L'immagine che secondo me resterà nella memoria della giornata di ieri è l'espressione stranita, incredula e contemporaneamente angosciosamente triste che aveva Magnussen sia a gara appena finita che poi sul podio dopo aver sciaguratamente gettato al vento l'oro nella gara eponima del nuoto, quella che da sola porta un atleta nella storia. Penso che sia bastato vedere la sua faccia per capire cosa voglia dire per un atleta di uno sport qualsiasi vincere alle Olimpiadi e quanto forte sia ancora, malgrado tutto, lo spirito olimpico, oserei dire l'ideale sportivo del citius, altius, fortius. Oggigiorno delle Olimpiadi soprattutto le ciniche menti italiche di giornalisti di politica, costume, moda e gastronomia, di tutto insomma meno che di sport che vengono mobilitati per parlare di Olimpiadi (a che titolo, di grazia?) vedono il gigantismo, l'invasione degli sponsor con conseguente gigantesco giro di affari anche sporchi, vedono insomma tutto meno quello che fa delle Olimpiadi un evento insostituibile e sempre più necessario nel nostro mondo votato al profitto, alla perdita progressiva di tutti i valori morali più nobili, e cioè la voglia di competere indipendentemente dal guadagno che ne deriva. Il desiderio insomma di essere primi per la semplice immensa soddisfazione di dire a se stessi: in questa cosa sono indiscutibilmente il più forte uomo (donna) del pianeta. Soddisfazione che nessuna montagna di soldi può mai dare. Cosa fra l'altro continuamente confermata dalla schiera di commentatori tecnici di Sky di ogni sport, tutti ex olimpionici del massimo livello.

Chi mi segue avrà già da tempo capito che quello che mi affascina dell'attività sportiva è la connessione fra testa e fisico, quanto cioè la mente influenzi ogni esito di ogni attività umana, connessione che proprio nello sport esplode nel modo più visibile e che probabilmente, se qualche scienziato con meno puzza sotto il naso volesse studiare la cosa in modo serio, potrebbe essere perfettamente indicativa di come una persona può reagire in situazioni meno simboliche, tipo in guerra. Devo correggermi: qualcuno questa cosa l'aveva già capita da tantissimo tempo e cioè proprio gli inglesi che inventarono lo sport moderno con il precipuo scopo di educare le loro elite, appunto, militari a reagire in modo adeguato nelle situazioni di stress, ma soprattutto per scegliere i quadri di comando fra coloro che nello sport mostravano di saper gestire nel modo migliore le situazioni di crisi. Guarda caso poi andarono a dominare il mondo. Come grazie allo sport sapevano scegliere i quadri direttivi tanto in economia che in politica puntando su quelli che nello sport mostravano doti superiori di comando e leadership. Tutte queste cose mi sono venute ieri alla mente nei pochi minuti che dividevano la discesa nel K1 di canoa di Daniele Molmenti da quella del dominatore della semifinale Peter Kauzer, portabandiera della spedizione slovena. I due sono amicissimi, visto che Molmenti di Cordenons per allenarsi è praticamente costretto ad essere sloveno di adozione, nel senso che è sempre con loro su quello straordinario bacino naturale che è l'alto Isonzo, palestra storica della canoa fluviale slovena. Però Molmenti è uno straordinario vincente, mentre Kauzer basta sentirlo parlare per capire in pochi secondi che è esattamente il contrario. Uno che continua a dire: “mi sento il più forte e vado alle Olimpiadi per vincere” è esattamente colui che grida nella notte per farsi coraggio. Uno che va veramente alle Olimpiadi per vincerle non lo dice mai prima, anche perché in realtà non ci pensa. Lui sa quanto è forte, sa che darà il massimo, se poi basterà per vincere lo si vedrà sul posto. Esattamente l'atteggiamento che aveva la judoka Žolnir che prima delle Olimpiadi non aveva detto nulla e poi ha vinto dominando. Kauzer 4 anni fa a Pechino dominò le qualificazioni e poi in semifinale, mentre aveva il miglior tempo, andò a sbattere contro il molo a due porte dalla fine venendo eliminato col nono (!) tempo. Insomma un perdente della più bell'acqua (bianca...). E infatti ieri, mentre in TV tutti tenevano le dita incrociate per la sua discesa, io sono stato investito da improperi di tutti i tipi avendo detto qualche secondo prima che Molmenti poteva dormire sonni tranquilli che tanto Kauzer qualche modo per incartarsi lo avrebbe sicuramente trovato. Ed infatti, dopo aver centrato in pieno la terza (!) porta, si è quasi ribaltato a metà percorso finendo in modo ignobile. Il che conferma ancora una volta che praticamente tutto deriva dal nostro cervello, che uno può essere forte fisicamente e tecnicamente quanto si vuole, ma quando manca la testa (e gli attributi, ed il cuore, le famose tre “C” di Diaz Miguel) manca tutto. C.v.d.

A proposito: scrivo di prima mattina e non ho visto ancora i giornali. Quanti avranno intolato: “Molmenti di gloria”? Spero non tanti. Tornando alle battute datemi una vostra opinione su una che mi è sfuggita ieri in telecronaca: “i cinesi, dopo i vari Zhang, Chang, Wang, Pang, quella che è arrivata terza a Pechino dopo Pellegrini e Isakovič, ora hanno anche questa Tang. Ora, per esplodere definitivamente, manca ancora la Bang”. Al momento mi è sembrata scema da vergognarmi, ma ripensandoci bene poi mi ha fatto addirittura ridere. Voi che ne pensate?