Io spero vivamente che la gente mi legga ancora, anche se mi faccio vivo una volta ogni morte di papa e parlo di argomenti che non sembrano interessare granché, almeno a giudicare dal numero di saltuari commenti che ha accompagnato il mio ultimo pezzo. Non è tanto per voler essere al centro dell’attenzione, ma per non dilapidare il tesoro accumulato in questi anni, che sono gli amici che vengono alle sconvenscion ed ai quali, devo confessare, mi sono molto affezionato.
Sto vivendo un momento molto difficile (dal punto di vista creativo, non vi spaventate – dal punto di vista fisico, compatibilmente con gli anni che scorrono implacabili, me la cavo ancora decentemente) in quanto io sarei per definizione uno che è vissuto di basket, che si è fatto conoscere con il basket, che viene considerato a volte anche uno che di basket ci capisce, e la gente si attende che parli di basket. Posso farlo, solo che in questo momento non avrei proprio nulla da dirvi di ponderato, visto semplicemente che di basket in questi ultimi tempi ho visto molto poco.
Non mi sono abbonato a Eurosport player principalmente per la ragione che per uno della mia età guardare la TV appollaiato sulla sedia a fissare il monitor di un computer per quasi due ore è un’eventualità da scartare per principio, quando Eurosport trasmette in chiaro il più delle volte è in orari strani quando sono ancora al lavoro o semplicemente non a casa, inoltre trasmette, se va bene, una partita a settimana e anche quella non è che sia la partita che più mi interesserebbe, guardare i highlight è fuorviante, insomma ho visto molto, ma molto poco.
Tutto il resto del basket onestamente non mi interessa più. Questo è il dramma che vi ho esposto all’inizio. Mi dispiace, ci provo, a volte tento di costringermi a guardare qualcosa, ma il dito scatta inesorabile e guardo qualcosa d’altro. Rispetto alle emozioni delle Olimpiadi, o al match fra Del Potro e Federer a Indian Wells, o alla cavalcata di Nibali verso Sanremo, o, per me, al golf celestiale che Rory McIlroy ha messo in campo all’Arnold Palmer Invitational, il basket che vedo, fra campionato e NCAA (l’NBA l’ho già abolita da tempo, perché non solo non mi interessa, ma mi fa andare in bestia quando vedo violentati tutti i principi del sacro basket nei quali sono stato allevato e ci ho creduto e continuo a crederci), mi sembra insipido, ma soprattutto acefalo e monocorde. Per cui mi suscita lo stesso tipo di emozioni che potrebbe suscitare in me una partita di cricket, beh, non esageriamo, ma una di baseball o pallavolo senz’altro.
Qui vorrei fare una piccola digressione e anche rispondere ad alcuni commenti. E’ vero e assolutamente non me ne vergogno, anzi in realtà me ne vanto. Sono cresciuto, per ovvie ragioni etniche e geografiche, nella concezione dello sport che è predominante nei Balcani e che prevede quale dote principale la creatività, la fantasia, la capacità di creare qualcosa di inatteso, di inedito, di strano magari, che però ha l’effetto di disorientare l’avversario e, se possibile, di farlo apparire semplicemente scemo. Ciò non toglie ovviamente che apprezzi e ami anche gli sport di fatica, di abnegazione, di capacità di andare oltre i propri limiti attingendo alle insondate e insondabili risorse che ci offre la nostra mente, e non per niente sono un fissato per i risvolti mentali che ogni prodezza sportiva comporta, compresi, come già detto, gli scacchi, per me disciplina sportiva a tutti gli effetti, ma anche il biliardo o il tiro a segno o con l’arco, discipline che trovo totalmente affascinanti, soprattutto quando provo a mettermi nei panni degli attori che vedo, sottoposti a pressioni psicologiche che io, ne sono sicuro, non riuscirei mai a sopportare, e questo mi fa ancora più ammirare quanto riescono a ottenere, ma se ci limitiamo agli sport di squadra con l’aggiunta degli sport con la racchetta che sono, se posso così dire, degli sport “di squadra” fatti da un singolo, ebbene, allora il “nadmudrivanje suparnika” è la cosa che mi fa godere. E dunque, mi dispiace per tutti voi amanti di questo sport, il rugby, sport che è secondo me perfetto per la mentalità anglosassone, portato com’è al gioco di squadra nella forma più basica di questa parola, nel senso che ogni componente della squadra è una rotellina, insignificante in sé, ma fondamentale per il corretto funzionamento di tutto l’ingranaggio, e dunque uno sport che assomiglia tantissimo a una battaglia fra plotoni di fanteria, con gli eroismi, il coraggio, la tenacia che volete, ma pur sempre uno scontro frontale di tipo militare, sarà sempre uno sport che apprezzerò e considererò nobilissimo dal punto di vista razionale, ma che, proprio per la mia eredità “balcanica”, non potrà mai accendere in me alcun tipo di passione.
Tornando al basket ho provato a leggere quanto scritto da Franz con la sua disamina sul basket NCAA. Complimenti vivissimi, lo dico senza alcun tipo di ironia. Quando una persona è capace di immergersi in modo così profondo su un argomento qualsiasi, suscita in me immediatamente un grande senso di rispetto e ammirazione. La tragedia è che, quando ho provato a leggere quanto ha scritto, è stato per me come leggere un antico trattato in sanscrito. Non ci ho capito proprio niente, ovviamente perché di tutti i giocatori e le squadre che ha elencato non ne conoscevo alcuno, se non per aver visto qualche breve spezzone di qualche partite fra squadre che al momento mi ricordavo chi fossero dimenticandolo però subito (penso di aver visto North Carolina, ma non avendo visto neanche un giocatore che mi sembrasse promettente, ho cancellato subito la partita dalla mia mente). Prometto che se Sky trasmetterà il torneo finale lo guarderò e dirò la mia, ma per ora non ho la più pallida idea di quello che sta succedendo. Pare che ci siano state sorprese, tipo la sconfitta della tanto osannata da Franz Virginia, ma di più non so, per cui se qualcuno vorrà fare un punto della situazione gliene sarò grato.
Il problema, dal mio punto di vista, è che il basket di college, al di là del sempre meraviglioso ambiente, del tifo e del contorno, è diventato l’anticamera dell’NBA, i giocatori non vedono l’ora di andarci, rimangono un anno se va bene, e soprattutto per questo giocano come pensano giocheranno quando faranno il grande passo. Per cui il basket che una volta mi affascinava proprio perché, in modo del tutto indipendente dai giocatori che c’erano in campo, una squadra si poteva vedere di anno in anno giocare sempre allo stesso modo secondo la filosofia del suo coach, per cui uno poteva fare paragoni per capire quale fosse il tipo di gioco più produttivo, poteva capire i vantaggi e gli svantaggi di giocare in un certo modo, trarre le conclusioni che gli servivano soprattutto se faceva, come il sottoscritto, l’allenatore, ora semplicemente non si vede più. E, devo dire, la cosa che più mi disturba è che ogni squadra avrebbe la sua stella, pompata dai media, che dunque si comporta da stella, facendo i cavoli propri, gli allenatori abbozzano, insomma anche dal punto di vista morale, tornando al discorso della mentalità anglosassone del gioco di squadra concepito come una perfetta organizzazione militare, e che era il merito e la qualità maggiore del basket NCAA, l’anima stessa del basket di college si è, almeno dal mio punto di vista, totalmente dissolta. In più vedo ogni anno di più giocatori grezzi, dal bagaglio tecnico primitivo, con lacune gigantesche proprio nella conoscenza tecnica del gioco (difesa: posizione, scivolamento, rotazione e chiusura, tagliafuori, attacco: palleggio, varietà di passaggio, uno contro uno con finte e cambi di velocità e direzione, scelta di tiro con il timing giusto – timing: parola totalmente sconosciuta nel basket moderno), giocatori che sai non miglioreranno mai, perché andranno subito nell’NBA a rincretinire ulteriormente e a fare salto-in-alto-con-palla-che-rompe, e allora non vedo proprio perché dovrei torturarmi per vedere una partita che non mi dice nulla.
Del campionato italiano non so cosa dire. Il livello mi sembra onestamente scarso, i giocatori sono quello che sono, poverini, qualche volta fanno anche qualche cosa giusta, ma onestamente mi sembra un basket di Serie inferiore, fate voi quale. Anche qui il livello tecnico è carente in modo agghiacciante, soprattutto i giovani italiani (e anche alcuni di quelli un po’ più vecchi, a dire il vero, ogni riferimento al figlio minore di un grande giocatore del passato è totalmente voluto) mostrano carenze tecniche incomprensibili (ma pure si allenano una, se non due volte al giorno, e di grazia cosa ci fanno se non ore e ore di fondamentali, come andrebbero fatti?), ma soprattutto mostrano una assolutamente primitiva comprensione delle necessità tattiche dei vari momenti della partita, tirano quando non dovrebbero, o passano quando dovrebbero tirare (ma è così difficile fare un arresto e tiro dalla linea del tiro libero, almeno una volta ogni tanto? non mi direte che è un tiro a bassa percentuale, perché se lo fosse, cosa cavolo ci fai in Serie A?), gli esterni cercano i compagni sbagliati nel momento tattico che urlerebbe un altro tipo di approccio, insomma vedo una comprensione del gioco del basket che latita completamente.
Eppure sono convinto che di giocatori che, se presi in mano da un istruttore vero, del tipo di quelli che c’erano una volta, che se ne strafischiavano delle pressioni operate su di loro da società, genitori, ambiente, stampa e che torturavano il giovane prospetto con ore e ore di allenamenti mirati, che gli insegnavano i segreti del basket, soprattutto insegnavano a capirlo (oggi, almeno qui da noi, non so altrove in Italia, è praticamente impossibile che i giovani coach insegnino a giocare a basket, in quanto neanche loro stessi lo capiscono – per i triestini, una volta c’erano a Trieste i vari Micol, Pituzzi, Stibiel, Bortuzzo, Franceschini, Marini, Turcinovich, Comici, per le ragazze c’erano il professor Ghietti, Cova e Dolcetti, tutta gente che al basket aveva dedicato una vita e che amava insegnare ai ragazzi quanto, ed era tantissimo, loro stessi sapevano, gente insomma che era anni luce, parsec se volete, più capace ognuno di loro di tutti quelli che insegnano oggigiorno messi assieme - di istruttori veramente capaci io ne conosco a Trieste uno solo, e anche quello è attivo nel settore femminile, e neanche ai massimi vertici come meriterebbe), insomma se questo tipo di persone esistesse ancora, ci sarebbero in Italia tanti giovani bravi e capaci di far strada. Mi vengono in questo momento in mente, a mo’ di esempio, due nomi, che sono quelli di Flaccadori e La Quintana, due ragazzi che vedi da miglia lontano che sono fondamentalmente grezzi, con una conoscenza dei fondamentali sia individuali che di squadra a livello quasi primitivo, ma che hanno il fisico, quello che conta oggi, ma anche la testa per poter recepire insegnamenti più sofisticati, gente insomma che in mano a un coach esigente, ma lungimirante, che cominciasse un lavoro con loro partendo praticamente da zero facendo loro dimenticare tutto quello che di sbagliato hanno imparato finora, potrebbero diventare veramente bravissimi giocatori, capaci di fare la differenza. Purtroppo, visto l’andazzo, penso che siano comunque due casi ormai in via di irreversibilità verso la classica mediocrità acefala che imperversa oggidì.
Sono duro e ingiusto? Può essere, anche se penso di essere semplicemente realista. O forse sono di umore troppo nero per vedere qualche goccia di acqua nel bicchiere dopo aver letto del caso Cambridge Analytica e Facebook (forse capirete perché io non aderirò mai a Facebook neanche sotto tortura) che mi ha fatto scatenare tutta una serie di brutti pensieri, in quanto ogni scenario per il futuro che mi prefiguro partendo da questo caso per me perfettamente simbolico di quanto ci attende è uno peggiore dell’altro. Praticamente facendomi sempre e comunque arrivare alla conclusione che siamo già in regime di Grande Fratello (non quella scemenza da TV, ma Orwell) e la cosa peggiore è che non ce ne rendiamo conto, anzi ne siamo tutti contenti.