Ormai mi sembra che siamo diventati tutti filosofi-sociologi-antropologi-politologi e che forse ci stiamo allargando un tantino. Quando però si discute dei massimi sistemi, “count me always in”, per cui, a rischio e sprezzo del pericolo e della vergogna, sono ovviamente nella mischia.
Giustamente neanche io voglio parlare di politica, primo perché le mie idee le conoscete tutti ed è totalmente inutile che le stia a ripetere e poi perché è un argomento delicatissimo che tocca corde molto sensibili e scoperte, nel senso che in definitiva chiunque abbia un’idea politica è abbastanza normale che scivoli nello strisciante fondamentalismo, che pensi cioè di essere lui nel giusto e gli altri nello sbagliato, per cui bisogna redimerli e riportarli sulla retta via. Un po’ come avviene nella religione. E, se ci pensate bene, è anche giusto e ovvio che sia così. Quando uno ha un’idea, una convinzione, chiamiamola pure un’ideologia, l’ha perché evidentemente ci ha riflettuto, si è fatto prima un’idea e poi una convinzione, e, visto il lavoro intellettuale (quello per la maggioranza della gente più difficile) che ha dovuto fare, gli ripugna il pensiero che in definitiva possa aver sbagliato.
Il punto è un altro, ed è che comunque un’idea bisogna averla, giusta o sbagliata in assoluto (e cos’è l’assoluto?) che sia. Ma per averla bisogna, come detto, pensare, cioè lavorare con quanto di più nobile abbiamo, unica specie vivente ad averlo così sviluppato e cosciente su questa terra, il nostro cervello. E dunque per prima cosa bisogna informarsi, ma soprattutto osservare. Sono convinto che bisogni fare un salto molto difficile, cioè fare il possibile per mettersi nelle condizioni dell’entomologo che osserva l’organizzazione sociale delle formiche o delle api, cosa fatta mirabilmente da Jonathan Swift proprio nel primo libro delle sue Avventure, quello dove Gulliver sbarca a Lilliput e osserva da fuori e dall’alto la società lillipuziana che gli appare, proprio perché la guarda in modo distaccato, per quello che è, egoistica, gretta e chiusa in se stessa, autoreferente, dicendoci con ciò che noi siamo esattamente la stessa cosa. Satira straordinaria, irripetibile, che è stata tanto travisata da fare in modo che addirittura diventasse un racconto per bambini, mentre invece è uno dei punti più alti mai raggiunti dalla letteratura (devo aggiungere che i quattro capitoli delle Avventure di Gulliver sono di gran lunga il mio libro cult assoluto, letto e riletto più volte, anche in versione originale?). Sì, esatto, bisogna secondo me proprio decontestualizzare tutto (e in questo sono perfettamente d’accordo con Stefano e totalmente in disaccordo con Skuer – chiaro, anche se sono un pacifista convinto, ma uno mi attacca a colpi di spranga mi difendo, che diamine, e non porgerò certamente l’altra guancia, ma questo è tutto un altro discorso che, appunto, con i massimi sistemi non c’entra nulla) e tentare di capire, magari appoggiandosi alle letture giuste, di persone che hanno tentato di fare la stessa cosa per capire cosa ne pensino loro e quali conclusioni ne abbiano tratto, in definitiva come funzioni il mondo. Si tratta di un processo mentale molto arduo, pochissimi se non forse nessuno è capace di vedere se stesso e il suo ambiente da fuori, come se stesse arrivando da Marte e guardasse cose per lui nuove e totalmente sconosciute, ma che per farsi l’idea più giusta possibile bisogna assolutamente fare. Soprattutto in politica che è l’arte di far vivere assieme la gente, gente che ha bisogni, desideri a volte totalmente in contrasto fra loro, in modo tale da portare al massimo bene possibile l’umanità nel suo insieme. Fare cioè quello che chiamano ottimizzazione in un dato contesto.
Proprio per questo sono convinto che la politica sia una cosa seria, molto, molto seria, che presuppone conoscenze e ragionamenti che ben pochi vogliono o possono fare. Ne va da sé che proprio per questo sono convinto che il voto universale sia la massima iattura immaginabile e che propugni già da tempo l’idea che il diritto di voto dovrebbe essere concesso solamente a chi dimostri una conoscenza dei meccanismi della politica sufficiente a che si possa presumere che si sia fatta una sua idea cosciente e ponderata (cosa questa che esula da qualsiasi concetto di censo, provenienza sociale o consistenza economica, ma che si riferisce semplicemente ed esclusivamente alle capacità intellettuali), ma sono altrettanto convinto che si tratti di una pura utopia, per cui non pensate neppure di confutarmi, in quanto sono il primo a farlo. Sarebbe tempo sprecato, in quanto sul fatto che non si possa fare per una quantità infinita di ragioni sono il primo ad essere d’accordo.
Ciò però non toglie, e qui dovrete essere d’accordo con me, che comunque la bontà di un esito di un’elezione, un referendum, di un’espressione insomma di volontà popolare, è direttamente proporzionale alla cultura politica media della popolazione che lo esprime. Una società mediamente acculturata esprimerà un esito ben più pensato e consono ai bisogni contingenti della società in quel determinato momento storico rispetto ad una mediamente ignorante. Non potete confutarmi questa semplice asserzione, è impossibile, è addirittura banale.
Ed è proprio qui che casca l’asino. Riferendomi sempre all’intervista del Primorski dissi a un dato punto che detesto i social perché li ritengo l’origine del male assoluto che sta erodendo dal suo interno, dalle sue fondamenta stesse, la società moderna. Società intesa come insieme di persone che dovrebbero lavorare tutte nell’interesse del bene comune. Dissi che li ritengo l’invenzione geniale di una SPECTRE mondiale messa in piedi dalle grandi corporazioni (che poi Toni Negri non avesse del tutto torto? – nelle sue idee, ovviamente, non nei fatti) per portare l’umanità al rimbecillimento totale con l’intento di manipolare nel modo più diretto il pensiero comune per indirizzarlo nella direzione di una convinta adesione a quello che le grandi corporazioni vogliono, e quello che loro vogliono è ovviamente il loro bene, e non certamente quello della comunità nel suo insieme. Che è anzi normalmente agli antipodi di quello che le grandi corporazioni perseguono.
Tutto questo ha la sua ricaduta fondamentale sulla politica. Che viene, come l’emblematico caso di Cambridge Analytica insegna (caso, e il mio amministratore ne è testimone, che mi ha sconvolto), innanzitutto pilotata per i suoi fini dalle stesse corporazioni. Non solo, ma gli stessi social sono il terreno di cultura più fertile possibile per gli stessi pseudo-politici moderni che, seguendo l’onda del rimbecillimento totale e generale, per farsi eleggere possono, mettendo in piedi una rete di osservatori dei trend che si vanno sviluppando sui social, semplicemente assecondare in tempo reale le percepite necessità – ricordo, indotte dagli interessi peculiari delle corporazioni - della stragrande maggioranza della gente, necessità che sono normalmente del tutto irrilevanti se non addirittura contrarie a quelle che sarebbero le vere priorità da perseguire, con ciò alimentando in modo irreversibile e fatale il perverso circolo vizioso nel quale ci stiamo trovando.
Mi deprime vedere i giovani che, per informarsi, dipendono esclusivamente da quanto si raccontano fra di loro sui social, riferendosi magari a siti e a blog comunque tendenziosi e di parte, mandando nel contempo il loro cervello all’ammasso, senza mai guardare magari in TV un documentario, un reportage, un’inchiesta fatta bene, con i dati veri, giusti, che normalmente dicono cose del tutto contrarie a quella che è la percezione indotta dai venditori di fumo. Giovani che sono il futuro della nostra società, ma che non si accorgono in questa società gerontocratica retta da cariatidi quali il sottoscritto di essere sfruttati e manipolati, sottopagati e perennemente precari, una specie di proletariato moderno usa e getta. Io da loro mi attenderei in tempi brevi niente meno che una rivoluzione, perché così si può andare avanti per ben poco tempo. Li vedo però adagiarsi nella situazione nella quale si trovano in modo passivo, come se essere sfruttati fosse cosa giusta e logica, anestetizzati dalle loro tastiere nelle quali si rifugiano in modo quasi autistico. In ogni epoca, sempre, da quando esiste l’umanità, il progresso sociale è stato portato avanti dalle nuove generazioni, a volte in modo anche brutale. Del ’68 si può dire quello che si vuole, e se interessa il sottoscritto lo ritenne già alla sua allora tenera età di 18 anni una grande e mal intesa cagata pur se animata dalle migliori intenzioni, e non per niente infatti ha poi apportato alla società grossissimi guai soprattutto quando i sessantottini sono diventati genitori, ma non si può negare che la gioventù fosse allora viva e avesse in mente un’idea, per quanto mal intesa fosse. Oggi vediamo invece circolare zombie smanettanti che di idee non ne hanno, se non direttamente inculcate loro dall’infernale strumento che maneggiano. Idee che hanno comunque un filo che le unisce e che è l’unico messaggio che le corporazioni vogliono mandare ai giovani: la politica è brutta, inutile, corrotta e non occupatevene. Mentre ovviamente dovrebbe essere esattamente il contrario, se volessero il loro stesso bene.
Scusate lo sfogo. Ma vedere andare il mondo in malora proprio a causa dei progressi tecnologici che dovrebbero ampliare le nostre conoscenze mentre si stanno rivelando nient’altro che docili strumenti nelle mani del Grande Fratello (o Grandi Sorelle, sarebbe forse meglio dire) mi fa letteralmente andare in bestia. Tanto più che di soluzioni non se ne vedono.
Non ho parlato neanche stavolta di basket. Sono in pensione e ho tutto il tempo per farlo quando i Mondiali si avvicineranno. Per finire voglio solo rispondere alla curiosità di Llandre sui miei gusti musicali. Mi chiede se ritengo che dall’ ’80 si sia fatta musica. Certo che è stata fatta, ma assolutamente non di mio gusto, per cui, per quanto mi riguarda, non esiste. Semplicemente nulla mi dice niente, non fa risuonare nessun tipo di corda nel mio animo e nelle mie emozioni e quella poca che ritengo vera e non plastificata ad uso e consumo, soprattutto consumo, dei media, tipo la fiammata grunge dei Nirvana, la ritengo musica “malata”, espressione di psicopatici che mi dà semplicemente angoscia, mentre dalla musica voglio emozioni e gioia di vivere. Per la cronaca l’ultimo gruppo che al primo ascolto mi ha fatto balzare dalla sedia e dire: “Cavolo, quanto sono bravi! Dove posso comprare il disco?” sono stati i Dire Straits di Mark Knofler. Cos’ era? Fine anni ’70, mi sembra. Sì, ecco, il periodo dal quale non ascolto più musica è proprio quello indicato da Llandre.