Mi ha colpito il commento, che non so di chi sia, postato da Gabriele sul fatto che prima del Covid eravamo in un altro mondo rispetto a quello nel quale stiamo vivendo ora. E’ esattamente quello che provo anch’io se mi rivolgo allo spettro di interessi che ho maturato in questo ultimo periodo rispetto a quelli che avevo prima. E penso che la stessa cosa stia succedendo a tutti voi, almeno a giudicare dalla profondità dei commenti che postate e dalla discussione sui massimi problemi dell’umanità che state producendo. A proposito, prima di continuare, suppongo che in fatto di discussione sui massimi sistemi della religione siamo arrivati alla fase finale della saturazione, quella cioè nella quale sta cominciando a suonare sempre lo stesso disco rotto che da parte di ognuno ripete sempre le stesse cose, per cui, non so se siete d’accordo, penso che sia ora di darci un taglio. Anche se, pensando a quanto stanno perpetrando nel nome della “religione” (virgolette d’obbligo) i pazzi fanatici predicatori del sud degli Stati Uniti che a costo di morire vogliono a tutti i costi i fedeli in chiesa, penso che ci sarebbe ancora molto da dire sull’asimmetria stridente fra come stanno al mondo i fanatici e quelli che non lo sono. E si può essere fanatici solo se si ha fede in cose che non si possono provare… Però, ripeto, prego, diamoci un taglio.
Ritornando al discorso penso che si possa usare in questo caso la vecchia frusta massima che a volte non tutto il male viene per nuocere. Prima di questa calamità stavamo andando sempre più velocemente verso un mondo in sostanza sempre più virtuale, sempre più orientato verso la percezione che fossero importanti cose tutto sommato stupide, insignificanti e soprattutto inutili. Ora siamo ritornati in un mondo vero, nel quale arriva un essere microscopico che fa morire la gente veramente e non per finta alla fine di un game over, ma che soprattutto la fa morire senza che ci sia alcun tipo di supereroe che all’ultimo momento viene a salvarla. E, per quanto quel totale imbecille di Trump venga fuori ogni giorno con annunci di nuove miracolistiche medicine che salverebbero tutto (salvo poi dire: “tentare non nuoce” – alla faccia della scienza), non ci sono potenze militari che possano frenare un virus (e dire che la Disney l’aveva capito da molto tempo: ricordate come fa Mago Merlino a battere la maga cattiva nel loro duello?), ma solo la conoscenza e le capacità intellettuali da una parte e l’abnegazione al limite dell’eroismo di esseri umani in carne in ossa senza armi di alcun genere se non quelle della responsabilità, del coraggio e in definitiva dell’amore verso il prossimo dall’altra. Non solo, ma abbiamo anche capito che morire da soli in un girone infernale qual è ogni unità di cura intensiva in questo periodo è la cosa più degradante che ci possa essere, la cosa che ad ogni essere umano toglie la sua più profonda dignità nel momento supremo di ogni vita. Lasciando fra l’altro un vuoto che mai potrà essere non solo riempito, ma neanche capito, metabolizzato, assorbito in nessun modo da coloro che hanno perso in queste condizioni una persona loro cara alla quale avrebbero voluto dedicare ben altre attenzioni e affetti.
Sono cose terribili che ci fanno riflettere profondamente e che per forza cambiano la prospettiva sotto la quale vediamo le cose che succedono. Stiamo capendo che i veri valori della vita sono ben altri rispetto a quelli perfettamente effimeri che la nostra società consumistica benestante ci aveva propinato, e che avevamo accettato supinamente (e me ne rendo conto anch’io, e dunque mi ci metto in mezzo con vergogna, che pure su queste cose, mi conoscete, avevo un atteggiamento fortemente critico da sempre), tentando (riuscendoci) di convincerci quali fossero le cose per le quali valesse la pena vivere, cose ora rivelatesi ridicole, insignificanti, impalpabili. Sembrava che per essere qualcuno bisognasse avere tanti like sui social, indipendentemente da cosa si dicesse o facesse, bastava che fosse eclatante, e di solito più una cosa è idiota più è eclatante, perché non c’è nulla di meno eclatante di una discussione seria che presuppone a monte un pensiero elaborato e che soprattutto non conosce scorciatoie né slogan roboanti con i quali impressionare un pubblico fondamentalmente ignorante e che soprattutto vuole sentirsi dire le cose che più vellicano i suoi istinti più primitivi. Ora invece le cose che più diventavano virali un tempo stanno sempre più dando la percezione di quello che sono in realtà, e cioè colossali stronzate. Pensate per esempio se qualcuno di questi tempi postasse una nuova versione, che ne so, di un gangnam dance. Invece di diventare un fenomeno planetario sono sicuro che verrebbe visto subito per quello che è in realtà, e cioè semplicemente uno stronzo idiota.
Chiaro, cambiando le prospettive cambiano anche i problemi. Mi conforta molto che anche le grandi reti, quelle che si fanno un mucchio inconcepibile di soldi sfruttando la stupidità della gente secondo il vecchio principio del re dei circhi Barnum, ora stiano timidamente tentando di mettere un argine alla diffusione delle fake news che sono il virus mentale che uccide la gente in parallelo a quello vero che la uccide fisicamente. Non credo che cambierà molto perché per le grandi compagnie della rete più una notizia, qualunque essa sia, si diffonde, più loro guadagnano, per cui sarebbe ingenuo pensare che questa battaglia la vogliano veramente intraprendere, però tutto sommato è meglio che almeno si mettano la foglia di fico e riconoscano che un problema esiste. Rimane in merito un grandissimo problema, quello che mi angoscia di più (ricordate il mio commento sulla vicenda di Cambridge Analytica?), e cioè quello che stiamo andando sempre più nelle grinfie del Supremo Fratello. Oramai tutto si svolge, giustamente, in videoconferenza, anche la nostra settimanale riunione fra amici il sabato sera, e se la cosa sembra utilissima e sicuramente avrà straordinarie conseguenze alla fine della pandemia, in quanto lavorare da casa con la stessa efficienza rispetto allo stesso lavoro fatto in ufficio fa capire alla gente che si può fare la stessa cosa con molta meno fatica e problemi di spostamenti, per cui vorrà sicuramente continuare così con tutto quel che ne consegue di positivo in fatto di congestione del traffico e di inquinamento, dall’altra parte presuppone che saremo anche più controllati dal Supremo Fratello che prima o poi verrà non solo a sapere quando e come ci sediamo sulla tazza del bagno per fare i nostri bisogni o, se volete, facciamo attività piacevole in compagnia, diciamo così, ma anche come pensiamo, quali gusti intimi abbiamo, potendo così sempre più indirizzarci ai suoi fini senza che ce ne rendiamo conto, anzi andandoci convinti che sia l’unica cosa giusta da fare. I quali suoi fini non credo coincidano con quanto in realtà ci servirebbe per vivere bene con la dignità umana di esseri liberi, dotati delle informazioni necessarie per poter esercitare il proprio libero arbitrio. Tanto più che ora questo tipo di supercontrollo è utilissimo nella battaglia contro la pandemia. Non vorrei che, una volta finita la pandemia, finisca come nella famosa favola dell’uomo che aiuta il cavallo a battere la bestia feroce montandogli in groppa e, una volta che il cavallo lo invita a scendere, dice semplicemente: “hop, hop!”. Speriamo di no e che io abbia solo letto troppi libri di fantascienza sociale.
Per tornare al tema principale, una volta che ho cominciato a rimuginare su quanto questa situazione abbia cambiato la nostra prospettiva nel vedere le cose della vita, sono ovviamente poi passato a tentare di capire come questi cambiamenti possano aver influito sulla nostra capacità di vedere lo sport e su quale sport possiamo attenderci una volta finita la fase più acuta della pandemia. Come sappiamo fino alla scoperta e alla commercializzazione di un vaccino efficace non si parla neanche di ritornare alla normalità di prima, dunque suppongo che tutta la stagione sportiva invernale ’20-‘21 sarà del tutto peculiare. Per il basket sono venuto a una conclusione che vorrei commentaste, perché a me sembra abbastanza radicale. Posto che, per esempio parlando in prima persona, l’ultimo contatto fisico con un’altra persona l’ ho avuto poco prima di mezzanotte del 7 marzo durante i saluti alla fine del festino di compleanno di mia cognata, e dunque passeranno almeno due mesi interi senza che ne abbia un altro, sono convinto che, quando ci si potrà nuovamente incontrare, la prima cosa che gli appassionati di basket vorranno fare sarà semplicemente di trovarsi fra amici per fare una partitina al campetto e assaporare la gioia del più basilare agonismo fisico, vero, non virtuale. Non credo che ci saranno tantissimi che per prima cosa vorranno vedere le mitiche (?) partite dei vari campionati nazionali. A questo punto penso che una Federazione lungimirante dovrebbe intercettare nel miglior modo possibile questo prorompente desiderio e semplicemente cavalcare l’onda. Per esempio copiare i campionati CSI o ACLI, o quelli che volete, e organizzare una mega lega ricreativa senza regole burocratiche di alcun tipo. L’unico requisito richiesto sarebbe un’iscrizione a stagione, poniamo, di 50 euro a persona che darebbe diritto a partecipare con qualsiasi squadra, in qualsiasi momento, a qualsiasi partita durante tutta la stagione senza spese aggiuntive di alcun tipo. Si dovrebbe dunque una volta per tutte dare l’impressione di essere un’organizzazione che ha cura del benessere fisico della gente dandole una cornice organizzativa al suo desiderio di partecipare, ma soprattutto per dare l’impressione di non essere la piovra mungitrice che è stata finora per tutti i campionati minori con tutti i vari balzelli da pagare di continuo per avere fra l’altro un servizio scadente, comunque finalizzato a produrre fondi per mantenere l’elefantiaco apparato centrale al servizio solo ed esclusivamente di quel fasullo fiore all’occhiello che sono le varie selezioni nazionali. Bisogna in definitiva tenere debitamente in conto la diversa sensibilità maturata in questi tempi e cambiare radicalmente pagina, perché solamente in questo modo si potranno porre basi solide per un nuovo sviluppo che non potrà non tener conto del mutamento dei tempi. Ne saranno capaci? Ovviamente sono sicuro di no. Le “careghe” (sedie) sono sacre e intoccabili.
Siamo insomma cambiati, come dice oggi con una bella battuta un comico sloveno: “Gli europei sono rimasti allibiti e spiazzati: volevano fortemente abolire il velo islamico e ora sono finiti a portare le museruole”. E, a proposito di Slovenia, prima di finire questo profluvio vi devo ancora qualche spiegazione sulla situazione in Slovenia che ha preoccupato tanti dopo aver letto l’articolo di un tale Blaž Zgaga (cognome curioso: Zgaga vuol dire in sloveno quello che chiamiamo subbuglio intestinale, o in dialetto nostro “scagarela”) pubblicato sul Nacional, giornale croato (!) di forte, per non dire estrema, destra, quella, per essere precisi, che vede gli sloveni come perfidi nemici che attentano ai sacri e inviolabili confini della patria croata. Proprio oggi ho letto la lettera di risposta inviata dall’ambasciatore sloveno all’Espresso e, devo dire, sono d’accordo con quanto scrive. Riassumendo: in Slovenia, proprio durante l’esplosione del problema coronavirus, c’è stato il cambio di governo, che dalle mani del centro-sinistra molto blando guidato da Marjan Šarec è passato in quelle di Janez Janša, leader della destra sovranista e nazionalista che ha potuto formare il governo grazie all’appoggio della NSi, Nuova Slovenia, tipo la Forza Italia slovena, e soprattutto del DeSUS, partito dei pensionati, famoso per i suoi salti della quaglia che entra in qualsiasi governo, basta che gli diano il numero di “careghe” richiesto. Ora Janša (classe ’58, dunque ancora molto giovane per la sua lunghissima militanza politica, fra l’altro compaesano del Presidente dell’UEFA Čeferin) è quello che è stato ministro della guerra durante i primi cruciali anni ’90 e che, per le sue indubbie capacità organizzative e politiche, ha messo mano in quell’epoca su tutte le organizzazioni di intelligence che ha manovrato tranquillamente a suo piacimento in tutti questi anni. Questa è la brutta notizia, assieme a quella che in questi ultimi anni il suo partito (stabilmente attorno al 17% dei consensi che nella grande frammentazione dell’elettorato sloveno ne fa sempre il partito di maggioranza in qualsiasi elezione di questo secolo) si è sempre più avvicinato a Orban con il quale il buon Janez in questi ultimi tempi è culo e camicia e ne sostiene vigorosamente tutte le campagne, anche perchè Orban, senza alcuno scrupolo, sostiene le sue, anche finanziariamente. Le buone notizie sono comunque molte di più: intanto Janša è sì estremista, ma non pazzo: è stato già due volte premier sloveno per un intero mandato e si è sempre attenuto alle regole democratiche, anche se ha sempre e comunque tentato di portarle un po’ di più dalla sua parte. Concretamente ogni volta che è stato al governo ha tentato disperatamente di mettere mano all’informazione pubblica che lui vede come fumo negli occhi perché a suo avviso è stata sempre in mano agli epigoni del vecchio regime. Il che è anche un po’ vero: conosco bene anche di persona tantissimi giornalisti di punta della TV slovena e posso garantire che sono tutto meno che di destra. Poi Janša è sì riuscito a intrufolare in TV SLO tanti suoi adepti, ma sono sempre in minoranza, per cui anche proprio in questi giorni sta conducendo una forte battaglia contro la TV pubblica che per adesso resiste bellamente e penso che continuerà a farlo, anche perché, come detto, l’SNS (il suo partito) ha sì lo zoccolo duro del 17% dei voti, ma comunque chi non è con lui è per la massima parte contro di lui e non lo può proprio vedere. E ciò soprattutto nelle zone cruciali del Paese, la conca industriale di Lubiana (zona con reddito pro capite nettamente superiore alla media europea, paragonabile quasi alla Lombardia e vero cuore economico e industriale sloveno), e quella commerciale del litorale incentrata sullo strategico posto di Capodistria. Ragion per cui ogni suo tentativo di instradare la Slovenia verso derive ungheresi è destinato al fallimento, tanto che per esempio durante questa crisi Janša ha già provato più volte a dare maggiori poteri all’esercito, e ogni volta la sua proposta non è arrivata neanche in parlamento per l’opposizione dell’opinione pubblica e le perplessità dei suoi stessi alleati di governo. E, per finire, quello che mi conforta di più è che in Slovenia esiste un partito che si chiama semplicemente “La Sinistra” (Levica) che è stabilmente attorno al 10% dei voti e che ha un gruppo dirigente dove i trentenni sono visti come i saggi anziani e che è votato quasi esclusivamente dai giovani. Partito di sinistra, anche radicale, ma moderno, tecnologico, ecologista e soprattutto allergico ad ogni reddito di posizione dovuto ai soldi ed al potere. Per dire, il loro chiodo fisso da inserire in qualsiasi programma che vuole vederli partecipare al governo è la cancellazione di qualsiasi iniziativa privata nel campo della sanità, dell’istruzione e delle assicurazioni pensionistiche, ma soprattutto la immediata istituzione di una tassa patrimoniale sulle rendite finanziarie che, almeno a mio modesto avviso, dovrebbe essere l’obiettivo non uno, ma zero, di qualsiasi sinistra che voglia essere chiamata tale in qualsiasi parte del mondo. Insomma per vedere finalmente una sinistra come la concepisco io devo guardare alla mia piccola Slovenia. E la cosa mi conforta non poco per il futuro. Questi qua un giorno cresceranno, invecchieranno e forse comanderanno, finalmente, se sapranno dare il giusto esempio agli altri giovani che verranno dietro di loro.