Visto che venerdì sono a Venezia dove alle 19,00 facciamo una rimpatriata col mio vecchio "collega" Dan Peterson (e dove spero di vendere qualche libro...) butto giù oggi qualcosa nel senso che apro due fronti di discussione da ampliare poi in futuro anche in base ai riscontri di interesse.
Primo: il problema bianchi-neri che è talmente spinoso che nessuno vuole affrontarlo per non essere tacciato di razzismo appena dice qualcosa che non sia il solito trito stereotipo. A mo' di introduzione parto da molto lontano col preciso intento di porre un punto di origine in questa discussione. Origine nel senso matematico, il punto imprescindibile che definisce un sistema di coordinate, sia esso cartesiano o radiale. Io sono triestino di etnia slovena. Gli sloveni, uno dei popoli slavi, arrivarono nelle mie terre nel sesto secolo ed essendo popolo di pastori e contadini originario da regioni paludose dietro i Carpazi, non avevano la più pallida idea di cosa fosse il mare e dunque lo temevano. Si insediarono pertanto nell'entroterra, rimasto devastato dal crollo dell'Impero romano e dalle invasioni barbariche, colonizzandolo senza problemi visto che nessuno aveva interesse a quelle terre. Sul mare rimasero così indisturbate le popolazioni antecedenti, di lingua e cultura latina che poi naturalmente divennero italiane di lingua e sentimenti. Nei secoli dunque la divisione etnica portò inevitabilmente ad una parallela divisione economica. Nelle città in riva al mare, da Trieste fino a Pola su tutta la costa occidentale dell'Istria, si sviluppò una borghesia fondata sull'industria marina e sui commerci, mentre nell'entroterra slavo la gente rimase ancorata alla terra. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto").
La divisione etnica coincise dunque con la divisione città-campagna, insomma con la divisione fra istruiti e bifolchi. Inutile sottolineare che essere contadini non vuol dire affatto essere stupidi o ignoranti. Inutile dire che in Slovenia le Autorità austriache certificarono la scomparsa dell'analfabetismo negli anni '80 del 19.esimo secolo, e dunque attorno al 1880 tutti gli sloveni sapevano leggere e scrivere, nella percezione popolare gli "s'ciavi" (schiavi – capite perché essere chiamati così ci faccia fortemente girare le palle) erano bifolchi di razza inferiore, gente che veniva in città per fare i lavori più umili, con le donne che portavano il latte e le uova e venivano a fare i servizi per le ricche donne borghesi. E per quanto io sia nato in una famiglia di più che discreto livello intellettuale, sempre "s'ciavo" sono e sempre "s'ciavo" rimarrò. Questo per dire che quando parlo di barriere sociali e culturali so di cosa parlo per averlo sperimentato sulla mia pelle soprattutto nei miei anni più verdi quando Trieste si trovò in mezzo a bufere politiche di livello addirittura mondiale. E dunque posso immaginare, ma solo immaginare, come possa essere la situazione negli Stati Uniti, dove le differenze di partenza sono state incomparabilmente maggiori, dove ancora 150 anni fa, uno sternuto nella storia, c'era una dipendenza padrone-schiavo (vero, stavolta), differenze sottolineate da una clamorosa differenza di pigmentazione cutanea. A questo punto quando uno mi viene a parlare che siamo tutti uguali, che non ci sono differenze se non nella nostra mente, eccetera, mi viene l'orticaria e smetto di discutere. Ma come, con la storia che abbiamo alle spalle siamo tutti uguali? Ma chi vogliamo prendere in giro? Siamo diversi, non ci possono essere dubbi. Dobbiamo solo capire quanto e come siamo diversi, cosa ci differenzia, quali sono i nostri e quali i loro valori. Senza quest'analisi fondamentale, che deve però essere obiettiva ed onesta, non si può neanche tentare di cominciare un discorso di eguaglianza di diritti, orgoglio e dignità. Sì, perché il problema sta tutto qui, secondo me. Si fa una grande confusione, che è per me la base di ogni razzismo, fra diversità e superiorità. Tu sei diverso da me e dunque io ti sono superiore. E perché? Non ti viene mai in mente che potrebbe essere superiore lui? Sì, ma mentre tu vivevi ancora sugli alberi noi conquistavamo il mondo! Sì, e allora? Chi ha mai detto che conquistare il mondo sia meglio che vivere sugli alberi? Anzi, stare sugli alberi aiuta molto di più nell'unica cosa che ci rende differenti dalle bestie: la capacità di pensare. In definitiva l'origine deve essere posta nella constatazione che: a) diversità c'è per forza di cose, b) cosa questo comporta e c) avere sempre in mente che questa analisi non presuppone in nessun modo valutazioni di merito su presunte superiorità di uni rispetto agli altri. Una volta chiarito questo, allora si può finalmente cominciare a parlare.
Secondo: tornando al basket (ma vedrete che anche sul primo punto questo era solo un preambolo per poi parlare diffusamente di basket), negli ultimi giorni ho avuto modo di vedere in rapida successione due partite del passato: su un DVD tratto da un sito spagnolo la finale del '73 degli Europei fra Spagna e Jugoslavia e su ESPN Classic la semifinale degli Europei del '91 fra Italia e Spagna. Ora se qualcuno mi viene a dire che oggigiorno si gioca meglio gli sputo in faccia e non gli parlo più. Nel '73 (37 anni fa! Come se nel '73 avessero guardato un DVD del basket ai Giochi di Berlino! – e poi parlano di progresso inarrestabile) le difese non erano certamente tanto sofisticate quanto lo sono oggi con aiuti, trappole e raddoppi. È pacifico, lo concedo. Però per questo la gente doveva tenere molto meglio il proprio uomo e dunque, la cosa mi ha sorpreso perché non ci avevo fatto caso, i fondamentali difensivi di posizione e scivolamento erano addirittura meglio allora. Di quella partita, di cui feci la telecronaca, ricordavo vagamente che la Jugoslavia vinse a mani basse e che Ćosić aveva giocato male. Conferma de visu di ambedue i ricordi, anche se sono rimasto choccato da quanto bene giocasse Ćosić anche quando giocava male. Quella che mi ha però veramente sorpreso è stata la seconda partita, risalente a 19 anni fa. Alla faccia! Sarò anche totalmente rincoglionito, ma proprio non ho visto differenze fra il gioco di allora e quello di adesso, se non nel senso che quello di adesso in confronto fa veramente schifo. Forse alcuni stratagemmi difensivi di nuova concezione mi sfuggono, ma l'intensità che l'Italia ha messo in campo negli ultimi minuti per ribaltare il punteggio è stata una cosa che anche oggigiorno si vede rarissimamente. Per non parlare poi di quanto hanno fatto nel finale Gentile e Brunamonti. Domanda per le prossime occasioni: perché quei due (per non parlare di Pittis, Premier, Magnifico...) avevano dei marroni al titanio che i giocatori di oggi possono solo vedere in qualche museo, perché non possono neanche immaginare che si possano possedere?