Leggendo i vostri commenti è solo ovvio che quello che mi ha subito coinvolto è stato il richiamo al pezzo di Valerio Bianchini in merito al problema delle retrocessioni che, dice lui in soldoni, è un retaggio del passato che nelle condizioni attuali è un freno allo sviluppo del basket professionistico. E' solo ovvio che sono queste le tematiche che da sempre mi appassionano e la mia mente è andata indietro al tempo in cui scrivevo (con estremo piacere) sul bellissimo "house organ" della Scavolini che si chiamava Open ed era diretto nientemeno che dalla leggenda del basket pesarese Franco Bertini. Nel gennaio del '96 uscì un mio pezzo che parlava proprio di questo, allora a livello quasi di vaticinio per quanto sarebbe potuto accadere nel futuro. Ora il futuro è già qua, ma, andando a ripescare la preziosa copia della rivista e rileggendo l'articolo, ho visto (anche qui con molto piacere, non lo nego affatto) che quanto scrissi allora era un quadro abbastanza giusto di quelli che allora si potevano intravvedere quali trend. Per cui oggi, anche a mo' di intermezzo prima di ritornare a cose attuali (anche se continuare a parlare di NBA e Popovich mi abbatte perché evidentemente la gente estrapola pezzi del mio ragionamento ignorando del tutto il contesto globale, per cui mi sono stufato di parlare ai sordi), vi proporrò gli scorci più salienti di quel pezzo che, lo ricordo benissimo, mi piacque tantissimo quando lo scrissi considerandolo una delle migliori cose che mai avessi messo su carta e che, come tutte le cose che credo ottime, poi non aveva avuto alcun tipo di eco. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto")
Non prima però di due puntualizzazioni. La prima riguarda l'attacco del hacker che mi ha distrutto il sito (ma cosa gli avrò mai fatto!), tanto che ancora oggi non mi si apre la pagina principale e devo entrarvi da dietro, e che ha costretto il povero Tommaso a stare praticamente in piedi tutta la notte per ripulirlo e rimettere le cose più o meno a posto. Lui mi ha garantito, adducendo a prova il dominio (si dice così?) di origine dei file infetti che ha dovuto rimuovere, che l'attacco non è venuto dalla Thailandia, ma dall'Indonesia. Tanto per la cronaca.
Seconda: commento. Maledizione! Non pensavo che Edoardo fosse tanto bravo da scovare il pensiero di Cigo Vasojević e spiegare l'arcano che volevo che restasse tale. Già noi di Capodistria abbiamo avuto problemi di corti circuiti con Andrea Massi, per cui ora non vorrei proprio che ci rovinasse del tutto. Sul merito della spiegazione no comment (capitemi, per favore!).
Allora, tornando al mio pezzo di 17 (! - incredibile come passa il tempo...scusate, è l'età) anni fa, si trattava di una lunga disquisizione che partiva dalla teoria scientifica della convergenza delle specie, cioè detto in breve come esseri viventi magari di origini biologiche lontanissime fra loro (che ne so, esseri come noi basati sulla catena del carbonio e sul consumo di ossigeno o alieni di un altro pianeta basati sulla catena del silicio e che magari consumano metano), quando vengono costretti dall'ambiente a svolgere funzioni simili sviluppano per ragioni puramente funzionali del tutto indipendentemente più o meno le stesse caratteristiche fisiche. Nel senso che questa teoria dice che l'eventuale essere pensante che ne viene fuori dovrebbe camminare eretto, avere due arti prensili, probabilmente una testa, due occhi e due orecchie eccetera, dunque dovrebbe essere molto simile all'uomo. Questo preambolo per parlare del basket europeo e dell'NBA e della possibile convergenza di due specie completamente diverse per origine, ma che alla fine tendono allo stesso obiettivo.
Comincio con le citazioni. "Pensate un po' alla struttura del basket in America: lì lo sport giovanile e dilettantistico è gestito al 100% dalla scuola. I club non esistono, se non nell'irrilevante caso dei dopolavoro aziendali, dunque le squadre sono diretta espressione del circolo sportivo, chiamiamolo così, con un termine nostrano, della scuola. Finita la scuola c'è la scelta, fra lavoro e possibilità di continuare lo sport a livello professionistico. I club professionistici sono dunque niente di più o di meno che una compagnia privata di spettacolo. Scritturano gli attori, leggi giocatori, scritturano i manager, allestiscono un cartellone, leggi calendario di partite e, offrendo sport come spettacolo, vivono dei loro proventi. Nessun radicamento sul territorio, cioè detto in italiano comprensibile nessun legame sentimentale con la località nella quale operano. Una classica compagnia di giro che si stabilisce lì dove può fare i maggiori guadagni. Una mentalità imprenditoriale dunque che da noi può avere qualche corrispettivo solamente nel circo.
In Europa invece le cose sono profondamente diverse, sia per storia, cultura che per abitudini. Divisa com'è per nazioni, per regioni, per campanili, addirittura per contrade, e non solo in Italia, pensiamo alla Germania con la sua miriade di staterelli che solo Bismarck riuscì a riunire il secolo scorso, alla Francia con le sue regioni storiche che ancora adesso hanno diversità linguistiche, addirittura etniche a volte, alla Gran Bretagna con gli anglosassoni e tutte le altre genti celtiche, alla Spagna con castigliani, catalani e galiziani che parlano lingue diverse per non parlare dei baschi, insomma, divisa com'è l'Europa, il senso di appartenenza ad un campanile è il più delle volte un insopprimibile bisogno culturale per rimanere ancorati alle proprie radici. Ed essendo lo sport una delle più spontanee manifestazioni culturali, il club del paese è anch'esso una necessità sociale. Da ciò nasce il fatto che la società sportiva cura per prima gli aspetti di aggregazione sociale, dunque riunisce assieme i giovani per dare loro un senso di appartenenza ad una delle realtà locali. Ed è questo il compito che la comunità si attende che il club svolga per primo, delegandogli per conseguenza competenze che dovrebbero essere della scuola, la quale a questo punto può anche disinteressarsi (più che colpevolmente) di curare una qualsiasi attività sportiva, confondendo l'educazione fisica con l'agonismo che è tutt'altra cosa. Da noi in Europa viene dunque come prima cosa il club quale espressione di una comunità e solo successivamente questo stesso club, se ha successo e comunque alla fine di un processo di selezione naturale, può pensare di doversi dare una struttura diversa per affrontare le difficoltà, soprattutto finanziarie, di operare al vertice. Il professionismo è dunque la fase finale dello sviluppo di un club e non la base iniziale dalla quale è nato, come in America. E qui si ritorna al paragone con la suddetta teoria della convergenza delle specie. Per quanto diversa sia la filosofia che sta alla base dell'associazionismo sportivo in Europa e in America, i club professionistici fatalmente cominciano a somigliarsi sempre di più dalle due parti dell'Atlantico."
Fine prima citazione. Continuavo tentando di prevedere quali sarebbero stati gli sviluppi futuri e devo dire che avevo anticipato più o meno in modo esatto l'ineluttabilità della nascita dell'Eurolega quale organizzazione privata, però un passo di questo ragionamento rimane angosciosamente attuale ancora 17 anni dopo. "Nel prossimo futuro avremo in Europa una Lega professionistica con società che dovranno inevitabilmente fare il grande passo di rinunciare ai loro campionati nazionali dandosi una struttura prettamente professionistica, dunque niente vivaio, ovviamente, ma soprattutto una struttura societaria di tipo aziendale, attenta soltanto ai profitti e ai ricavi, il che prevede un cartello fra le società della Lega professionistica in merito al "drafting" degli stranieri, diritti TV e "merchandising". Del resto basta guardare al calcio ed a quella che è ora la Champions' League per capire che tutto questo e' vicinissimo (commento del 2013: figurarsi!). E nel calcio hanno inventato tutto da soli! Pur non avendo sottomano un esempio come noi quello americano, alla fine stanno arrivando ad una struttura che è pressoché uguale a quella americana. La convergenza funziona, dunque, come volevasi dimostrare".
Il punto cruciale di tutto il mio ragionamento stava comunque nel finale."Nella teoria però si da per scontato che, per quanto l'adeguamento porti a convergere sulle caratteristiche fisiche, rimane fermo il fatto che le basi biologiche continuano ad essere del tutto diverse. Cioè si finirà per avere una testa, due braccia e due gambe, però da una parte si continuerà a bere ammoniaca e a bearsi di una buona boccata di cianuro puro, dall'altra invece si continuerà a bere acqua ed a respirare ossigeno. Questo per dire che se in Europa si pensa di fare semplicemente un trapianto delle regole e delle abitudini dell'NBA si fa un errore tragico ed irreparabile, cioè sarebbe come voler copiare gli alieni pensando di rimanere vivi e vegeti bevendo ammoniaca e respirando cianuro."
Tanti anni dopo continuo a rimanere sempre più fermamente della stessa idea, in quanto anche confortata da quanto è nel frattempo veramente successo, parlo della deleteria deriva dell'allontanarsi dalle proprie origini e tradizioni abbandonando le radici sul territorio che causano l'annacquamento dell'interesse da parte del largo pubblico, da noi sempre abituato a vivere sotto una ben precisa bandiera, parlo dell'indiscriminata circolazione di giocatori provenienti dai Paesi più esotici e che difficilmente mettono radici (ricordate ad esempio una volta Lienhardt, Dan Gay o lo stesso Hackett che ha prodotto un nazionale italiano?), parlo dell'abbandono della politica di fungere in una determinata area da centro di aggregamento dei giocatori usciti dalle realtà minori, e di tantissime altre cose ancora. Insomma abbiamo respirato cianuro a pieni polmoni.
Però la tendenza alla convergenza rimane e ovviamente non si può non tenerne conto. Ai tempi in cui scrivevo il pezzo citato sopra non riuscivo a vedere una possibile soluzione al problema. Devo dire ora che la soluzione mi sembra ci sia ed è un uovo di Colombo dopo averla vista messa in opera dall'Eurolega che evidentemente ha alla sua testa gente tutt'altro che stupida. In Eurolega la possibilità di partecipare la si ottiene o vincendo un campionato regionale (Lega adriatica, Lega baltica eccetera), o vincendo le qualificazioni, ma anche a discrezione degli organizzatori quando ci siano le condizioni per potervi partecipare (solida struttura finanziaria, palazzo dello sport capiente, bacino d'utenza ampio, leggi metropoli, eccetera). Non vedo assolutamente perché un sistema del genere non possa essere messo in opera anche nel campionato, poniamo, italiano. Un tot di posti riservati a chi dimostra di aver fatto un investimento adeguato e importante (non occorre che siano fissi, basta, e forse qui casca l'asino, che siano stabiliti almeno con due stagioni di anticipo, non più di tre, quattro comunque) e per il resto si continua con il sistema classico di promozioni e retrocessioni che sono, ne sono convinto fino al midollo, un fattore fondamentale, genetico quasi, di come noi europei concepiamo lo sport agonistico. Sono cioè convinto che il sistema delle franchigie sia per noi Europei totalmente inaccettabile, sia cioè cianuro puro. Se da noi non esistessero le promozioni e le retrocessioni la gente concepirebbe lo sport per quello che effettivamente sarebbe, cioè circo, e si allontanerebbe subito da esso. Ci vuole magari una sola promozione che cambia proprio tutto nella percezione del pubblico di casa nostra, ma i ranghi bloccati sarebbero la morte immediata. Il sistema misto però non vedo che controindicazioni potrebbe avere. Secondo me salverebbe capra e cavoli.
Piccola postilla su Planinić. Dite che l'unico modo in cui potrebbe rendersi utile sarebbe quello di fare da secondo play, o da guardia, di rottura per momenti particolari. D'accordissimo, del resto è quello che vado dicendo da una vita. Ricordate come veniva impiegato nel CSKA di Messina? Ecco un'altra ragione per cui continuo a ritenere Ettore un super.