Ho letto più o meno tutto quello che avete scritto ieri sera e stamattina di getto, dunque ancora in preda alle emozioni, per commentare la Caporetto della nazionale di basket. Sì, perché onestamente io la considero una disfatta, senza se e senza ma. Quando allenavo la cosa che mi dava fastidio, visto che allenavo squadre non proprio di fenomeni, era perdere per dabbenaggine nostra qualcuna delle poche partite che potevamo vincere contro squadre del nostro stesso livello. Immaginarsi quando scialacquavamo partite contro squadre palesemente più deboli. Ragion per cui aver buttato via una partita per averla presa al contrario, totalmente a rovescio per approccio, preparazione, esecuzione con connesse rotazioni comprensibili per un certo verso (quello di mettere le mani avanti facendo giocare il quintetto dei sogni osannato da tifosi e stampa con l’idea che: “abbiamo perso con i cinque migliori per consenso generale, dunque cosa potete imputarci?”), ma secondo me totalmente incomprensibili nell’ottica, unica e fondamentale, di vincere la maledetta partita facendo giocare in ogni istante SQUADRE, QUINTETTI formati da giocatori compatibili, remanti tutti nella stessa direzione, capaci di adeguarsi al gioco avversario e soprattutto di imporre il proprio, e tutto ciò dopo aver dimostrato contro Israele che si poteva fare, bastava ripeterlo, ecco, tutto ciò mi fa andare in bestia.
Lituania fenomenale? Può essere, ma a Staranzano, nell’All Staranzan game, non certamente l’All Star Game dell’NBA, le gare da tre punti vengono vinte con medie più o meno analoghe a quella che ha avuto ieri la Lituania contro l’Italia. Guardate prego il video della partita e ditemi quante di queste triple tirate dai lituani sono state contestate a meno di un metro, un metro e mezzo di distanza. Io non ne ricordo. E quando una nazionale di un Paese che vive per il basket (per inciso è solo questa constatazione, quella di aver fatto felice un Paese per il quale il basket è tutto, che mi lenisce un po’ l’incazzatura) tiene queste medie su tiri totalmente incontestati, scusate, ma ha fatto semplicemente il suo dovere.
Difesa lituana. Un poema. Azione del terzo quarto. Bargnani come al solito assiste alla partita in lunetta in attesa che qualcuno si degni di dargli la palla per un tiro da tre, visto che poco prima ne aveva segnato uno, dunque si sentiva nell’obbligo di ritentarci. Gentile, colto da raptus (unico, ahimè, di tutta la sua caotica partita), effettua un dai-e-vai, mi sembra, con Gallinari o Belinelli (indifferente, diremmo a Trieste), dai-e-vai da campetto (!) che lo porta a una spettacolare schiacciata con difensore avversario più vicino in panchina. Non so, e magari riprovarci la volta dopo? Vedi mai che riesca di nuovo? No, basta, fine. Segnare canestri facili lo sanno tutti, ma solo quelli difficili finiscono sui highlights.
Difesa italiana: non ho parole. Nel terzo quarto, quando finalmente l’Italia comincia a segnare un po’ di più in attacco, anche perché prima che i lituani capiscano che Bargnani è un tiratore perimetrale e si degnino di mettergli qualcuno un po’ più vicino lui segna tutta una serie di tiretti (poi, chiaramente, quando gli vanno un po’ più vicino le medie, guarda caso, calano, ma lui non se ne accorge e continua imperterrito), loro non subiscono danni di alcun tipo, in quanto segnano letteralmente a ogni attacco. Bravi, i tiri bisogna metterli. Ma quando uno è sempre solo e gioca in nazionale, maledizione, il tiro lo segnerà o no? Quarto quarto: la partita si decide. Lituania quattro falli in pochi minuti. Messaggio chiaro che si comincia a fare sul serio che, ovviamente, ha il lato negativo che si è subito in bonus, ma bilanciato dal fatto che così si rintronano gli avversari che, infatti, neanche ci pensano di andarsi a cercare falletti. Italia primo fallo al minuto 5 e 03 (o 4 e 57 alla fine, lo controllavo attentamente dall’inizio del quarto) e anche quello commesso in seguito all’esortazione dalla panchina di essere un tantino più aggressivi. Insomma, pressione difensiva sulla squadra avversaria zero, messaggi che quando il gioco si fa duro giochiamo duro anche noi, mai visti. In tutta questa storia l’unico cornuto e mazziato è il povero Hackett, l’unico che tentava di sbattersi in difesa con il compito primario di difendere su Kalnietis, cosa che i georgiani avevano fatto per prima cosa e infatti la partita l’hanno buttata via loro, anche per consunzione fisica (fra l’altro eccellente constatazione di uno di voi che per Valančiunas giocare contro Pachulia o contro Bargnani non è stata proprio la stessa cosa), Hackett che è stato l’unico a recuperare due palle in tutto il quarto, mentre i suoi osannati compagni praticamente zero. Per non dire che il suo rendimento in attacco è stato nullo perché né lui né nessun altro riusciva a capire cosa diavolo in attacco dovesse fare un play con quattro compagni che giocavano ognuno per conto suo.
In definitiva anch’io, come chiunque di voi, sa mettere in campo i cinque giocatori che sono più famosi, che hanno i migliori numeri, quelli che guadagnano di più. Non ci vuole molto. E insistere con loro anche contro qualsiasi evidenza. In questo entrando nella spirale perversa che, visto che si sentono intoccabili, allora vuol dire che sono forti e che dunque chiunque può decidere la partita da solo. Come fatto nelle prime partite (ma siete proprio sicuri che l’Italia abbia giocato ieri meglio che contro la Turchia all’esordio? Io assolutamente no) e come invece non fatto con Israele. Quando invece, grazie anche all’avversario che non aveva armi per mettere a nudo le pecche strutturali di questa squadra, le rotazioni ci sono state e il gioco è andato avanti fluido, bello e produttivo.
Errare humanum est, perseverare diabolicum. Ma veramente la batosta di Lituania ’11 non ha insegnato niente? Quando contro Israele e Lettonia c’era in campo praticamente lo stesso quintetto che tutti ricordiamo che figure ha fatto.
Tirando le somme penso che tutti conveniate che il rendimento di una squadra ha ben poco a che vedere con il valore assoluto dei singoli giocatori. Quello che è veramente fondamentale è avere in campo un quintetto con le stelle e con i gregari che si integrano a vicenda, le stelle trainando il resto della squadra che sa benissimo che il suo lavoro è quello di fare le cose sporche, piccole ma fondamentali. Quando invece ci sono solo le stelle che ognuna di esse pensa di essere un fenomeno è solo normale che ognuno pensi: “visto che sono tanto forte in attacco, che difenda qualcun altro” col risultato che, tutti sentendosi forti, poi non difende nessuno e, con il limite invalicabile che la palla è una sola, in attacco, facendo a gomitate su chi è più forte e su chi deve decidere, alla fine succede che il primo che ha la palla pensa che sia un suo diritto divino quello di dover tirare lui. E gli altri guardano. E, sentendosi stelle, si dicono: “ma perché ‘sto fenomeno non dà la palla a me, che saprei fare molto meglio?” con tutto quello che ne deriva, leggi caos totale, mancanza di un qualsiasi gioco di squadra, ma soprattutto demotivazione, della serie: “e io, fenomeno da tot milioni di dollari, dovrei sbattermi in difesa perché poi tiri quell’altro finendo magari sui giornali lui invece di me quale salvatore della patria?”.
Ma qualcuno ha visto i serbi nel pomeriggio? Quelli sì che sono squadra. La rising star dell’Eurolega entra quale ultimo rimpiazzo e non dice niente, semmai l’unico tiro della sua partita lo segna quando conta veramente, nel finale. Giocano Marković e Kalinić, gregari per definizione, le stelle entrano in azione quando veramente serve, tipo Bjelica che segna due triple allo scadere dei 24 nei momenti cruciali quando si fa la partita, per il resto mettendosi al servizio della squadra, la panchina ruota tutti con criterio affidandosi di momento in momento al giocatore più caldo oppure a quello che può meglio mettere in crisi la difesa avversaria. Per quanto ne so il basket è questo e questo è il compito della panchina, il mettere in campo di volta in volta quintetti logici, adatti al momento specifico della partita, avendo sempre in mente un piano complessivo. E contro i cechi ieri per i serbi non è stato assolutamente facile, essendo loro bravi, motivati, ottimamente allenati e con l’asse portante del basket formato da due eccellenti giocatori quali Satoransky e Vesely. Oggi saranno cavoli amari, a meno di non ritornare improvvisamente a giocare da squadra (Bargnani contro Vesely…brr!).
PS: eppure in un primo momento lo avevo scritto, salvo poi cancellarlo colpevolmente. Il fenomeno futuro del basket si chiama Adetokunbo con la n davanti alla b.