Scusate la pausa, ma ero in ferie e, per quanto ogni giorno mi proponessi di scrivere qualcosa, alla fine la pigrizia e le belle giornate soleggiate hanno fatto il loro. E in più c’era sempre qualcosa di interessante da seguire e segnatamente gli Europei femminili che mi hanno veramente divertito. E infine Reggio Emilia ha perso e ci sono voluti molti giorni per metabolizzare la cocente delusione. Il giorno di gara sette ero a Cervignano per fare da ospite (e da speaker) alla finale del loro biennale torneo dei rioni, per cui la partita non l’ho vista e, quando alla fine i vari telefonini moderni ai quali tutti erano collegati hanno dato il risultato finale non ne ho voluto più sapere, tanto più che mi avevano detto prima che il primo quarto era finito 21 a 4.  Per cui la partita non l’ho vista e non la voglio mai vedere

 

Perché sono tanto deluso? Semplicemente perché, come ho avuto molte volte modo di dire, io faccio naturalmente il tifo per quelli che giocano meglio, tanto più se giocano come io reputo che si debba giocare a pallacanestro. Certo, Sassari ha fatto il suo e non ha rubato nulla, però vedere una squadra che gioca di puro fisico e come opzione principale e praticamente unica in attacco ha la penetrazione 1 contro 5 sperando che poi Lawal prenda il rimbalzo e in subordine il tiro da nove metri allo scadere dei 24 secondi è esattamente quello che io reputo no basket. Poi magari uno a testa dei mori di Sardegna trova serie allucinanti con sederi sfondati vergognosi tipo la tripla disperata di tabella di Logan in gara sei che in effetti ha vinto lo scudetto nel primo supplementare prima che Cinciarini sbagliasse all’ultimo secondo il più semplice degli appoggi a canestro (non era semplice? Per un giocatore di Promozione sicuramente no, ma per il play della nazionale “deve” essere facile) e allora vincono. Bravi. Ma per me elementare giustizia sportiva vorrebbe che avessero vinto gli altri.

I quali altri hanno giocato una serie bellissima pur perdendo pezzi fondamentali per strada per non parlare dei vari acciaccati (tipo Silins che non credevo potesse incidere quanto poi ha in effetti inciso), serie che per me avrebbe dovuto finire 4 a 1 se solo avessero vinto gara tre a Sassari nella quale hanno commesso l’unica vera idiozia della serie buttando via una partita ampiamente vinta con una serie inconcepibile di castronerie in attacco che hanno rimesso in partita Sassari, già con la testa sotto la doccia, riportata fra i vivi dalla serie impossibile di Logan. E ancora: Reggio mi è cara soprattutto perché è l’unica squadra in Italia assieme a Trento nella quale gli italiani giocano. Apposta non aggiungo da protagonisti, perché per me va da sé che quando uno gioca lo fa da protagonista, se no che ci sta a fare? Tutto meno che essere utile. Vedere che il peso dei tiri decisivi sta sulle spalle di Cinciarini, Polonara e Della Valle fa bene al cuore e penso di poter affermare che il progresso mentale di tutti e tre nel corso del campionato sia stato fantastico, addirittura forse troppo accentuato nel caso di Cinciarini che nella serie finale ha voluto prendersi dei tiri che forse non erano alla sua portata, anche se bisogna sempre rimarcare che, se Reggio è arrivata in finale, lo deve proprio a Cinciarini che ha vinto da solo gara sette contro Venezia. Sono rimasto scioccato dai progressi palesati da Della Valle, sul quale mi rimangio tutto quanto detto nel post precedente. Veramente bravo, ma molto bravo, sicuro di sé e carogna anche quanto basta, cosa che non guasta mai quando il gioco si fa duro, soprattutto contro avversari che della superiorità fisica provano a avvantaggiarsi in tutti i modi possibili. Poi che debba migliorare, e tanto ancora, nella padronanza dei fondamentali rimane una necessità, ma che il ragazzo sia della stoffa giusta non lo si può assolutamente negare. Se poi si considera che addirittura Cervi si è reso utile quando si è rotto Lavrinovič allora veramente il cerchio si chiude e il rammarico aumenta in modo sempre più doloroso.

Mi sono comunque parzialmente consolato con la vittoria delle serbe nell’Europeo femminile. Non certamente per solidarietà jugoslava, anzi pensandoci bene forse sì, perché nell’approccio al basket le ragazze serbe mi hanno fatto rivivere con nostalgia l’approccio che avevano una volta i serbi, quello della sfrontatezza, del gusto di giocare, di prendere in giro l’avversario, cosa che distingueva una squadra serba da tutte le altre al mondo. Veder giocare Ana Dabović e Sonja Petrović è stato come fare un tuffo nel passato. Passando più al generale non posso non mettere l’Europeo di basket in correlazione all’altro grande evento sportivo femminile del periodo che sono stati i Mondiali di calcio in Canada. Pian piano nel mondo sviluppato diventa sempre più normale che anche gli sport di squadra femminili siano percepiti non come la scimmiottatura mal riuscita del corrispettivo sport maschile, ma come un’attività a se stante che mobilita l’altra metà del cielo proprio nello stesso modo in cui nei confronti dello sport si mobilitano i maschi. La forza fisica è inferiore, la velocità anche, ma le capacità tecniche, ma soprattutto quelle mentali e caratteriali sono esattamente uguali, per cui il singolo sport va visto e gustato per quello che è e non per quello che al loro posto fanno i maschi. Come del resto già da tempo succede negli sport individuali, dall’atletica al nuoto, dal tennis allo sci. Il mondo sta cambiando velocemente e la forza fisica nel mondo moderno, con le macchine che stanno sempre più svolgendo loro le mansioni di fatica che una volta erano riservate ai maschi, ha sempre meno importanza nel giudicare le capacità lavorative di un essere umano. Soprattutto in un contesto urbano contano sempre più doti e capacità per le quali la forza fisica non ha importanza alcuna, per cui la parità fra i sessi diventa sempre più una cosa normale nel concreto, per quanto continuino a pesare eredità ancestrali che ci portiamo dietro dai tempi delle caverne quando gli uomini andavano a caccia procurando il sostentamento al gruppo di cui facevano parte, per cui erano ovviamente più importanti delle “deboli” femmine che accudivano ai lavori domestici. Ora tutto questo nella realtà quotidiana non c’è più, di fatto, anche se in società con forte radicamento rurale come la nostra fatichiamo a rendercene conto. Lo sport, che è lo specchio più spontaneo dei cambiamenti sociali, ne è la prova. Sempre più, nel mondo, le ragazze svolgono le stesse attività sportive dei maschi e soprattutto lo fanno senza chiedersi se, facendole, appariranno belle e appetibili per un buon partito che poi le manterrà per il resto della vita. Non gliene frega niente: vogliono fare lo sport che piace loro senza alcun altro fine che quello di star bene, di divertirsi e magari dopo la partita di andare a fare bisboccia in compagnia. Sono sicuro che quando questo tipo di atteggiamento verrà visto anche dagli uomini come una cosa totalmente logica e normale, la stessa cosa che fanno loro, solo allora potremo parlare di uguaglianza dei sessi, uguaglianza che deve esserci nelle menti e non certamente imposta dalle leggi per qualche strana idea di correttezza politica. E una cosa del genere mi sembra che stia già succedendo. Piano, ma le cose vanno avanti. E questo è già un bel segnale.

Tornando al basket sempre a Cervignano a cena mi hanno riferito che il nuovo coach di Milano era Jasmin Repeša. Praticamente sono svenuto. Auguri. Si tratta certamente di un coach che sa benissimo destreggiarsi in una metropoli e che è bravissimo nel dire le cose che la gente vuole sentire. Per il resto dico solo che, se fossi stato io il general manager di Milano, nella situazione incancrenita di totale anarchia su chi comanda e cosa comanda il coach scelto sarebbe stato al di fuori di ogni possibile mia rosa. Non importa se capisce di basket, Banchi ad esempio di basket ne capisce molto più di tantissimi altri, importa che società ha alle spalle e che scelte può fare lui e quali gli sono imposte. Repeša è l’allenatore perfetto per perpetuare questo tipo di situazione: bravo quanto basta per ottenere qualche risultato (e ti credo! Con i soldi che hanno!), bravissimo per navigare fra gli squali della stampa, ottimo nel capire da che parte tira il vento (chissà come la prima cosa che ha detto venendo a Milano è stata che il leader della sua squadra sarà Gentile), e dunque per come la vedo io sarà un eccellente rallentatore dell’agonia. La morte tecnica del club in questo modo verrà rallentata, ma non certamente evitata. A Milano ci vuole ben altro per risorgere, leggi ben altri uomini più o meno in tutti i ruoli. Cosa per altro impossibile in un ambiente nel quale l’unica cosa importante è apparire e non essere e ogni progetto appare impossibile nell’ottica del tutto e subito. Vedendo da fuori viene quasi da piangere nel vedere quanti soldi abbiano buttato al vento in questi ultimi anni per giocatori presi alla pene di segugio, soldi che altre società avrebbero speso mille volte meglio. Va be’, contenti loro. Solo che non dicano dopo che nessuno li aveva avvertiti.

Sempre a Cervignano i bene informati mi avevano chiesto cosa ne pensassi dell’offerta del Bamberg di Trinchieri per Melli e cosa avrei fatto al suo posto. La risposta fulminea è stata che, fossi Melli, andrei a Bamberg anche a piedi o in bici. Secondo me tre anni in Germania ci daranno, se ci andrà veramente, un grandissimo giocatore anche in prospettiva Nazionale.

Ora a Lignano ci sono gli Europei Under 20. Ho visto l’Italia contro la Bosnia: a parte che mi sono caduti gli occhiali vedendo nella Bosnia un fenomeno paranormale di straordinario futuro di nome Nedim Buza (fra l’altro è ancora magrolino e con la faccia da bambino, dunque deve ancora maturare) ho tentato anche di capire chi dei giocatori italiani abbia un futuro. Nessuno. Quelli strombazzati dalla stampa sono mezzi giocatori, se non giocatori al contrario tipo Imbrò o Moraschini, i due unici veramente bravi e di sicura prospettiva che sono Cappelletti e Vedovato non matureranno mai in quanto verranno utilizzati (poco) per quelle che sono le loro incapacità invece di sfruttarli per quello che potrebbero dare se istruiti a dovere. A meno che anche loro non trovino un Bamberg (via dall’Italia, detto in breve, almeno che non vadano a Reggio Emilia o a Trento) che li svezzi.