mo' di amarcord il giorno prima. Ci siamo trovati perfettamente d'accordo sul fatto sconvolgente che l'Italia la partita l'aveva dominata e vinta molto più largamente di quanto il punteggio finale non recitasse. Al tempo si era sotto l'impressione del Brasile babau e dell'Italia stentata di Vigo con la sospettissima partita contro il Camerun, per cui non ci si poteva immaginare che l'Italia potesse giocare alla pari. Ebbene, tatticamente non c'è stata partita, Conti era il solo vero brasiliano in campo, i brasiliani, oltre all'azione di Serginho all'inizio, ai due gol ed al colpo di testa di Oscar nel finale non avevano mai tirato in porta, l'Italia ad inizio ripresa si era mangiata due nitide occasioni ed il gol di Antognoni nel finale era regolarissimo, oltre che magnifico.

Ritornando all'importanza sociale del calcio, che è quello che ci interessa, è solo normale, anche per gli enormi interessi economici che muove, ma non solo per essi, penso qui soprattutto al condizionamento emotivo che produce nella gente nel più puro solco dei circenses romani che erano organizzati per star buona la folla perchè non pensasse ai problemi quotidiani (al mondo non si inventa nulla, e come dicevano i pragmaticissimi romani – se non lo fossero stati, non avrebbero conquistato il mondo – "nihil sub sole novi") che sia concupito da tutti i potentati politico-economici che ci siano. Con tutto quello che ciò comporta. Per cui diventa il "calcio", un fenomeno cioè che con lo sport e con la cultura sportiva nulla ha a che vedere. Nel "calcio" valgono le regole più deteriori e becere che ci possano essere: ci fosse un commentatore che si mettesse sghignazzare ed a prendere in giro il Gassman di turno che, sfiorato al polpaccio sinistro, si rotola in preda a spasimi lancinanti premendosi il polpaccio destro, anche quando le moviole dimostrano fuor di ogni dubbio che sia una bieca sceneggiata. In uno sport normale uno così dovrebbe essere bandito, sbeffeggiato e deriso. Nel "calcio" viene ammirato, soprattutto quando l'arbitro abbocca e gli concede un fallo ridicolo. Essendo una lotta mors tua vita mea, nella quale si sublimano le sfide medievali fra comuni o addirittura contrade di una stessa città, è una lotta senza esclusione di colpi (gladiatori?) nella quale, come disse Vince Lombardi, "vincere non è importante, è tutto". Alla faccia dei valori della sportività, del fairplay e balle consimili. Quando vinci sei un eroe, se perdi sei un pirla. E basta. Non importa come hai giocato, se hai preso otto pali e gli altri hanno segnato su autogol l'unica volta che sono andati oltre metà campo, per i "giornalisti" di calcio sarai colui che ha interpretato male la partita concedendo troppi spazi agli avversari e facendo confusione in attacco. Mentre in ogni altro sport normale avresti vinto 6 a 0. In questo contesto si inserisce la figura dell'arbitro. Pensate un po' al Palio di Siena, nel quale vale tutto, anche corrompere gli avversari, anzi soprattutto quello. In Italia si ragiona così, sotto tutte le latitudini. Se l'arbitro fischia contro è automaticamente un venduto. È normale, vista l'indole italiana, una pelle dalla quale nessuno nato nello Stivale può sfuggire. La buonafede degli arbitri semplicemente non esiste, perchè come insegna l'attività mentale più praticata dagli italiani, la dietrologia, è solo normale che l'arbitro fischi a favore di chi ha pagato di più. In Inghilterra (che ha arbitri pessimi) il nome dell'arbitro non viene quasi menzionato ed un rigore dato o non dato viene rubricato a mo' di curiosità e nulla più. In Italia ogni episodio, anche il più insignificante, stupido o casuale, viene vivisezionato in modo morboso e ciò da tutti i media, anche da quelli che si ritengono "sportivi" nel senso di diffusori di cultura sportiva. L'unico modo per tentare di diffondere cultura sportiva nel calcio sarebbe invece proprio quella di bandire tutte le moviole tentando di far capire finalmente alla gente che un rigore dato o non dato è esattamente la stessa cosa che palo e dentro o palo e fuori.

In questo contesto mi sembra di poter dire che se nel mondo il calcio è la cosa inutile più importante che ci sia, in Italia, proprio per l'indole storica dell'italiano, è di più. È una cosa che travalica anche gli aspetti simbolici della violenza sulla donna altrui, come scrisse uno, per trasformarsi in un transfert esistenziale dal quale dipende una fetta della propria felicità e realizzazione. E questo le autorità lo sanno benissimo, per cui il "calcio" è diventato l'arena nella quale vengono attirate perché possano sfogarsi tutte le fasce sociali più disagiate, dai poveracci dei suburbi ai delinquenti comuni veri e propri della microcriminalità spicciola. Sono convinto che sia per questo che le autorità permettono che le bande armate del calcio (nome vero dei gruppi ultras) possano devastare treni e stazioni di servizio, possano impunemente farsi la guerra tra di loro, possano condizionare lo svolgersi stesso dell'evento, come testimoniato dal punto più basso mai raggiunto dal "calcio" italiano, il derby di Roma sospeso dai delinquenti di curva, possano fare caroselli fuori dallo stadio uccidendo en passant un poliziotto come se niente fosse senza neanche rispondere del delitto, coperti dalla legge del gregge. Intanto sono sotto controllo, si sfogano fra di loro, la settimana perdono tempo a preparare il blitz del weekend, dunque non commettono il numero di crimini che commetterebbero se non fossero banda armata calcistica, che si vuole di più?

Se lo Stato italiano dice di voler combattere i delinquenti degli stadi e se soprattutto i Presidenti delle Società, a cui questi figuri fanno gran comodo proprio per gli interessi che attorno al calcio girano, dicono la stessa cosa, fatemi un favore. Non credeteci. Non sarà mai fatto. Perché così come va adesso va bene proprio a tutti.