Oggi esordisco con una disperata richiesta di aiuto. Qualcuno per favore mi spieghi come sia successo che Milano abbia perso contro il Partizan. Stavo guardando una partita che ad un dato momento era diventata una trionfale passerella, per cui ho cambiato canale guardando la replica della prima giornata della Presidents' Cup di golf. Qualche tempo dopo sono ritornato a guardare la partita per vedere il finale ed ho visto un risultato assurdo, incredibile. Ma come è successo? Ad occhio l'idea che mi era venuta guardando il penoso finale casalingo contro l'Efes era che la squadra stesse ancora cercando le gerarchie giuste, per cui nel finale succedeva il classico caos disorganizzato delle squadre che non sono tali nelle quali ognuno si sente salvatore della patria col risultato che alla fine, direbbe Giordani, se la danno in faccia o, peggio, la danno direttamente agli avversari. Voglio dire che per giocare i finali di partita bisogna perfettamente sapere chi porterà la palla, a chi la stessa dovrebbe andare quale prima opzione, a chi quale seconda opzione ed a chi assolutamente non dovrebbe mai andare, nel senso che è in campo esclusivamente per andare a prendere il rimbalzo o l'assist sotto canestro. Se non si mettono in chiaro queste cose il risultato è il famoso casino cosmico che causa lo scioglimento inevitabile di qualsiasi tipo di gioco. Ma, di grazia, 21 avanti! Contro una squadra con esterni scarsi (il migliore rimane sempre il vecchio Kecman – letto Ketzman – se a qualcuno interessa a mo' di divagazione storico-etnologica attorno alla cittadina di Šabac nella Serbia occidentale c'è da sempre stata un'enclave di gente dalle origini tedesche, per cui da quelle parti ci sono tantissime persone con cognomi tedeschi scritti poi nella grafia serba), incapaci di mettere la serie di triple assurde che uniche possono riaprire partite del genere. Voglio sapere! Una sola considerazione che forse stavolta non c'entra niente. È dai tempi della Crvena Zvezda che mi sforzo di capire le doti di Omar Cook che nella mia ignoranza continuano a sfuggirmi. Ma visto che tutti che se lo contendono a peso d'oro devo essere io a non capire un tubo di basket.  (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto")

Oggi però l'argomento principale delle mie meditazioni sarebbe il gergo per me sempre più indigeribile che viene usato nelle telecronache italiane di basket. Intanto vorrei tanto sapere cosa sono le "spaziature". Nella mia concezione antidiluviana del basket sarebbe solo normale che i giocatori in campo si distribuissero uniformemente tentando di occupare gli spazi che gli avversari lasciano liberi. Se giocano zona a fronte pari metterò in campo un attacco a fronte dispari e viceversa. Se marcano a uomo tenterò in tutti i modi di mettere il mio miglior giocatore in isolamento perché possa giocare in uno contro uno per poi eventualmente scaricare sugli aiuti o sui raddoppi. E così via, adeguandomi in corsa ai loro aggiustamenti tattici. Ho il vago sospetto che le famose spaziature siano proprio queste. Ed allora perché usare termini esoterici, quando la cosa più semplice da dire sarebbe che in campo non si dovrebbe mai andare a pestare i piedi ad un compagno e che non è certamente buona cosa essere in due nello stesso posto con la conseguenza che in questo caso basta un difensore per difendere su due nostri? E che è sempre buona tattica per un giocatore andare ad occupare uno spazio lasciato libero dalla difesa avversaria. Andare cioè dove non c'è gente, mentre non si deve andare dove c'è già ressa. La cosa mi sembra tanto semplice e banale che comincio a sospettare che o: a) mi sfugge qualcosa o b) nel basket moderno continua inarrestabile la tendenza a complicare le cose semplici.

Un'altra cosa che mi sconvolge è la sempre più usata locuzione "è in ritmo" o "mette il compagno in ritmo". Ritmo? Quale? Fox-trot, rumba, cha-cha-cha, rock'n'roll? Oppure sul classico polka o valzer? Io conosco i termini coordinazione, abilità, lettura pronta della situazione, capacità tecnica o ancora parlando di passaggio (la famosa "messa in ritmo") conosco i termini passaggio preciso, tempestivo, fatto al momento giusto, conosco i termini taglio fatto al momento giusto con i tempi giusti, ma in fatto di ritmi mi trovo completamente spaesato. Forse si confondono ritmi e tempi che sono due cose anche concettualmente molto diverse. I tempi, quelli sì che nel basket sono cruciali. Un famoso allenatore triestino, il professor Marino Orlando, per lunghissimi anni allenatore della Ginnastica Triestina quando spaziava ancora fra Serie A e B, usava allenare i suoi giocatori agli schemi usando un grammofono sul quale faceva suonare un brano musicale per dare i tempi giusti dell'esecuzione degli schemi. Finché l'orchestra non attaccava la battuta giusta il giocatore non doveva uscire dal blocco, in quanto nel frattempo in campo succedevano altre cose, per cui tutto succedeva a tempo, qua sì con i ritmi giusti. Ora che nel basket moderno si possano ancora usare sistemi del genere appare ovviamente improponibile, ma era tanto per dare l'idea. L'idea di usare il termine ritmo (ovviamente importato dallo slang americano) per definire tutto un diverso spettro di situazioni a volte anche molto diverse fra loro mi sembra un pericoloso esercizio di pigrizia mentale e di colpevole semplificazione di cose che dovrebbero essere spiegate meglio o, meglio, se capite cosa voglio dire, semplicemente spiegate e basta. Per finire con una battuta: l'unico ritmo che concepisco nel basket è quello sincopato, in levare, cioè il ritmo che mi permette di cogliere l'avversario in controtempo a seguito di una finta o di un taglio fatto al momento giusto.

In questi ultimi tempi sento spesso: "mette a posto i piedi" per il tiro. Anche qui. Cosa cavolo vuol dire? Se non mette a posto i piedi per tirare cosa fa? Li accavalla? Inciampa negli stessi propri polpacci? Mette un piede davanti ed uno dietro? Se uno per tirare non mette a posto i piedi semplicemente non sa giocare a basket, nel senso che ha una spaventosa carenza tecnica in un fondamentale chiave del nostro gioco. Un fondamentale che ovviamente andrebbe allenato fino all'esaurimento psico-fisico, marroni compresi, perché, come non si dovrebbe mai dimenticare e come dicevano gli jugoslavi, no tiro, no basket. Se uno sull'arresto non mette a posto i piedi sarebbe come per un giocatore di golf far partire lo swing con il bastone davanti alla testa o per un tiratore col fucile imbracciarlo sul fianco invece che sulla spalla. Semplicemente non esiste. Se non mette a posto i piedi commette un errore fondamentale ed è dunque meglio che cambi sport oppure, se l'arresto lo ha mancato per ragioni varie (non ultima qualche non vista spintarella di un avversario, cosa che succede spesso, anzi succedeva sempre anche nel basket di una volta), semplicemente non deve tirare perché in questo caso viene a mancare l'automatismo. Se tira lo stesso commette un plateale errore. Tutto qua. Senza considerare il fatto che per fare un buon tiro, oltre ai piedi bisogna mettere bene a posto i gomiti, le spalle, insomma bisogna fare bene tutto il movimento. I piedi sono solo una piccola parte di tutto il processo. Fra l'altro neanche quella più fondamentale, perché se uno è veramente un tiratore riesce a coordinarsi in aria anche se si alza storto. Se però ha le mani di pietra può mettere i piedi come vuole che comunque il tiro non lo metterà.

Ed infine il pezzo forte. "È un giocatore con le mani educate". Devo dire che quando sento questa bestialità mi viene un violento attacco di dissenteria che mi perseguita per il resto della giornata. Se uno non ha le mani educate, allora come sono? Maleducate? Primitive? E quando uno può dire di avere le mani educate? Quante classi elementari devono aver frequentato (le mani) o quale manuale di galateo devono aver imparato a memoria? Ma cosa cavolo vuol dire avere le mani educate? Scusate, ma non riesco a trattenermi. Se ci pensate siamo anche qui in presenza di quella figura retorica che mi venga un accidente se mi ricordo come si chiama (anche qui, aiuto!), nella quale si prende una parte per il tutto, come nel caso dei "piedi a posto". Saper passare o tirare dipende dalle mani esattamente come saper cucinare o dipingere. Le abilità che vi sono sottintese risiedono in tutte altre parti del corpo (cervello, capacità neuromuscolari, flessibilità articolare) che poi si estrinsecano nelle mani che sono lo strumento finale con il quale vengono messe in atto. Chiaro, è solo normale (e parlo per esperienza diretta, avendo avuto per le mani intere generazioni di giovani giocatori) che chi per esempio pratica, magari bene, uno strumento musicale, è praticamente impossibile che sia un tiratore scarso. Per mia esperienza i migliori tiratori puri che ho avuto sono stati due che ora nella vita fanno i professori uno di chitarra, l'altro di fisarmonica. Per non parlare del tiratore più puro di tutti, e cioè mio fratello, che era purtroppo limitato fisicamente (difetto di famiglia), e che, credetemi, ha anche uno spiccato talento per suonare il pianoforte al quale però non si è mai purtroppo dedicato seriamente. Come è solo normale che siano le ragazze ad avere la maggior sensibilità di polso, dita e polpastrelli, avendo alle spalle millenni di condizionamento genetico al rammendo e cucito. Di converso è molto difficile che sia un tiratore puro uno che viene da una famiglia di contadini. È ovviamente accolto a braccia aperte per le sue incredibili doti di forza, tenacia, serietà di applicazione, senso del dovere, caparbia, capacità di sopportare dolori inauditi, ma in quanto a tiro è meglio che a farlo siano altri. Però, se si pensa per esempio ad un musicista, è anche più facile capire veramente quali siano le doti per cui a fondo valle di un lunghissimo processo di affinamento del talento, le sue mani sembrino fatate. Dunque chi ha la responsabilità di parlare in un microfono e dice la fatidica frase delle "mani educate" mentre io sono all'ascolto, sappia che avrà sulla coscienza una povera anima costretta per il resto della giornata a frequentare di continuo la tazza del bagno.