Una delle cose che più mi hanno meravigliato da quando reggo questo sito è che alcune cose che davo per scontate non lo sono affatto. Per esempio pensavo che quando si comincia una discussione si dia per scontato che i fatti che si commentano sono certi. E invece no. Due pezzi fa mi arriva questo commento: "Se la scuola Ddr fosse stata soprattutto metodica di allenamento e lavoro, come mai in 20 anni a fronte di donne che ogni anno dominavano ogni specialità del nuoto (e poco dopo, spesso sparivano...) in campo maschile la Ddr è stata assolutamente ridicola, e a parte Matthes, un talento naturale che ha avuto la fortuna di esplodere prima dell'arrivo dei "geni" di Lipsia (come prima? N.d.r.), non è mai riuscita a piazzare un uomo neanche nelle finali b di qualsiasi competizione?". Controllare prego. Scripta manent. Ovviamente sono partito lancia in resta e ho cominciato a riportare dati storici che confutavano quanto detto con tanta sicurezza. Al che in calce al pezzo successivo mi è arrivato dalla stessa persona il seguente commento: "Medagliere Ddr: (inutile riportare i dati, basta andare a leggere). Totale: Uomini: 10,14,35=39. Donne (numero spropositato del tutto scontato visto che il doping di stato e il trattamento radicale di steroidi sulle donne è un dato di fatto che nessuno ha mai messo in discussione). Nota bene: delle 39 medaglie degli uomini circa la meta è dovuta a Matthes, Pyttel e Woithe." Onestamente stento a credere che a scrivere due cose tanto contrastanti sia stata la stessa persona. Allora non c'era solo Matthes, ma anche Pyttel e Woithe! Allora non avevano solo finalisti b, ma hanno anche vinto 39 medaglie, delle quali 10 d'oro! Ora prendendo per buono che il loro trattamento farmacologico maschile (chiamiamolo così) fosse più o meno quello standard che si usava in tutto il resto del mondo se ne evince che tutto sommato tanto scarsi non dovevano essere. Chiedo a qualche statistico scatenato che vada a controllare quante medaglie vinsero in quel periodo per esempio Gran Bretagna, Francia o la stessa Germania Ovest (dell'Italia ovviamente non parlo, perché tutti sappiamo che prima di Battistelli '86 il numero era 0 – c'era la povera Calligaris che doveva combattere contro i mostri dell'est, ma qui stiamo parlando di uomini), malgrado il fatto scoperto proprio in questi ultimi tempi che le loro strutture sportive avevano ricevuto l'ordine (pardon, befehl, suona meglio) di copiare in tutto e per tutto quanto facevano i loro fratelli dell'est. Tutto questo per un Paese di circa 20 milioni di abitanti che eccelleva in tutti gli sport individuali possibili. Per cui penso che negare il fatto che dietro a queste medaglie ci fosse un grandissimo lavoro scientifico di selezione e di allenamento sia andare contro la pura e semplice evidenza. Ecco, devo dire che la cosa mi frustra, perché se c'è una cosa che mi disturba nel quadro della mia pigrizia cosmica è quella di fare qualsiasi cosa per niente. E discutere a vuoto su fatti inesistenti è una di quelle cose. L'ironia finale è che poi, incalzato da Edoardo e Franz (grazie di cuore! grandissimi!), il buon Ivan è atterrato a un commento finale che è in effetti totalmente condivisibile, salvo ovviamente la chiave di interpretazione che per me rimane prima base tecnico-scientifica con sofisticatissimi metodi selettivi già a livello prepuberale e poi eventualmente doping, mentre per Ivan la somministrazione del doping andava avanti di pari passo con la selezione e la preparazione. Penso che si tratti di due punti di vista diversi (e io mi tengo il mio, chiaramente) ambedue legittimi che si basano comunque su fatti certi e condivisi. Ma ci voleva tanto per arrivarci subito? (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto")

Giusto per chiudere l'argomento e per sgombrare il campo da qualsiasi equivoco voglio fare ancora, mi perdonerete, una piccola considerazione quasi filosofica. E' solo ovvio che quanto facevano nella Ddr può essere addirittura ammirato per le capacità di stregoni che avevano, ma dal punto di vista umano che fosse angosciosamente brutale e dunque totalmente disprezzabile è altrettanto incontrovertibile. Come lo sono tutte le società che hanno dei feticci, almeno io li chiamo così, che condizionano in modo aberrante le coscienze collettive dando un senso distorto e in definitiva disumano al sentire generale. Per esempio l'ossessione militare dell'antica Sparta, nella quale la selezione veniva fatta ben più brutalmente che nella Ddr, semplicemente buttando i neonati giù dalla rupe, o quella giapponese dei samurai che per salvare l'onore (che poi in definitiva cos'è?) rinunciavano al più grande tesoro che abbiamo, la nostra vita, o i fondamentalismi religiosi che portano allo stesso disprezzo della propria vita, ma anche di quella altrui, come i terroristi ci insegnano, o anche il terribile feticcio del guadagno e del denaro a tutti i costi che erode, corrompe e alla fine manderà in malora tutta la nostra tanto decantata società occidentale nella quale, lo si è visto in questi giorni, si può morire di fatica da lavoro solo per avere una prospettiva di futuro benessere materiale. Mentre, per come la vedo io, il senso della nostra preziosa vita è tutt'altra cosa.

E già che sono in vena filosofica, ma passando a cose ben più pedestri, l'altro giorno facevo la telecronaca dell'amichevole fra Slovenia e Russia. Metà del terzo quarto, punteggio pari. Attacca la Slovenia: Domen Lorbek tira da tre metri da dentro l'area, sbaglia, va a rimbalzo, spinge il pallone verso il ferro, corto, arriva per il tapin Begić, sbaglia da 20 cm, lo stesso Begić ritenta, risbaglia sempre da 20 cm, prendono il pallone i russi che vanno in attacco, la Slovenia difende benissimo, o per meglio dire i russi non hanno la minima idea di cosa fare, al 24.esimo secondo deve tirare Šved da 9 metri, ciuff. Russia avanti di tre. Riflessione: qual'è l'unica cosa che veramente importa nel nostro maledetto (per chi non segna) gioco? Non esiste altra cosa nel basket al di fuori del fare canestro. Punto. O come Totò: due punti. Questo piccolo episodio non ha fatto che rinforzare ulteriormente la mia granitica convinzione, che voi che mi leggete ben conoscete e che avete tentato più volte del tutto inutilmente (almeno con me) di mettere in dubbio, che a vincere le partite nel basket è solo e esclusivamente la capacità di buttare la palla nel cerchio magico invece di mancarlo di continuo. Tutto il resto è contorno e palliativo, nel senso che la difesa è il tentativo di minimizzare la nostra incapacità di buttarla dentro sperando di fare in modo che l'avversario grazie ai nostri sforzi si dimostri più incapace di noi. Ripeto per l'ennesima volta: se avessi in campo cinque fenomeni telecomandati che ogni volta che alzano la mano fanno canestro vincerei ogni partita. Se faccio il 100% al tiro è matematica banale che non posso perdere.

Mi sono ricordato di questa riflessione guardando in TV Polonia-Italia. Povera Italia, ovviamente perché continua a perdere pezzi per strada, e magari fossero pezzi inutili, ma ora come ora ha perso tutti i pezzi veramente pregiati quali Gallinari e Hackett, per non parlare di Bargnani che forse Pianigiani sarebbe riuscito a convincere di giocare in modo stazionario sotto canestro se non altro per agire da ingombro nel confronto dei lunghi avversari che ora come ora trovano nell'area italiana praterie sconfinate e, se appena non sono diversamente abili nel tiro fanno canestro come e quando vogliono, come dimostrato da Lampe e Gortat, due centri da Borac Čačak dei tempi d'oro (esagero? I più anziani ricorderanno Milun Marović, Radivoje Živković o Goran Grbović, giocatori che hanno cominciato la carriera, appunto, nel Borac arrivando fino in nazionale) che però nel desolante panorama odierno appaiono fenomeni. Il problema però non è tutto (anche se lo è in buonissima parte, bisogna ammetterlo) qui. Durante la partita ascoltavo coach Dan che commentava entusiasta le azioni dell'Italia, sulle quali onestamente non avevo assolutamente niente da ridire neppure io da spettatore cinico e disincantato, che terminavano con un facile tiro aperto da tre o comunque con un bel tiro dalla media. "XY ha tirato! Bravo, quando si è soli non bisogna esitare! Ha sbagliato? Pazienza, l'importante era che si prendesse in modo cosciente la sua responsabilità!" Ora con tutto il bene che posso avere per il coach con il quale la sintonia, fin dai tempi eroici di Capodistria, è stata pressoché totale, devo dire onestamente che un commento simile mi fa venire l'itterizia. Del resto era lo stesso commento che ai suoi tempi faceva Aldo Giordani (altra persona che stimavo enormemente) quando commentava un bel tiro sbagliato, dunque non è certamente la prima volta che lo sento, ma anche a distanza di tanti anni mi fa sempre lo stesso effetto. Come? Ha sbagliato? E allora perché avete fatto l'azione? Sarà anche brutalmente pragmatico, ma dal punto di vista del tabellino, o del referto, fate voi, un bel tiro sbagliato o un passaggio direttamente in out e nelle mani dell'avversario o un'infrazione di passi o di doppio palleggio sono esattamente la stessa cosa. E' brutto dirlo perché va contro tutti i nostri canoni estetici, ma è così, dovete ammetterlo. O, prendendo le cose dall'altro verso: i giocatori che vanno in nazionale sono quanto di meglio un movimento cestistico sappia offrire in una determinata nazione. Ora, in un gioco che si chiama palla-a-canestro logica elementare vorrebbe che fossero chiamati in nazionale solo coloro che sono capaci di buttarla nel famoso canestro. Ne troverò 12 di varie stature e capacità fisiche e tecniche, maledizione! Per me, detto in soldoni, uno che da solo non ha almeno il 50% da tre (sottolineo almeno, perché dovrebbe valere per quello che ha altre doti importanti, difesa, lettura del gioco, carisma, leadership eccetera) può vedere la nazionale solo in TV. L'unica eccezione può essere chiaramente solo un gorillone che sotto canestro mi prende tutti i rimbalzi e stoppa tutto quanto voli al di sotto della stratosfera. A patto ovviamente che, una volta recuperata la palla, la sbologni il più presto possibile a chi di dovere. Quello che voglio dire è che possiamo fare le azioni che vogliamo, smarcare uomini in continuazione con fluide successioni di blocchi e tagli e giusta occupazione degli spazi che se poi quello che tira non la mette è stato tutto inutile. Per cui ovvio corollario è che la palla deve in ogni partita andare esclusivamente a quello che in quella partita segna più degli altri e poi, quando la difesa si adegua, a scalare al secondo migliore e così via. Fermo restando che per alcuni il tiro a canestro, visto che non segnano, deve essere strettamente verboten. Dare la palla in continuazione a un compagno che la difesa avversaria ha da tempo battezzato con un sorriso di scherno sulle labbra (non vi è mai capitato in partita di sentire l'avversario che ti marca dire: "tira dai, tanto non segni!"?) sarà anche bello, ma è inutile e controproducente. E dunque quando un nostro giocatore sbaglia quattro tiri aperti di fila, la prossima volta che tira prende un cartone in faccia e si gode il resto della partita dalla panchina. Mi raccontava Đorđe Kožul, di Zara e campione jugoslavo di salto triplo perché non riusciva a sfondare nel basket (sintomatico!), che nello Zadar avevano un giocatore di nome Pahlić (qualcuno se lo ricorderà, un play biondo) che veniva considerato mano quadra, per cui con coach Đurović aveva stabilito un patto: poteva tirare da tre solo se segnava. Se sbagliava era automatico che nella partita successiva non sarebbe stato neanche convocato. Ora, se come l'Italia di questi tempi di giocatori che facciano canestro da fuori proprio non ce n'è e le medie di tiro sono da Prima Divisione, allora è solo chiaro che si perde contro chiunque, Belgio compreso. E succede anche che Belinelli, che sembra un altro provando a giocare per la squadra, a non forzare i tiri e a passare la palla al compagno più libero (speriamo solo che duri), alla fine, quando anche il terzo a cui l'ha data spadella tragicamente ha alla fine una reazione perfettamente umana e prova a tirare lui che di tiri normali non ne ha mai tirati in vita sua, per cui forza e sembra il solito Belinelli. Ma per fortuna finora non lo è ancora stato. E' solo frustrazione, spero.

Per cui, morale della favola, se mi chiedete che chance possa avere l'Italia ai prossimi Europei posso anche essere lapidario: o si mette a segnare in modo umano che si avvicini a quanto uno si attende da un giocatore di palla-a-canestro, oppure può anche non presentarsi.