Devo dire che in questi ultimi tempi guardo ben poca pallacanestro. C'e' una ragione oggettiva: deve essersi scassato qualcosa sulla parabola del satellite, per cui vedo solo due canali di Sky sport (il secondo è nelle ore che mi interessano dedicato a quella solenne vaccata che è il cosiddetto wrestling), ogni tanto un canale Fox sport e ogni tanto Eurosport 2. Detto che dovrei chiamare un antennista che mi dica cosa diavolo succede, ne consegue comunque che la mia scelta è molto limitata, mancandomi soprattutto Sky sport 3, Eurosport 2 e eventualmente Fox sports per l’Eurolega, per cui di partite ne ho viste ben poche per ragioni puramente tecniche.
Poi ci sono le ragioni personali. Due settimane fa ho avuto per TV Capodistria un fine settimana di full immersion nel basket: venerdì sera telecronaca della semifinale di Coppa Slovenia, sabato sera la partita di qualificazione per gli Europei femminili fra Slovenia e Lettonia e domenica sera la finale di Coppa Slovenia. Sono sopravvissuto alla partita del venerdì, nella quale il Krka ha battuto i campioni di Slovenia in carica del Tajfun Šentjur. Partita più che decente per il livello degli attori chiamati a recitarla, anche se ovviamente in assoluto non è stata proprio una partita memorabile. Sono invece svenuto e mi è venuta un po’ la nausea del basket dopo la finale due giorni dopo. Il Krka (con l’Olimpija vergognosamente eliminata dal Laško addirittura nei quarti – si badi bene, a andata e ritorno!) affrontava la seconda squadra di Domžale, il Lastovka, società fondata nel '97 e neopromossa, formata da qualche professionista e da una serie di giocatori di mezza tacca che di giorno lavorano e si allenano la sera, arrivata in finale per sbaglio, nel senso che tutti quelli che la affrontavano l’hanno sottovalutata finendo poi per perdere. Ora Domžale è un borgo della conca di Lubiana a una 20 di km dalla capitale, ed è il centro della zona più sviluppata della Slovenia, l’unica, a quel che mi pare di ricordare, che abbia un reddito pro capite superiore alla media dell’Unione europea, ma pur sempre un borgo rimane. Non solo, ma lì c’è già un’altra squadra che gioca molto bene in Prima Lega, il Helios, che un anno è stato anche campione di Slovenia, per cui il Lastovka è la seconda squadra del suddetto borgo. Ora, che in finale di Coppa arrivi la seconda squadra di un borgo dell’hinterland della capitale, mentre la squadra della capitale, vincitrice di sei titoli jugoslavi e entrata nella leggenda del basket con campioni tipo Daneu, Bassin, Žorga, Jelovac, Vilfan o Zdovc, viene eliminata nei quarti, lascia presagire che qualcosa non vada per il meglio nel panorama del basket sloveno. Sarebbe come a dire che in Italia invece dell’EA7 in finale di Coppa arrivasse la seconda squadra di Monza, neanche la Forti e Liberi. Risultato della partita? Dopo 40 minuti, ripeto 40 minuti, dunque nessun errore, Krka batte Lastovka 66 a 33, 39 a 17 all’intervallo. Ditemi se dopo tanti anni di gloriosa carriera meritavo una simile tortura.
Per fortuna c’era stata sabato la partita delle ragazze che invece mi ha riconciliato con il gioco. La Slovenia delle ragazze ha fatto tutto quello che non fanno i ragazzi: ha giocato duro, con una difesa asfissiante, in attacco ha giocato con grande lucidità e costanza, non ha mai avuto cali di rendimento né momenti di blackout (tanto caratteristici per le partite femminili) e in definitiva ha stroncato le esperte e prestanti baltiche 69 a 51, più 18 che, vista la classifica del girone a tre, dà alla Slovenia praticamente il 90% di possibilità di qualificarsi per la prima volta alla fase finale degli Europei, cosa che sta mandando in panico quelli della Federazione, perché dovranno trovare in fretta e furia i soldi per l’evento (“non ci costano già troppo i maschi? Ora ci si mettono anche le ragazze!”). Dietro a questo successo c’è una bella storia che non so quanto vi interessi, ma ve la racconto lo stesso, anche perché secondo me è istruttiva in senso più ampio. Premessa: fino a poco tempo fa, anni dopo lo smantellamento dello Ježica, ex Olimpija, società di grande blasone e nome ai tempi della Jugoslavia e poi per inerzia di successo anche nei primi anni dopo l’indipendenza, il basket femminile praticamente non esisteva, se non a livello carbonaro in qualche oscura società di provincia, affidata a sporadici entusiasti. Poi, quasi per miracolo, a Celje, città già abbastanza grande e di grande tradizione sportiva (soprattutto atletica leggera, ma anche basket, ai tempi di Pipan e Tovornik), un giovane coach di origini croate, ma comunque del luogo e sloveno a tutti gli effetti, Damir Grgić, ha pensato di mettere in piedi un club femminile, l’Athlete, cominciando a reclutare e a svezzare ragazze del luogo. Pian piano ha cominciato a tirar su giocatrici sempre più forti raggiungendo il culmine con una ragazzina di Trbovlje, figlia di un calciatore dello Rudar (Minatore – a Trbovlje c’è un’importante miniera di carbone), Nika Barić, piccolina e apparentemente indifesa, ma una vera e propria scheggia, play nata, dotata di un ottimo tiro. Già la sua storia personale meriterebbe un capitolo a parte (per troppa passione e per essersi allenata in modo maniacale ha superato i propri limiti, le è venuto per sovra affaticamento un cancro alla tiroide che le hanno dovuto asportare), ma per farla breve la ragazza ora gioca a Jekaterinburg, nel più forte club russo, dunque di carriera ne ha fatta. L’ Athlete ovviamente in questo momento non ha rivali in Slovenia, ma ha comunque risvegliato un intero movimento che ha ora buoni centri anche a Kranj e Grosuplje. Malgrado ciò però la Federazione continuava a affidare la nazionale a allenatori vari provenienti da altre realtà e era sempre regolarmente carne da cannone per le nazionali europee di prima fascia. Quest’anno la Federazione, anche ricordando quanto detto sopra, si è data la zappa sui piedi promuovendo Grgić a coach della nazionale con supervisione su tutte le nazionali giovanili. Guarda caso, già a livello Under 16 la Slovenia ha quasi fatto il miracolo di ottenere una medaglia agli Europei di categoria (sconfitta sfortunata contro la Russia nei quarti), mentre la prima squadra ha fatto un progresso straordinario. Grgić si è trovato infatti davanti a un gruppo di giocatrici quasi tutte da lui svezzate e poi sviluppate che in lui credono ciecamente. Ha mostrato chiaramente di non avere gelosie e interessi personali, in quanto ha selezionato le giocatrici migliori indipendentemente se fossero sue o no, il gruppo si è cementato in modo formidabile e il rendimento è salito in modo impressionante. Le sue pupille, la Barić ('90), l'altra guardia Teja Oblak (’92- gioca in Slovacchia), e le due lunghe Trebec (’93), ma soprattutto la 20enne Eva Lisec, secondo me straordinario prospetto che quest’anno gioca a Schio ed è purtroppo chiusa dalla totem Yacobou e dalla non scalzabile Macchi, hanno giocato due grandissime partite, quella già detta e la prima, giocata in trasferta in Lituania e vinta di 9, la veterana Maja Erkić (anche lei la conoscono a Schio) ha fatto il suo, ma chi ha lasciato letteralmente esterrefatti è stata l’unica lunga di stazza che la Slovenia abbia, un’altra veterana, Sandra Piršič (gioca in Spagna) che vista nei cicli precedenti faceva quasi pena, ma che ora si è trasformata in indomita leonessa e che dopo aver distrutto la Petronyte in Lituania, ha fatto doppia doppia contro il duo delle lunghe lituane, le titolate Teilane e Vitola. Per dire che, se si vuole e si sa come, si può.
Tornando alla conca di Lubiana, poco più a nordest di Domžale c’è la pittoresca cittadina di Škofja Loka e partendo da essa si raggiunge il comune di Železniki con la sua frazione Dolenja Vas nella Selška dolina (valle). Da quelle, e da tante altre parti della Slovenia, sono totalmente fuori di testa per i salti con gli sci, lo sport individuale nazionale per eccellenza in Slovenia, per ragioni che un po’ sfuggono, ma che forse si potrebbero ricondurre a particolari caratteristiche slovene, popolo che, come tutti popoli un po’ frustrati, ama gli sport adrenalinici (gli sloveni costituivano l’ossatura della nazionale jugoslava di paracadutismo sportivo e avevano praticamente il monopolio jugoslavo quali piloti militari di caccia). E dunque una trentina di anni fa i ragazzi di Dolenja Vas e dei paesi vicini decisero di costruirsi in proprio un trampolino per praticare il loro sport, chiesero consigli al guru dei salti sloveni, l’ingegner Gorišek, progettista e costruttore assieme al fratello del trampolino gigante di Planica e anche di quello di Vikersund, il più grande al mondo, e su sue indicazioni solo con il lavoro volontario approntarono un impianto K25 (piccolino dunque), sul quale i ragazzi del luogo potevano divertirsi e allenarsi d’inverno. Un giorno arrivò a provare un ragazzino del paese di buona famiglia borghese, ben educato e di buone maniere, che però si dimostrò subito di una categoria superiore a tutti gli altri, anche e soprattutto perché aveva un atteggiamento maturo e responsabile, taciturno ma determinato, desideroso in tutti i modi di migliorare di salto in salto e di capire fino in fondo i segreti dello sport che tanto ardentemente desiderava di praticare ai massimi livelli.
Una decina di anni dopo quel ragazzino, di nome Peter Prevc, ha frantumato in questa stagione tutti i record che si possano inventare nei salti: massimo numero di vittorie stagionali in Coppa del Mondo, massimo numero di serie vinte in stagione, a fine stagione stabilirà il nuovo record assoluto di punti fatti in una stagione in Coppa, nel frattempo stravincendo la tournee dei quattro trampolini, vincendo il Mondiale di voli e portando a casa la Coppa del mondo complessiva con sei gare d’anticipo. Senza considerare che nella sua avventura è stato seguito dai fratellini, dal secondo, Cene, l’anno scorso a punti in Coppa del mondo e soprattutto dal terzo, il 16-enne Domen che in questa stagione è stato già due volte secondo in Coppa (dietro al fratellone) nonché vicecampione del mondo junior (con tre anni ancora di margine) e che anche la sorellina Nika sembra dotatissima per rinforzare il già florido settore femminile, la cosa che forse più bisogna sottolineare, e che non si riesce a capire se non si vive in Slovenia, è l’incredibile spinta che hanno dato questi successi a tutta la popolazione slovena, fiera di avere un tale super campione proprio nello sport più amato e che più solletica l’orgoglio e l’immaginario popolare. Tanto che per esempio ogni qualvolta Prevc sale sul podio per ricevere il primo premio (sono state già 13 in questa stagione) e risuona la Zdravica, l’inno sloveno, i bambini, si dice, si rivolgono ai genitori dicendo loro: “Mamma, papà, venite che stanno per suonare la canzone di Prevc!”