"I miei standard personali sono ancora e sempre molto alti, per cui devo purtroppo constatare che questo europeo Under 20 ci ha messo in mostra ben pochi giocatori veramente promettenti. Mi rendo conto che la gioventù è oggigiorno diversa da quella di una volta e che le esigenze commerciali limitano il tempo dell'allenamento a favore di partite più frequenti. Però quello che mi disturba è l'atteggiamento dei coach nei confronti dei giovani giocatori. Non danno loro la possibilità di emergere, per cui abbiamo un mucchio di giocatori tutti uguali. Solo il numero di maglia ti permette di riconoscere l'uno dall'altro, perché per come giocano non puoi riconoscere nessuno dal suo tipo di gioco, dai suoi movimenti. Sembrano tutti fatti con lo stampino. L'esperienza però insegna che non puoi vincere le partite del massimo livello con cinque giocatori tutti uguali l'uno all'altro.

Inoltre gli allenatori non pretendono più che i giocatori portino le loro doti individuali al massimo livello possibile. Per cui vediamo lunghi che non sanno sfruttare i loro centimetri, vediamo piccoli che non sanno sfruttare la loro velocità. In genere oggigiorno la tecnica e la tattica individuale sono a livelli molto bassi. Dagli anni '90 del secolo scorso sono migliorate tantissimo le difese, ma perché di grazia non c'è stato progresso in attacco? Tutti giocano fino allo sfinimento solamente il pick and roll e ciò è veramente ridicolo."

Questa che avete appena letto è la traduzione letterale di quanto ha detto oggi in un'intervista al massimo quotidiano sloveno, il Delo, l'83-enne santone del basket ex-jugoslavo Ranko Žeravica, invitato da Božidar Maljković (uno dei suoi ovvi discepoli) a Lubiana alla fase finale dell' Europeo Under 20 per tenere un clinic per i giovani coach sloveni. È estremamente significativo che, a credere a quanto scritto dall'estensore dell'articolo, la prima penna del basket sloveno Eduardo Brozovič, il responso dei suddetti coach sia stato molto tiepido, della serie "chi è e cosa può insegnarci questo nonnetto?" (risposta spontanea: tutto, manica di idioti!). Se è vera, la cosa testimonia del triste fatto che si sospettava da tempo, e che cioè il basket sloveno sta andando nella direzione predominante in Europa, quella della decadenza più spinta e dell'imbecillità elevata a virtù. Per gli imbecilli di cui sopra una piccola scheda: Žeravica è stato coach della nazionale jugoslava dal '67 fino al '73 e poi ancora un paio di volte nell'occasione di grandi manifestazioni internazionali. Nel '67 mostrò un incredibile coraggio portando agli Europei di Helsinki una squadra di 18-19enni che terminò fra critiche feroci al settimo posto, ma che schierava giocatori praticamente sconosciuti quali Ćosić, Šolman, Simonović e Kapičić che poi avrebbero costituito l'ossatura della squadra dei fenomeni degli anni '70. A livello di club e stato dapprima il nume tutelare del Partizan, portando a Belgrado due giocatori quali Kićanović e Dalipagić e poi, a fine carriera in Jugoslavia, prese in mano la Crvena Zvezda, portando una squadra di talento mediocre due volte alla finalissima per il titolo, perdendo la prima contro il Cibona per un canestro di Nakić in gancio di sinistro negli ultimi secondi della partita decisiva (particolare che non riporto nel libro e di cui mi sono ricordato dopo) e la seconda, dopo aver eliminato il Cibona, contro il Partizan di Divac e Paspalj. L'interessante è che a suo tempo Žeravica era noto in Jugoslavia per essere il capo della fazione di coloro che pretendevano un gioco organizzato con le stelle al servizio della squadra e non viceversa, come propugnato dal capo della fazione opposta Mirko Novosel. Ed infatti finchè è stato a capo della nazionale non ha mai convocato Zoran Slavnić considerato troppo solista. Per cui sentire dalla sua viva voce queste parole che condannano in modo definitivo il basket attuale è ancora più significativo ed importante. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto")

Come è estremamente gratificante per me che sia stato un personaggio del suo immenso calibro a dire più o meno parola per parola quanto scrivo da tempo e che ho ripetuto nel mio post di ieri, di cui questo è un'integrazione a giochi finiti, cioè a campionato finito. Invito dunque tutti a leggere anche il post precedente che è un po' la prima parte di questo. La finale fra Lituania e Francia ha confermato in pieno quanto detto da Žeravica (e dal sottoscritto, se permettete): penosa. Westermann, premiato quale MVP, non ne ha indovinato praticamente una con la perla della palla persa in modo ignobile sull'ultimo attacco che poteva dare ai francesi la vittoria. Del tutto immeritata, anche se la Lituania, dopo un buon primo tempo, meritava anch'essa di perdere. Contro la zonaccia dei francesi (tutti in area e mani in alto) che impediva con l'ombrello atomico dei lunghi francesi Gobert, Jean-Charles e Labeyrie qualsiasi tiro in penetrazione, i lituani hanno avrebbero potuto seppellire i francesi sotto una gragnuola di triple. Il problema è che, pur essendo lituani, dunque per definizione tiratori micidiali, non avevano in squadra un tiratore che fosse uno, per cui ogni tentativo in assoluta solitudine era una padella ignobile. Čižauskas, bravissimo fino a che i francesi erano a uomo, contro la zona si è perso tentando addirittura entrate centrali a difesa schierata invece che lasciare la bacchetta di comando a qualcun altro (a girare la palla contro quella zona non ci voleva Stockton) per portarsi in guardia e tirare lui a canestro, visto che era l'unico con una mano che sembrava quella di un tiratore (2 su 2 nelle triple nel primo tempo). Del resto vincere segnando 16 punti nel secondo tempo (20 minuti) non vuol dire avere fornito una prova propriamente memorabile.

Per non parlare della Serbia che nella finalina per il bronzo ha sfatato di colpo due assiomi del basket: che i serbi siano tiratori micidiali e che non possano perdere partite punto a punto. Ebbene, contro la Spagna si è vista una squadra di salterini acefali dalla mano quadra (sembravano francesi) che è riuscita nell'impresa di perdere una partita praticamente vinta a 30 secondi dalla fine con un uomo in lunetta sul più quattro. Superfluo spiegare per filo e per segno quanto hanno perpetrato, basti dire che, dopo la tripla di Abrines dall'angolo che ha portato gli spagnoli in vantaggio, sull'ultimo attacco non sono praticamente neppure riusciti ad andare al tiro.

Una postilla a questo post che mi riporta alla nostra sconvenscion di Malchina. Perché non pensiate che vi ho portato in un buco inverecondo, vi propongo questa foto. Pochi giorni dopo la nostra riunione è arrivata a Trieste una delegazione di giovani sloveni d'Argentina (dove c'è una nutritissima colonia di emigranti che hanno mantenuto vivissime le tradizioni nazionali) a cui le autorità della minoranza hanno tentato di mostrare il modo di vita degli sloveni d'Italia. E, quando li hanno portati in osmica, dove li hanno portati? Chi c'era riconoscerà sicuramente il pergolato sotto il quale abbiamo passato tante belle ore.