Giornata assolutamente di routine quella di ieri. Gli americani sono ritornati a fare gli americani in vasca, anche se qui ci sono molte cose che inducono ad importanti riflessioni e lo farò in fondo, le italiane hanno spazzato via il mondo nel fioretto a squadre (ma come fanno?), gli inglesi (pardon, britannici) stanno dominando i Giochi del Commonwealth di ciclismo su pista, i cinesi sotto ogni bandiera (anche se quelli migliori se li tengono in casa) stanno terminando il loro campionato interno di tennis tavolo, sono cominciate le splendide finali di canottaggio (va be' che è stato solo bronzo, ma che dire della quarta medaglia olimpica di Iztok Čop a 40 anni dopo aver vinto la prima nel '92?), gli americani del basket hanno messo in piedi il circo di Pechino (attenzione, detto in senso elogiativo!) contro i poveri nigeriani, nel tennis i migliori stanno facendo sul serio e per le medaglie se la giocheranno fra di loro (potenza di Wimbledon), insomma assolutamente niente di nuovo sotto il sole. Per cui vorrei dire qualcosa sul famoso biscotto del badminton, vicenda che mi ha incuriosito e che non sono riuscito a capire, per cui sul caso in se stesso non riesco proprio a dare un giudizio. Nel senso che non sono riuscito a cogliere il lato fondamentale di tutta la vicenda, e cioè il "cui prodest" latino. Mi sembra di aver capito che le cinesi non volevano incontrare le connazionali nell'eliminazione diretta, ma per organizzare combine bisogna essere in due, segnatamente devono collaborare gli avversari. Ora di coppie coinvolte ce n'erano addirittura quattro con interessi incrociati che non sono riuscito a sviscerare. Mi limito dunque a fare qualche considerazione generale. I pragmatici anglosassoni odiano il "round robin" o girone all'italiana (guarda caso, non si chiama girone alla tedesca, o svedese...) proprio perché prima dell'eliminazione diretta porta inevitabilmente a calcoli del genere che sono sempre odiosi e nei quali uno non sa come comportarsi, perché si trova davanti alla classica alternativa del diavolo: qualsiasi cosa faccia, non va bene. Pensate un po' all'ultimo caso eclatante che si è verificato agli Europei Under20 di basket in Slovenia. Nel girone eliminatorio la Slovenia era matematicamente prima alla vigilia dell'ultima partita contro la Spagna. Se avesse fatto riposare i migliori (Prepelič, fra l'altro, che si è leggermente infortunato, cosa che lo ha condizionato nei quarti persi contro la Francia) ed avesse perso la partita, per il gioco della classifica avulsa sarebbe passata la Turchia. Ed invece, secondo i concetti classici di sportività, ha giocato al massimo, ha vinto ed ai quarti è passata la Lituania che poi ha vinto il campionato! Per dire come i tuoi risultati dipendano in questo caso in modo decisivo da quello che fanno gli altri (e l'Italia di calcio, attaccata alle radioline per sentire cosa facevano Croazia e Spagna?), cosa che a me da sempre fastidio. Bisogna dunque dirimere una questione fondamentale: in questo caso, quale delle due alternative del diavolo è quella meno odiosa? Secondo la mia scuola di pensiero (che però vale esattamente come quella opposta, perché qui non ci possono essere verità assolute, ma solo concezioni personali) è perfettamente lecito e moralmente accettabile che uno perda se la sconfitta gli reca un diretto vantaggio per la prosecuzione del torneo. Nel senso che uno il torneo lo vuole vincere, dunque ha un fine più che legittimo. Se in una fase qualsiasi dello stesso, segnatamente alla fine della fase a gironi e prima dell'eliminazione diretta che poi taglia la testa a tutti i tori, una sconfitta porta vantaggi reali per il prosieguo del torneo, allora non c'è assolutamente scandalo se si perde. La volta prossima facciano regolamenti migliori. Non è colpa mia se facendo riposare i migliori risparmio energie e contemporaneamente magari elimino un'avversaria pericolosa che poi magari potrebbe crearmi ben maggiori problemi di quella che con la mia sconfitta faccio passare. Concettualmente non vedo differenze dall'averla battuta in un confronto diretto: se la mia avversaria è nella condizione di dover dipendere da me per passare il turno sono cavoli suoi. Poteva giocare meglio prima. Attenzione, però: c'è una differenza abissale fra questo caso e quello che con esso viene confuso, cioè la situazione per cui una mia sconfitta è indifferente rispetto alla prosecuzione del mio torneo e le mie chance di vincere la competizione rimangono le stesse sia che io vinca o che io perda, mentre invece vincere o perdere è fondamentale per la mia avversaria. In questo caso se gioco in modo indolente e perdo adesso sì che sono in grossa colpa perché ho direttamente influenzato l'andamento del torneo danneggiando terzi che non c'entrano. Ripeto: bisogna sempre distinguere bene i due casi e decidere di fronte a quale dei due ci troviamo. Riassumendo: nel primo caso (perdo, ma aumento le possibilità di vincere la competizione) è perfettamente lecito perdere, nel secondo (per me è lo stesso, ma per il mio avversario è questione di vita o morte) allora devo assolutamente onorare la partita e giocare al massimo, proprio per rispetto nei confronti del torneo stesso e delle possibilità degli altri. La soluzione sarebbe ovviamente giocare sempre tutti i tornei ad eliminazione diretta che questi discorsi verrebbero subito a cadere. Bisogna fare però giocare tutti almeno un tot di partite? Benissimo, sono d'accordo, però allora rendiamoci conto che queste situazioni saranno sempre di routine, per cui meravigliarsi ogni volta che succedono cose del genere mi sembra francamente più che ipocrita semplicemente stupido.
Tornando alle considerazioni sul nuoto. Prendendo spunto dalla giornata catastrofica per Ryan Lochte si può già adesso dire che il nuoto ha fatto un clamoroso salto di qualità quando anche un fenomeno come Lochte non può pensare di vincere ogni volta che si presenta in piscina. Come pure Phelps ha dovuto attendere quattro giorni per fare finalmente il Phelps, dopo aver ingoiato bocconi amarissimi. Anche la Franklin dovrà limitarsi a vincere le due gare di dorso rientrando un po' nei ranghi dopo essersi presentata alle Olimpiadi da fenomena paranormale. Voglio dire che il livello generale è tanto alto che neanche i fenomeni possono più fare i comodi loro e nel futuro dovranno scegliere le gare da fare con più umiltà. Il che è buono, tanto buono.