Come tutti ben sapete la mia considerazione per il basket italiano, anche perché rispetto a voi sono molto meno coinvolto emotivamente, non è certamente elevata, soprattutto in questi ultimi tempi. Però devo dire onestamente che quello che ho visto in TV per il torneo di Atene mi ha letteralmente stravolto, tanto che, forse per la prima volta nella mia vita, ho provato pena per quei poveretti che sono stati letteralmente sbriciolati dalla Serbia. Anche perché conosco molto bene la mentalità serba dopo aver avuto a che fare per più di 40 anni con il basket jugoslavo, e il loro linguaggio del corpo durante tutta la partita è stato il linguaggio serbo più umiliante che ci sia, quello cioè di chi si rende conto di aver a che fare con un avversario talmente più scarso da non avere neanche il più piccolo stimolo di prenderlo un po’ in giro (ricordate? – i serbi prendono in giro solo quelli che stimano e temono), un po’ della serie: “poveracci, ci vergogniamo di rubare caramelle ai bambini”. 

 

La sensazione della desolazione assoluta palesata contro i serbi è stata la fotografia impietosa che ci ha lasciato questo torneo e inevitabilmente è un qualcosa che purtroppo lascerà il segno. Ci si sarebbe potuta mettere una pezza battendo la più ridicola Turchia vista in questi ultimi anni, una Turchia infarcita di giocatori presuntuosi e ignavi che per lunghi periodi della partita davano l’impressione di essere lì dov’erano per contratto e che invece avrebbero voluto essere da qualche parte in spiaggia a godersi le vacanze. E si è riusciti a perdere anche contro una squadra del genere (secondo me fra l’altro allenata in modo pessimo: ma chi cavolo è questo nuovo coach?) da un tranquillo più 15 con tutta l’inerzia della partita in mano andando in totale bambola nell’ultimo quarto nel quale il caos più gigantesco ha regnato sovrano. Fra l’altro qui si inserisce anche il discorso sul coach sul quale comunque ritornerò. Del resto che le cose non fossero delle migliori e che la sofferenza sarebbe stata grande per tutto il torneo l’avevano lasciato intendere già i primi minuti della prima partita contro la Grecia nella quale si aveva l’impressione che a sfidarsi fossero due squadre di categorie diverse. Per dire: più o meno quanto visto in TV fra la Triestina e la Juve con i miei rosso-alabardati che hanno fatto sicuramente una figura molto migliore. E stiamo parlando di una società che vuole vincere la Champions’ League opposta ad una squadra di Lega Pro. Ecco, più o meno la differenza era la stessa, anzi, come detto, l’Unione si è comportata nettamente meglio.

A questo punto la consolazione alla quale ricorrono tutti è quella che mancavano Gallinari e Datome, sicuramente i due giocatori più bravi della squadra. Io invece vorrei andare direttamente al punto e dire che invece secondo me mancava, e purtroppo mancherà per tutto il Mondiale, il giocatore assolutamente cardine di questa squadra, il giocatore più imprescindibile che ci sia in questa nazionale, parlo ovviamente di Nicolò Melli. Soprattutto dopo i due anni passati alla corte di Obradović dove ha giocato esattamente nel ruolo che doveva ricoprire in nazionale, quello cioè di collante difensivo e punto di riferimento in attacco. Con in più tutto il lavoro sporco ma fondamentale che ha sempre eseguito da giocatore di grandissima intelligenza cestistica. Se del resto nel Fenerbahce aveva il secondo minutaggio in Eurolega in squadra dopo Sloukas (a proposito, dov’è? Ne sapete qualcosa?) qualche ragione deve pure esserci.

A questo punto la domanda fondamentale che ci si pone è: quale sarà l’apporto in più, il valore aggiunto, che daranno Gallinari e Datome a questa squadra? La mia impressione è che sarà molto limitato. Si tratta senza alcun dubbio dei due migliori giocatori di questa nazionale, su questo non ci piove, ma il problema è che ambedue giocano in ruoli che sono comunque sovraffollati e che sì, potranno aggiungere qualcosa in più, ma solo come differenza individuale rispetto ai giocatori al posto dei quali entreranno, ma che di ciò la squadra ne beneficerà in modo molto marginale. Mi dispiace dire una cosa del genere per Gallinari che quando era ancora ragazzo e giocava in Italia aveva l’istinto del vero leader, quello che gioca per far rendere meglio i compagni e che si incaricava di salire alla ribalta solamente quando era necessario. Dopo tanti anni passati nell’NBA a fare sostanzialmente il comprimario, o per meglio dire, il giocatore che non ha certamente in mano le chiavi della sua squadra, questa sua attitudine sembra totalmente svanita e, onestamente, ogni volta che si ri-materializza in Nazionale mi lascia sempre più perplesso. E’ come se qualcosa scattasse in lui e, ritornato in una terra di basket, a suo avviso, di terza fascia rispetto al mondo rutilante dal quale proviene, sentisse il bisogno impellente di Westbrook-izzarsi o Harden-izzarsi con risultati che non si possono che definire, con una blanda litote (figura retorica che viene subito in mente dopo tre giorni di martellamenti televisivi con uso smodato di essa a ogni pie’ sospinto), non certamente entusiasmanti. Speriamo che almeno in Cina si ricordi sostanzialmente di una sola cosa: di chi sia veramente e di cosa è veramente capace.

Il problema tecnico fondamentale, strutturale e assolutamente non rimediabile di questa squadra è uno solo, ed è ovviamente quello di non avere in realtà, parlando di partecipazione ad un Mondiale, non ad una sagra di paese, nessuno, ma proprio nessuno, sotto canestro. Neanche Melli, che è pure, come ho avuto più volte modo di dire a suo padre, un tre che per necessità deve giocare da cinque. La cosa tutto sommato ironica di tutta questa situazione è che comunque sia Biligha che anche il povero Tessitori, paracadutato ad un Mondiale dalla A-2 (a proposito, è mai possibile che uno del genere non trovi posto in una squadra di A-1? mistero per me peggio che eleusino), sempre che ci vada (e comunque al posto suo chi può andare? un altro Pollicino?), sono stati fra i pochissimi che ad Atene hanno fatto il loro dovere, e forse anche qualcosa di più. Mi hanno ricordato in modo struggente i miei poveri centri del Polet che allenavo una vita fa, una squadra che presentavo sul giornale come una squadra di sei play, tre guardie e un’ala (molto) piccola. Erano bravi, sia come ragazzi che come giocatori (ed infatti tutti nella vita hanno avuto successo), ma quando incontravamo una squadra di quelle brave i lungagnoni avversari che li sovrastavano di due teste segnavano indisturbati per quanto i miei fossero eccellenti nel tagliafuori (unica arma che avevamo) che neanche serviva fare con la gherminella classica da campetto, quella cioè di mettere il tacco della scarpa sulla punta di quella del centro avversario al momento in cui questi prendeva lo slancio per saltare a rimbalzo. Era tanto lungo che comunque la palla la prendeva anche senza saltare.

Ora sarò anche fuori moda, sarò un fossile vivente che ricorda con nostalgia un basket (pardon, “il” basket) che non c’è più, ma nessuno riuscirà mai a convincermi che si possa vincere a pallacanestro senza avere nessuno sotto canestro che prenda i rimbalzi e che magari, se imbeccato nel modo giusto, la butti dentro quando è passabilmente vicino al ferro. Certo, in mancanza di centri dominanti si può essere competitivi lo stesso, a patto di avere una squadra di saette che trattano la palla in modo divino, che vedono i compagni soli con un attimo di anticipo rispetto alla difesa avversaria, e che soprattutto la mettano dentro da ogni dove e in ogni modo. Dunque l’Italia per essere competitiva, mancandole completamente un centro affidabile, dovrebbe essere questo, una squadra che gioca a 1000 all’ora e che segna quasi sempre. Il problema però per giocare in questo modo è quello di avere giocatori in grado di farlo, giocatori che leggono il gioco, che sanno trattare la palla in velocità e che sono ottimi passatori e soprattutto tiratori, cioè di avere giocatori che sappiano giocare a basket.

Onestamente, mano sul cuore, fuori dai denti, l’Italia quanti giocatori di questo tipo ha, in realtà? Volete la mia opinione, sincera e onesta? Semplicemente non ne ha. La caratteristica comune a praticamente tutti i giocatori di questa nazionale è che appena vanno un tantino sopra ritmo vanno anche in tilt. Non solo, ma si tratta per la maggior parte di giocatori “imparati” o, dall’altro lato, di giocatori di puro istinto (Gentile, Belinelli per dire), istinto che però mai nessuno ha avuto la capacità di incanalare nel verso di un gioco produttivo per la squadra, istinto che li porta a fare cose che per loro sono in quel momento giuste, ma che nulla hanno in comune con quanto sta realmente succedendo in campo né dal punto di vista della situazione tattica contingente né, e qui la cosa è molto più grave, dal punto di vista delle necessità strategiche di quel preciso momento della partita. Gli avversari hanno problemi in qualche settore del gioco? In quel momento bisogna tentare di sfruttare proprio questo fatto affondando il dito nella piaga. Noi abbiamo un giocatore che in quel momento ha un vantaggio sia fisico che di posizione in campo rispetto alla difesa avversaria? Bisogna allora dargli la palla ad ogni azione finché loro non cambiano e appena allora riconsiderare la situazione. Insomma tutte cose note che presuppongono una lettura del gioco che non vedo proprio nei giocatori italiani, soprattutto in quelli che dovrebbero essere i cardini della squadra. 

E in questa situazione penso che vada analizzata la situazione del coach. Che è molto bravo e che sicuramente capisce tantissimo di basket come ha avuto ampiamente modo di dimostrare prima come grande giocatore, poi come coach. Io spero di sbagliare, ma ad Atene mi è sembrato stralunato a dir poco. Secondo me lui ha voluto dare a questa squadra più libertà di movimento e più responsabilità individuali, come ha sempre fatto con ottimi successi nelle squadre di club da lui allenate, ma alla fine ha dovuto concludere con raccapriccio che tutto quello che questo gruppo di giocatori può produrre quando li lasci giocare a briglie un po’ più sciolte sia il caos più totale con ognuno che va per conto suo senza un minimo di filo logico, come si è visto nel fallimentare ultimo quarto contro la Turchia. Con la patetica ultima azione che, chissà come, ha visto ancora una volta protagonista Gentile, che pure, finché non si è rovinosamente convinto di essere l’uomo della Provvidenza, aveva giocato un partitone, il quale in un’ultima azione di una qualsiasi partita deve essere tassativamente l’uomo che NON, sottolineo NON, deve portare la palla, semplicemente perché sotto stress non lo sa fare, e semmai essere il destinatario del passaggio per l’ultimo tiro da più sotto possibile. Durante le qualificazioni in realtà l’Italia ha giocato contro nessuno, diciamoci la verità, e giocando contro nessuno qualcosa riesci sempre a tirare fuori. Quando invece ti trovi per la prima volta contro corazzate tipo la Serbia o incrociatori pesanti tipo la Grecia tutte le magagne vengono di colpo a galla. Con il tempo per rimediare che ormai non ce n’è più. A questo punto il buon Sacchetti, uomo molto intelligente, secondo me starà sudando freddo e si starà febbrilmente chiedendo che via possa imboccare per metterci una pezza in queste due scarse settimane che mancano. Che Dio gliela mandi buona. Se la trova è un mago.

Insomma squadra senza centri e senza reale possibilità, con la scontata conseguenza di finire nel casino più totale, di giocare a mille all’ora a corri e tira. Fra l’altro per giocare a corri e tira bisogna praticamente imbucare da ogni dove e soprattutto nei momenti chiave. L’Italia sarebbe farcita di tiratori che però, numeri alla mano, non lo sono. O, come dice con una fantastica battuta il mio amico allenatore goriziano Paolo Bosini, il mondo è pieno zeppo di tiratori, ma molto scarso di “segnatori”. Insomma, non me la vedo bene, come disse la marchesa…eccetera.