Vorrei dire qualcosa a commento delle vostre considerazioni sull'aggressività che si scarica nello sport. Secondo me il tema è di importanza fondamentale per definire il concetto di cultura sportiva, per cui spero che mi perdonerete se insisto. Dopo parlerò e scriverò solo di basket. Prometto.

A bomba. Tutti noi abbiamo la nostra carica di aggressività, alimentata anche dal fatto che viviamo appiccicati l'uno all'altro nella nostra civiltà urbana. Chi vive negli spazi aperti e ha tutta la libertà che desidera normalmente non è aggressivo. Non sono un sociologo né un etologo, ma penso che ci siano fior di trattati e esperimenti che dimostrano come qualsiasi comunità animale, costretta a vivere a contatto più stretto di quanto la loro natura richiederebbe, sviluppa un tasso di aggressività molto maggiore del normale. Questo fatto mi sembra acquisito. Se poi qualcuno di voi più studiato ne tira fuori qualcuno a supporto di questa tesi gliene sarei molto grato. Questa aggressività in qualche modo bisogna sfogarla. Ottimo.

Ma di grazia, perché proprio nello sport? Ecco il nocciolo di quello che io intendo come cultura sportiva. Io dico semplicemente che nei Paesi di grande cultura sportiva lo sport è l'ultimo posto dove la gente pensa di scaricare la propria aggressività. O meglio lo fa, ma nel modo che lo sport prevede, lottando accanitamente in campo, sempre secondo le regole del gioco e del fairplay, scaricando le proprie energie fisiche compresse nella vita quotidiana magari di ufficio o di sportello, ma lo fa in modo direi quasi sublimato. Per non parlare di chi va a guardare lo sport. Qui ci viene ad esempio proprio l'America, Paese di cultura anglosassone e dunque di straordinaria cultura sportiva, che nella storia ci ha propinato una serie infinita di film a soggetto sportivo, moltissimi dei quali anche di grandissimo livello, che per la maggior parte raccontano in modo romanzato storie vere. Ebbene sfido tutti voi a trovarmi uno di questi film nel quale il soggetto sia la violenza degli spettatori. Ci sono sì anche lì madri e padri frustrati e bercianti, le storie vertono normalmente sull'insano desiderio dei genitori affinché i figli riescano a imporsi, ci sono perciò battibecchi in tribuna, ma sono visti come reazioni malsane di singoli o al massimo di piccoli gruppetti. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto") 

Eppure la società americana è una società fondamentalmente violenta. Proprio perché per avere successo, leggi soldi, lì sembra normale che si possa camminare sul cadavere della propria madre. E se non si hanno soldi, non si ha successo e si è frustrati, cioè inclini alla violenza. E così, visto anche il demenziale rapporto che hanno con le armi, ogni tanto si presenta un pazzo che falcia a raffiche di mitra intere scolaresche o si materializza qualche incredibile serial killer che trucida una dietro all'altra tutta una serie di persone per le ragioni più disparate. Per non parlare di robe tipo Charles Manson o Waco. E infatti i film americani trattano in lungo e largo questo tipo di comportamenti, però mai ho visto un film americano che parla di hooligans. Forse perché neanche sanno, né riescono a capire, cosa possano essere. Anzi, anche i criminali più incalliti hanno il loro unico momento di umanità quando vanno a guardare le partite dell'alma mater, come la chiamano loro, sia esso liceo o college. Poi magari se hanno soldi tentano di truccare le partite, ma questo è tutto un altro discorso che con la violenza non c'entra.

Ecco, quello che voglio dire è che bisognerebbe uscire dalla nostra concezione dello sport come valvola di sfogo per le violenze della società. Io vorrei semplicemente che uno stadio fosse visto allo stesso modo di come viene visto un cinema o un teatro, nei quali, se solo sfasci una sedia, paghi multe salatissime o, se fai le cose che normalmente vengono tollerate nello stadio, tipo lanciare fumogeni o razzi ad altezza d'uomo, vai direttamente in galera. Certo, poi la violenza si sfogherà da qualche altra parte, è pacifico. Ma questi sono problemi che deve risolvere la società intera grazie alla costruzione di un tessuto sociale di difesa e di denuncia della violenza (con la successiva giusta pena) con una polizia efficiente e giusta (e magari meglio pagata). Come ho già scritto in un post tantissimo tempo fa che il sempre attentissimo Edoardo ha tirato fuori con una citazione molto pertinente la mia sensazione è che ormai sia assodato che tutti, dalle autorità ai semplici cittadini, abbiano quasi sottoscritto una specie di patto segreto per cui lo stadio diventa la zona franca nella quale si sfogano le violenze e le frustrazioni circoscrivendole e potendole dunque anche meglio controllare. Cosa c'è di meglio che avere ogni domenica riuniti tutti assieme i violenti più noti della città tutti in uno stesso posto ottenendo magari anche che si picchino fra di loro lasciando stare da parte la gente comune? Io contesto violentemente questo impianto. Per me che sono uomo di sport questa è la profanazione più blasfema dei fondamentali valori che lo sport dovrebbe offrire e sono altrettanto convinto che sia proprio questo atteggiamento a far sì che lo sport, anche quello più nobile e puro che emerge in modo commovente anche in Italia quando si leggono le incredibili storie di caparbietà e sacrificio che ci sono dietro a qualche inattesa medaglia olimpica in sport nei quali uno neanche immaginerebbe che si pratichino da noi, venga così drammaticamente boicottato e combattuto soprattutto dalle strutture educative. Nel senso che maestri e professori hanno dello sport la percezione che arriva loro quando vedono le volgari risse da stadio, e questo nel migliore dei casi, quando cioè non ci scappa il morto, per cui fanno l'equazione sport=attività deleteria. Mentre, come le grandi civiltà del passato insegnano (io insisto sempre nel dire che la locuzione latina: "mens sana in corpore sano" deve essere obbligatoriamente intesa come un'asserzione di causalità: "la mente è sana SE il corpo è sano", per non dire che ginnasio significa semplicemente palestra), dovrebbe essere esattamente il contrario. Che cioè può essere un buon studente solo colui che pratica un'attività sportiva, mentre il secchione che odia lo sport dovrebbe sempre essere guardato con sommo sospetto, perché qualche tara deve averla. In una società civile, matura e evoluta non si può non amare lo sport.

In definitiva. A voi sembra che stia bene che la violenza nella società si sfoghi in Italia attraverso lo sport o per meglio dire il tifo da stadio. A me no, ma neanche un po'.

Una specie di P.S. a quanto scritto me lo offre Llandre in un suo commento che mi ha fatto molto riflettere. Lui dice che non vede niente di male se in campo nelle partitelle fra amici o magari anche nella concitazione agonistica ci scappa qualche insulto, qualche parolaccia, magari qualche bestemmia. Ora chi scrive, vi avverto, è uno che predica apparentemente bene, ma razzola malissimo, come bene sa chi mi conosce dai tempi in cui frequentavo le panchine da allenatore di basket, per non dire delle mie intemperanze pittoresche da tifoso. Sono cioè uno che in campo perde tutti i freni e si trasforma nel più incredibile Mister Hyde, inimmaginabile da chi mi conosce come una persona ragionevole e posata. Le cose che ho scritto le scrivo dunque anche come una specie di auto terapia e di presa di coscienza sul perché le faccia. E arrivo sempre alla sconfortante conclusione che anch'io da piccolo sono stato inserito in questo perfido meccanismo che vige dalle nostre parti. Oddio, è anche vero che per il mio carattere perdo spesso le staffe anche in tantissimi altri campi trasformandomi istantaneamente in una specie di scimmia urlante e sfasciante, però lo sport è quello nel quale mi accendo più facilmente. E io, contrariamente a Llandre, penso che questo mio comportamento sia altamente disdicevole e non penso neanche di giustificarlo né tanto meno di scusarlo. Non si dovrebbe fare e basta. E rifletto sul fatto che l'affermazione che sia lecito dire le parolacce in campo quando si pratica un'attività sportiva sia un altro di quei riflessi mentali deleteri indotti proprio dal quadro generale del pensiero dominante secondo cui lo sport è un'attività comunque inferiore nel quale confinare tutte le storture dei nostri comportamenti per sfogarle e quasi per esorcizzarle. Mentre anche qui dovrebbe essere tutto il contrario. Non ci potrà essere autocontrollo nella vita se non si riesce prima a imporcelo nello sport. Che è appunto la più formidabile palestra per l'educazione che ci possa essere. O almeno dovrebbe essere.

Saltando di palo in frasca è cominciata l'Eurolega. Non chiedetemi niente, ancora. Ho visto Siena e Milano perdere in modo tristissimo, non perché abbiano giocato male, anzi proprio per il contrario. Gli avversari erano semplicemente troppo forti, tutto qua. E questo, se ci pensate, è sconsolante. Fra l'altro venitemi in soccorso: Jerrells sarebbe quello che ha giocato un anno nel Partizan? E Haynes sarebbe quello che agli Europei in Lituania era lo straniero di Coppa di una esotica nazionale dell'Est che in disgrazia se mi ricordo quale fosse? Perché se sono quei due si tratta di due broccacci allucinanti. Spero solo che non sia vero, perché se lo è uno si chiede, ma dove diavolo vanno a pescarli? Davvero non c'è in giro niente di meglio? Tornando a parlare in generale, da quel poco che ho visto e dai filmati con i highlights che ci pervengono in redazione dalle agenzie, mi sembra di poter dire che più o meno tutte le squadre sono state rivoltate come calzini. Per cui per ora non ne parlerò in attesa di vedere come si cementeranno le varie chimiche di squadra e anche per farmi un'idea su giocatori mai visti prima in vita mia.

E' cominciato anche il campionato italiano. Ho visto solo Bologna-Sassari. Bologna molto bene, mi sembra una squadra ben assortita, anche se una sola partita è troppo poco per poter dire qualcosa. Il livello generale è comunque quello che è e non si può proprio dire che siamo in periodo di vacche grasse. Del resto se Varese perde in Eurocup a Lubiana contro la disastrata Olimpija di questa stagione, ancora al palo in Lega Adriatica, qualcosa vorrà pur dire.