È la prima volta che lo faccio, ma stavolta proprio non ne posso fare a meno. Vorrei subito stoppare la discussione che immagino verterà sulle considerazioni di Pado e Roda, persone che stimo tantissimo e con le quali ci conosciamo e apprezziamo già da tanto tempo, anche per le sconvenscion bellissime che abbiamo passato assieme.

Semplicemente la discussione che hanno cominciato è totalmente, perfettamente fuori tema rispetto a quanto volevo dire io. Quanto dicono mi trova perfettamente d’accordo con loro, solo che non è questo il punto. Per dire quanto mi trovo d’accordo basti l’accenno che faccio nel post alla pronuncia di Macura alla americana che, ripeto, mi fa sbellicare dalle risate. E Dellavedòva dove lo mettete? Tanto per dire. Ricordo fra l’altro che agli inizi della mia carriera commentai da seconda voce i Mondiali di calcio del 1974. Nella Svezia giocava un’ala di nome Sandberg che io, nel mio zelo da neofita, per tutta la telecronaca chiamai, come in effetti era, Sandberj. Il giorno dopo incontrai per strada amici miei che per prima cosa mi risero in faccia. “Dai, Sergio, per favore, smettila di farla fuori dal vaso! Chi vuoi che ti prenda sul serio con il tuo Sandberj?”. Capii al volo l’antifona e potete stare sicuri che i nomi svedesi, Borg compreso, da quel momento in poi li ho sempre pronunciati alla nostra. E non ho mai detto Joeteborj se non come curiosità per dire agli spettatori come gli indigeni chiamano la loro città (magnifica fra l’altro, ci sono stato).

Per spiegare una volta per tutte quello che volevo dire, sempre che ci riesca, vorrei partire da lontano e chiedere ai miei amici di fare un grosso sforzo mentale per mettersi nei miei panni. Io sono di lingua madre slovena e nella mia vita ho passato tantissimo tempo in Jugoslavia tanto da imparare a parlare in modo sufficientemente corretto e comprensibile il serbo-croato, per cui ho l’orecchio allenato per le lingue slave e gli strafalcioni che vengono fatti quando vengono pronunciati in modo totalmente sbagliato mi danno enorme fastidio, sono un colpo allo stomaco che non sopporto. Facciamo un esempio al contrario per gli italiani. Se già vi fa ridere che uno dica Dellavedòva invece del normale Dellavedova, mettetevi nei miei panni quando sentite Pògačar o Lànišek o Kòpitar. Per me è la stessa identica cosa e non credo che sia troppo chiedere alla gente semplicemente di spostare l’accento. Qui non si tratta di emettere suoni strani e esotici, si tratta semplicemente di mettere l’accento su un’altra sillaba. E’ tanto difficile? Fatelo almeno per me.

Ma questo potrebbe anche essere digerito. La cosa che mi fa invece infuriare è quando viene emesso un altro suono rispetto a quello che uno è pronto a sentire e per il quale ha la sensibilità data dal fatto che conosce la lingua. Faccio di nuovo un esempio al contrario. Il forte centrocampista veneto Marco Rodella viene ingaggiato dal Real Madrid (non esageriamo, facciamo il Getafe). Alla prima partita che gioca il telecronista iberico continua a chiamarlo per 90 minuti Rodeia leggendo il suo nome alla spagnola. Non credo che il forte centrocampista veneto lasci passare questa storpiatura e penso che prima o poi dirà sommessamente al telecronista che il suo nome si pronuncia Rodella e non Rodeia chiedendogli di adeguarsi. Io almeno lo farei. Anzi, lo faccio di continuo visto il mio nome che in Italia viene pronunciato in tutti i modi possibili, tanto che dovunque vada devo sempre insegnare a tutti come mi chiamo sul serio.

Ecco, questo è il rispetto che io, confermo, esigo da parte delle persone che stimo e che reputo intelligenti e aperte. Mi ricordo che il tennista americano Rostagno dopo la sconfitta contro Ivanišević nei quarti di un Wimbledon di tanti anni fa a un dato momento in conferenza stampa sbottò e disse a tutti i giornalisti presenti che lo chiamavano Rostag-no: “Guardate che il mio cognome si pronuncia Rostanyo come lasagna!”. Ed era americano! Se fosse stato italiano suppongo che si sarebbe incazzato ancora di più.

Ecco, questo è esattamente quello che provo io quando sento Dezhan, Benzhamin o Čarvatova o Sduk invece di Zdouc. Non riesco a capire (o purtroppo per esperienza personale di gente percepita come inferiore da altra gente che si ritiene superiore lo capisco forse anche troppo bene) perché se uno dice l’opera “Tannauser” di Ritchard Uanyer tutti si mettono a ridere e reputano lo speaker un perfetto imbecille ignorante, se invece fa la stessa identica, ripeto perfettamente identica cosa per una lingua slava che alle mie orecchie suona altrettanto insultante, tutto va bene, tanto chi se ne frega. Non staremo tanto a sottilizzare! E invece quello che pretendo è che ci sia almeno una conoscenza di base per la pronuncia giusta, cioè che si emetta un suono che nella propria lingua è quello più possibilmente simile a quello giusto. Tutto qua.

In redazione a Capodistria abbiamo a suo tempo dedicato molto tempo proprio a questo problema, cioè su fino a dove spingersi nel tentativo di replicare la pronuncia originale e corretta senza incorrere nel ridicolo già da voi messo in luce del voler magari dire la “r” alla francese o del voler addirittura scatarrare alla olandese. Il consenso raggiunto ci portò a dire i nomi nel modo a cui ho accennato poco sopra, cioè nel dirli con i suoni che esistono in italiano che più somigliano al suono originale. Il problema dell’italiano è che è privo di molti suoni che sono comunissimi in quasi tutte le altre lingue indoeuropee. Inciso per Stefano: nessuno ha mai pensato di voler e poter scimmiottare lingue a noi perfettamente aliene, tipo quelle semitiche (ebreo, arabo) o ancora peggio orientali, tipo cinese o giapponese. E ciò per la fondamentale ragione che comunque nessuno di noi, a meno di studi particolari, ha la più pallida idea di come vengano pronunciate le parole in quelle lingue, dunque per quanto si sforzi finirà sempre per storpiare le pronunce e pertanto tanto vale che dica i nomi in modo comprensibile. Ed è anche per questo che sorrido sempre quando i commentatori nostrani vorrebbero dire i nomi giapponesi come li dicono loro e finiscono per dire tutti i nomi con l’accento tronco. Mentre le cose sono in realtà molto, ma molto più complicate, nel senso che le lingue orientali in realtà non hanno accenti, ma le sillabe vengono pronunciate in modo staccato, ognuna con il suo accento. Quando un autista venne a prelevarmi a Seul per portarmi su un campo da gara venne da me con un foglietto, mi guardò e lesse: “Sèr-giò-tàv-ciàr?” peraltro in modo sorprendentemente comprensibile, cosa che mi fece ricredere tantissimo sulle stranissime scritture orientali che ci sembrano scarabocchi.

Tornando al discorso principale e alle carenze fonetiche della lingua italiana essa manca totalmente dell’ “h” che esiste praticamente in tutte le altre lingue europee salvo alcune latine (francese, magari portoghese e poi?), per cui un italiano, se vuole imparare qualsiasi altra lingua, deve intanto imparare a come dire “h”. Poi magari deve imparare le vocali intermedie, quelle che i tedeschi rendono con l’umlaut e che abbondano nelle lingue germaniche, inglese, ormai lingua franca universale, compreso. E per parlare inglese deve imparare anche a dire la “theta” greca nelle sue due versioni dura e morbida (il “thing” reso dai greci con la theta, appunto, e il “this” che i greci rendono con la delta), Theta che aiuta anche per lo spagnolo (di Spagna, non delle colonie americane) quando uno vuol dire correttamente cabeza o corazon. In questi ultimi tempi ho sentito molti giovani italiani, anzi ormai quasi tutti, almeno quelli istruiti che viaggiano molto, magari grazie all’Erasmus, che hanno finalmente rotto il tabù dell’italiano negato per le lingue e che parlano un inglese corretto senza il classico esilarante accento italiano, per cui almeno a qualcosa l’Europa unita serve. E sono sicuro che queste giovani generazioni sono molto più sensibili verso una corretta pronuncia dei nomi locali visto che viaggiano molto e che soprattutto con l’espansione dell’Europa unita verso est hanno la possibilità di recarsi in paesi che ai nostri tempi, quelli della cortina di ferro, erano praticamente inaccessibili e ci sembravano sulla luna.

Evidentemente voi, un tantino più attempati, non avete questo tipo di sensibilità e per voi storpiare impunemente nomi stranieri è cosa normale per la quale non provate alcun tipo di vergogna, o almeno un vago sentore di ignoranza da colmare. Che invece secondo me dovreste provare. Io provengo da un altro ambiente, un ambiente fondamentalmente trilingue nel quale si parlano tre lingue ciascuna delle quali appartiene a uno dei gruppi fondamentali nei quali si dividono le lingue indo-ariane. E dunque dalla nascita bazzico con queste tre lingue e, essendo una persona fondamentalmente curiosa che ha voglia di sapere e imparare, ho già da piccolo avuto una grandissima curiosità nel tentare di capire queste lingue almeno a grandi linee, per sapere almeno come chiamare i miei parenti di Vienna con i loro nomi giusti senza storpiarli, tanto per dire. Scusatemi dunque se la mia sensibilità è profondamente diversa dalla vostra e vedo le cose in modo totalmente opposto e il fatto di pronunciare i nomi nelle varie lingue europee in modo passabilmente corretto mi sembra un mio dovere di europeo curioso e interessato alla storia e alla cultura delle altre nazioni che condividono con la mia questa piccolissima, ma importantissima e decisiva per la storia di tutto il resto del pianeta, parte delle terre emerse del nostro pianeta.

Una cosa mi sconvolge: è possibile che persone di grande cultura e conoscenza come voi non provi alcun tipo di curiosità nei confronti delle altre lingue che si parlano in Europa? Le lingue dicono tantissimo sul carattere delle persone che la parlano, sulla loro storia, sulle loro abitudini, in definitiva ci dicono come sono fatte. E inoltre sapendo le pronunce (più o meno) giuste si possono imparare tante cose che poi sono utilissime quando si viaggia in quei paesi. Si parlava delle scatarrate olandesi (secondo la mia vecchia teoria che gli olandesi, con il clima e la perenne umidità che li affligge, hanno sviluppato tutti una congenita bronchite cronica), ma se uno si concentra un tantino sulle pronunce giuste scopre tante cose interessanti. Per esempio, l’ho già scritto, ma lo ripeto, una nuotatrice olandese si chiamava di cognome Nijhuis che i commentatori Rai pronunciavano come era scritto e come voi propugnate debba essere fatto. Però se si legge giusto la pronuncia vera è Naeihaus e non ci vuole Einstein per capire che significa semplicemente Casanova. E quando si va in Olanda sapere che huis è haus, casa, muis è maus, topo, voet è fut, piede, zuid è saud, sud, a volte aiuta molto se non altro per leggere le insegne per strada. E sapendolo perché di grazia non chiamare la povera nuotatrice con il suo cognome giusto? Che male si fa? 

Ripeto: ma non siete curiosi? Io lo sono e me ne vanto, per cui continuerò sempre a pretendere rispetto verso la corretta pronuncia dei cognomi delle persone nelle lingue del nostro continente. Certo, nessuno pretende che i commentatori chiamino il portiere della Juventus come dovrebbe essere chiamato, e cioè Sc’cionsnij, ma che un povero ceco di cognome Suchy non venga chiamato “Suči” che non vuole dire niente, ma invece giustamente Sukhi che significa pedestremente magro, esattamente come in sloveno, cognome comunissimo in Cechia, quello, scusatemi, invece sì.

Mi rendo comunque conto, anche leggendo i vostri divertiti commenti (ma questo cosa vuole, in realtà?), che si tratta della classica battaglia contro i mulini a vento, per cui sull’argomento chiudo qua. Rimaniamo in due galassie diverse. Ne prendo atto con sommo dolore.