Ci sono le Olimpiadi invernali. Che però sembra non interessino nessuno, almeno a leggere i vostri commenti che, mi sembra, vertano soprattutto sul 6 Nazioni di rugby. Del resto c’è un’edizione olimpica che si svolge in capo al mondo, in un luogo martoriato da temperature e venti polari, che fra l’altro per venire incontro alle esigenze televisive del mondo sviluppato degli sport del freddo fa gareggiare la gente ad orari impossibili, cosa che a sua volta fa sì che la cornice di pubblico, salvi gli sparuti fanatici che si sono sobbarcati viaggi interminabili (ci sono stato nell’ ’88) per essere presenti, è in realtà totalmente assente. Del resto l’unica cosa che interessa i coreani è il pattinaggio di velocità e in parte minore quello artistico, per il resto per loro si tratta di attività fisiche mai viste prima in vita loro.
Forse adesso che l’Italia ha cominciato a vincere ci sarà un risveglio, ma penso che sarà solo un fuoco di paglia, soprattutto se l’Italia non riuscirà a fare bene nell’unico sport della neve che in Italia interessi (e venga capito), parlo ovviamente di sci alpino. Non ha aiutato certo neanche la terribile manfrina della partecipazione russa che non sono Russia, ma atleti sparsi che, guarda caso, provengono tutti da un solo (abbastanza grande!) Paese, per cui, dai, possiamo anche definirli “atleti olimpici russi”. C’è una sola cosa che non sono riuscito a capire: quali diavolo siano stati i criteri per cui certuni possono gareggiare, mentre altri, che pur non sono mai stati colti con le mani nel sacco (non penserete certo che sia convinto che siano tutti puliti con la candeggina!), sono stati lasciati a casa. L’eleganza e la leggerezza da mammuth all’assalto della fabbrica di cristallo di Boemia con le quali si è mosso il CIO mi lascia credere (facendo emergere la mia parte di origini italiane e dunque geneticamente dietrologo) che sia stato tutto un polverone alzato a casaccio con lo scopo di sconvolgere un po’ tutti tentando di dimostrare che stavolta si faceva sul serio punendo in modo esemplare (ripeto, sparando nel mucchio) un grande Paese prendendo nel contempo due piccioni con una fava: primo, facendo convergere i riflettori sulla Russia per toglierli da tutto il resto del mondo dello sport di vertice (mandando l’ipocrita messaggio che, una volta punita la Russia, le cose sono ora limpide come rugiada), e secondo, ma qui si tratta di mie ipotesi che faccio da tempo immemorabile e che trovano sempre conferma nei fatti, ma che, ammetto, sono un “tantino” azzardate, che alla Russia sia stato recapitato il classico messaggio di tipo, come definirlo se non mafioso, che non si tollerano sgarbi. La mia teoria è che il Paese organizzatore di una grande manifestazione sportiva abbia, come dire, una specie di “bonus” per cui le autorità dell’antidoping chiudono un occhio sui successi anche un tantino sospetti (ricordate il caso della giavellottista greca Verouli, campionessa europea a Atene, tanto imbottita di steroidi da poi, poverina, anche morirci? – o, se per quello, la povera Flo-Flo?) degli atleti di casa. Il tutto ovviamente con la comprensibilissima intenzione di aggiungere interesse alla competizione per avere il giusto e soprattutto interessato supporto degli spettatori del Paese organizzatore. Un occhio sì, ma tutti e due no. Se gli ospiti vogliono farla fuori dal vaso, allora cala la mannaia, come successe a tutta la squadra finlandese di fondo in una vecchia edizione dei Mondiali a Lahti. La mannaia poi cala anche se uno vuole fare di testa sua magari cambiando ditta che gli fornisce l’attrezzatura sportiva, per cui un anno è l’eroe dei Mondiali di Roma e l’anno dopo viene beccato pieno di steroidi come un uovo alle Olimpiadi. Ma questo è tutto un altro discorso che fa il paio col caso di quello che da ex drogato vuole dimostrare che si può vincere anche puliti, cosa questa non tollerabile perché fa saltare il tavolo dell’andazzo riconosciuto e praticato da tutti. Che i russi a Soči l’abbiano fatta fuori dal vaso e che soprattutto, peccato mortale, abbiano coinvolto la potentissima agenzia di Stato per la sicurezza nazionale, con ciò bypassando le autorità sportive mondiali agendo a loro insaputa, è ovviamente indubbio e che sappiano, al di là delle affermazioni di facciata fatte per salvare la faccia, di averlo fatto è altrettanto indubbio. Se non fosse così allora perché si sarebbero esposti all’umiliazione di dover sfilare e gareggiare da anonimi ingoiando anche l’espulsione a casaccio di tantissime loro fondatissime speranze di medaglia (Ustjugov, Šipulin…)? Evidentemente il messaggio l'hanno mandato anche loro. Rientriamo nei ranghi e perciò a buon rendere. Vediamo, o CIO, come vi comportate con noi da qui in poi. Come mai da qualche tempo non ci sono più rivelazioni della loro banda di sopraffini hacker che sono riusciti addirittura a far eleggere un Presidente degli Stati Uniti? State pur certi che, se il CIO continuerà a importunarli, ritorneranno alla carica.
Peccato perché comunque l'Olimpiade offre storie sempre comunque belle e interessanti. Purtroppo la copertura televisiva è praticamente nulla con il gran rifiuto di Eurosport che per fortuna vedo a Capodistria, se no sarei fregato, visto che fra l'altro a casa mia ho problemi di ricezione dei canali RAI sul digitale terrestre, mentre la copertura sulla piattaforma Sky viene criptata – perché poi? Per fare uno sgarbo a Sky facendo come il marito che si evira per fare un dispetto alla moglie? A occhio se si vedessero le Olimpiadi anche sulla piattaforma satellitare gli ascolti sarebbero molto più cospicui e la raccolta pubblicitaria molto migliore. Evidentemente qualcosa mi sfugge.
Perché nulla? Perché a me interessano le Olimpiadi in generale e non solo quelle degli italiani. Per esempio, almeno a mio avviso, la storia eponima di queste Olimpiadi finora è la storia delle prime due gare di Martin Fourcade. Pensate un po’. Trattasi del mammasantissima del biathlon, quello che vince tutto e di più. Arriva alle Olimpiadi per spaccare il mondo. Arriva la prima gara, la sprint, la gara dove ci sono due poligoni e che poi determina l’ordine di partenza per la seconda medaglia, quella dell’inseguimento. A proposito, perché l’hanno eliminato nel fondo? Eppure la Gundersen è una competizione straordinariamente affascinante. Arriva Fourcade al primo poligono, quello di routine dove si spara a terra, molto più facile che in piedi malgrado il bersaglio più piccolo. Pum, pum, canna tre dei cinque tiri con conseguenti tre giri di penalità. Gara che va a escort dopo neanche 10 minuti dalla partenza. Cosa fa Fourcade? Fa i giri, recupera qualcosa, al secondo poligono in piedi centra tutti i bersagli e alla fine arriva non in medaglia (era impossibile), ma a un ritardo tollerabile dal vincitore. Nell’inseguimento parte dunque a ridosso dai primi. Nei primi due giri spara a terra con circospezione mirando bene per non sbagliare e lascia sfogare gli altri. Poi, nelle ultime due sessioni in piedi, mentre agli altri culo mastica mutande, spara due sessioni perfette, tanto che dopo aver abbattuto tutti i bersagli all’ultimo poligono può permettersi prima di ripartire di fare il suo classico gesto di esultanza al pubblico (quello che c’è, principalmente tedeschi e norvegesi). Arriva da trionfatore con la bandiera sventolante in mano e rimette le cose a posto. Come un campione, cioè uno con una testa al titanio, possa superare con feroce determinazione un inizio talmente devastante di un’esperienza fondamentale come quella olimpica che per questo tipo di atleti è l’appuntamento della vita è una cosa che non riuscirò mai a capire perché supera qualsiasi mia immaginazione. Posso solo inchinarmi alle doti di un inimitabile campione e l’unica cosa che posso da questo episodio capire è il perché sia il mammasantissima del biathlon.
Quello che avete appena letto l’ho scritto ieri (14/2) sera. Oggi voglio finire il pezzo e cosa vedo? Fourcade che ha la gara individuale in saccoccia e sbaglia gli ultimi due tiri al poligono. Se ne sbagliava uno solo avrebbe vinto. Non posso che concludere che anche i marziani sono alla fin fine umani. Probabilmente la sua capacità di concentrazione è stata messa a tal dura prova che alla fine, proprio a qualche secondo dalla definitiva consacrazione, è crollata di colpo senza quasi che neanche lui se ne accorgesse (“Dai che è ormai fatta!”). Insomma tutto quello che si può dire è che lo sport è magnifico proprio perché è imprevedibile, come sono imprevedibili i meccanismi che regolano la nostra testa e che alla fine, solo loro, decidono se si vincerà o si perderà, o meglio se si riuscirà a dare il massimo o meno.
Comunque sono ovviamente contento, anzi strafelice per l’argento di Jakov Fak. Forse non conoscete la storia: il Comitato olimpico sloveno aveva avuto la fantastica idea di affidare la scelta del portabandiera a un sondaggio via Facebook (ma si può essere più scemi? Ma non vedono cosa succede con il blog dei 5S?) mettendo fra i candidati anche Jakov Fak (in realtà unica realistica speranza slovena di medaglia, una volta spaccatasi la Štuhec e in marasma Peter Prevc) che, come forse saprete, è croato di nascita (il luogo, Mrkopalj, è un buco nella foresta del Gorski Kotar, la regione montagnosa e isolata dal mondo alle spalle di Fiume che si trova sotto il confine con la Slovenia), che come croato è stato portabandiera nonché medagliato a Vancouver, ma che si è già da giovanissimo stabilito in Slovenia, al centro del biathlon di Pokljuka, dove ha imparato non solo tutto quello che sa del biathlon, ma anche la lingua slovena che parla in modo assolutamente perfetto con il giusto accento della Carniola superiore. E infatti subito dopo Vancouver, con l’intesa fra le due Federazioni (ai croati aveva già dato e loro sapevano benissimo che non potevano offrirgli più nulla se non la sempiterna riconoscenza per aver vinto per loro una medaglia per la quale non avevano fatto esattamente nulla per meritarla), ha preso la cittadinanza slovena e da quel momento in poi ha gareggiato per la Slovenia. Però per i troll infestatori dei social continua ad avere il peccato originale di essere croato, per cui tutta la feccia berciante dei social si è avventata su di lui coprendolo di insulti a volte smaccatamente razzisti, del tipo come può questo buzzurro straniero portare la gloriosa bandiera del nostro Paese? Fak, viste le reazioni, ha immediatamente ritirato la candidatura, la Federazione di biathlon e il Comitato olimpico nonché tutta la gente benpensante con i media seri in testa si sono cosparsi il capo di cenere e gli hanno chiesto pubblica e imbarazzata scusa, però intanto il patatrac è stato fatto. Poi per la cronaca la votazione (di circa 800 persone!) ha partorito l’idea di far fare la portabandiera a Vesna Fabjan (bronzo nel fondo nella sprint a Soči) che finora non ha neanche gareggiato. E infatti, come si poteva temere, nelle prime due gare olimpiche Fak ha fatto letteralmente schifo, per cui ancora oggi i giornali, usciti mentre vinceva l’argento, recitavano il de profundis chiedendosi cosa gli fosse successo. Tecnicamente oggi è successo che la temperatura fosse decente, per cui Fak, che ha il dito che preme il grilletto parzialmente congelato a causa di un congelamento patito anni fa e dal quale non si è mai completamente ripreso, ha potuto gareggiare al meglio, ma soprattutto ha mostrato tutta la sua tempra di campione dimenticando tutto e riuscendo con la sua impresa a far chiudere la bocca a tutti quelli che lo avevano denigrato (Fak you, si può scrivere?). Per cui tanto di cappello. Ci sono successi che trascendono di molto i loro significati materiali e questo è sicuramente uno di quelli.
Poi ovviamente dal mio punto di vista c’è la libidine della vittoria della crema dei 250 tesserati della federazione slovena di hockey sugli Stati Uniti (600 mila praticanti), ma so che a voi non interessa, come so che non vi interessa, ma malgrado ciò ve ne parlerò la prossima volta, perché per me più che una storia sportiva è un apologo, la storia dei miracoli della nazionale slovena femminile di basket che ha già ottenuto il virtuale pass per i prossimi europei. Dall’altro canto in questo momento per esempio a me del 6 nazioni proprio non potrebbe fregare di meno (con la Juve che si incarta e fa 2 a 2 in casa!), ma capisco benissimo che a voi interessi, per cui continuate pure a parlarne e a scriverne, in quanto i valori democratici, espressi civilmente, non sono mai stati in discussione su questo blog. Se non altro qualcosa di rugby capisco, pochissimo, ma sempre più di quanto non capisca di fisica quantistica. Che è sinceramente, per quanto mi sforzi di tenere alto il livello delle nostre discussioni, uno degli ultimi argomenti che pensavo potessero essere non dico trattati, ma addirittura menzionati, da queste parti.