Mi dispiace veramente per essere stato così silenzioso per tanto tempo. Perché lo sia stato non lo saprei dire. Evidentemente lo choc subito per la vergognosa prestazione della Slovenia agli ultimi Europei di basket mi ha talmente schifato che avevo bisogno di metabolizzare, addirittura di dimenticare il più velocemente quanto perpetrato dai miei (finora) beniamini. Se volete girare ancora il coltello nella piaga, fatelo pure, però rendetevi conto che mi fate molto, molto male. Quello che penso in merito l’ho già detto nelle due magnifiche serate che ho trascorso a San Daniele e a Pordenone alla presentazione della ristampa con aggiunta finale del mio libro e in più potete sentirlo per intero nella bellissima intervista (nel senso delle domande che mi sono state fatte e alle quali ho risposto per il meglio che sono riuscito a fare) che mi hanno fatto Andrea e Martina a Pordenone e che potete vedere nel link postato dallo stesso Andriz.

Devo ancora ritornare per un istante alla sconvenscion per ringraziare tutti i partecipanti per essere stati presenti, malgrado il fatto che, causa matrimonio con annesso casino, leggi musica ad alto volume, siamo stati un “tantino” stretti e relegati in uno spazio angusto, però spero che abbiate gradito ugualmente. La novità è stata sicuramente la bellissima maglietta sfoderata da Andrea Llandre con il nickname stampato dietro e la dicitura “official sconvenscioner” stampata davanti. Mi sono arrovellato per riuscire a trovare un modo di mettere in piedi una specie di “franchising” per la diffusione della maglietta presso tutti gli appassionati, ma essendo totalmente negato per ogni tipo di affare, non sapendo neppure da dove cominciare, rimando l’idea a qualcuno che ne sa in merito e che possa magari realizzarla. Pensate un po’ a quanto sarebbe bello se a ogni sconvenscion un nuovo partecipante fosse accolto con una breve cerimonia di consegna della maglietta con ovvio giro di bevande in apertura a suo carico. E in più ho ricevuto il complimento che più mi ha fatto piacere fra tutti quelli che finora mi sono stati fatti, in quanto centra in pieno il punto che ho sempre, per tutta la mia carriera, voluto tenere in mente a mo’ di stella polare facendo le telecronache. Me l’ha fatto il new entry Bortolot, play scuola Don Bosco del ’64, giocatore che ha avuto un’importante carriera, mai però ai massimi livelli come avrebbe senza dubbio meritato: “Sai Sergio, in realtà il basket me l’hai insegnato tu con le tue telecronache per la semplice ragione che, quando un giocatore faceva una cosa buona, lo sottolineavi spiegando anche perché era buona, e quando invece faceva una vaccata, lo dicevi altrettanto chiaramente spiegando perché lo era. E quando qualcuno faceva la stessa buona cosa o lo stesso errore ripetevi sempre quanto detto la volta prima spiegando allo stesso modo perché era una buona cosa o un errore. Bastava dunque fare le cose buone e evitare quelle cattive per giocare bene a basket, cosa che ho tentato di fare per tutta la mia carriera”. Latte e miele per le mie orecchie e la mia autostima.

Per coloro che non hanno intenzione di vedere l’intervista, in breve quanto ho detto sulla conclusione degli Europei: ha vinto il basket e sono molto contento che abbia vinto la Spagna contro l’accozzaglia di pollastri della Francia, squadra che aveva un vantaggio fisico debordante con l’unico difetto che, malgrado tutto, bisogna anche sapere giocare a basket, cosa che per esempio Gobert proprio non riesce a fare. Per uno che guadagna tutti i soldi che prende è inconcepibile che sotto canestro non sappia fare un movimento che è uno e che, a parte schiacciare, altri modi per mettere la palla in canestro non conosca, non riuscendo a segnare neanche quando è a mezzo metro dal canestro e basterebbe spingere la palla un po’ più in avanti e in basso (visto dove arriva con le braccia) per segnare, cosa che dovrebbe riuscire a fare qualsiasi essere umano che non abbia i polsi ingessati o comunque bloccati da manette o roba simile. Della Spagna devo dire che, a parte i fratelli Hernangomes e ovviamente Rudy Fernandez, non conoscevo praticamente nessuno. E nessuno infatti si è rivelato un fenomeno, ma vivaddio hanno giocato da squadra, hanno dimostrato di avere un’ottima scuola alle spalle, una scuola che pochissime altre nazioni ormai in Europa hanno più (Baltici, Germania…e poi?), scuola che permette loro di capire e eseguire i dettami del coach, per cui nei finali di partita commettono pochissime vaccate, giocando sempre un basket non certamente scintillante, ma molto solido e produttivo.

E a proposito delle stelle dell’NBA presenti all’Europeo il mio teorema secondo cui il grado di rincoglionimento dei fenomeni europei che vanno a giocarci (fenomeni, attenzione, dunque giocatori fondamentali per le loro franchigie, gli altri no, quelli che non sono visti come stelle, tipo Markkanen, per fortuna ne sono abbastanza immuni) è direttamente proporzionale agli anni passati laggiù si è confermato ad abundantiam. Nessuna sorpresa: il tipo di gioco dell’NBA, dove ormai c’è in campo un quarterback con tutti gli altri ricevitori, cosa radicata nella loro mentalità del cowboy solo contro tutti, è quanto di più contrario si possa concepire, anche a livello filosofico, se volete, al concetto stesso del gioco di squadra nel quale le varie personalità si integrano e complementano rendendo il totale superiore alla somma del livello dei singoli. O in altre parole il gioco di squadra presuppone che ognuno in campo abbia le sue precise responsabilità, facendo bene le cose che sa fare e non facendo cose che non sa fare, il tutto per avere un insieme che funzioni come una macchina ben rodata, nella quale ogni rotellina, per quanto insignificante, sia alla fine decisiva per la vittoria.

E infine ho spesso pensato a cosa sarebbe potuto succedere se Fontecchio avesse segnato un tiro libero e l’Italia, una travolta la Polonia, avesse magari vinto l’Europeo, e contro la Spagna (due finali giocate nella storia e ambedue vinte, fra l’altro) si poteva farlo. Sarebbe stato sì difficile, ma tutto sommato fattibile. Penso che sarebbe stato un grande successo sì, ma a lungo andare un grossissimo guaio. Ricordate Recalcati, quando, dopo l’argento olimpico di Atene. affermò che il vero lavoro con le nuove generazioni doveva appena cominciare e che sarebbe stata una iattura addormentarsi sugli allori procurati da una generazione che aveva sparato le sue ultime cartucce? Figurarsi adesso che le nuove generazioni, per avere possibilità di emergere e perfezionarsi, devono emigrare all’estero, visto il Sahara tecnico che c’è in Italia. Forse, è dura dirlo, è stato meglio così.

Basta con il basket per ora. In attesa che cominci l’Eurolega l’aperitivo, con la Supercoppa e la prima di campionato, non è che inviti a parlare molto, anzi, più si sta zitti, forse meglio è. L’unica cosa che vorrei dire è che per me, a occhio, il colpo migliore l’ha fatto la Virtus ingaggiando quel Mickey che avevo visto in Eurolega (dapprima non ricordo dove, dopo forse con il Barcellona – può essere?) e che avevo sempre reputato un giocatore perfetto per il campionato italiano, visto quello che sa del basket e vista la compagnia non proprio spaventosa che deve affrontare. Se Hackett si ricorda che una volta sapeva giocare a basket e se torna Šengelija in forma decente, allora onestamente sono secondo me loro i favoriti. Su Milano lascio che parli Buck: per quel poco che ho visto, non mi sembra proprio che abbiano fatto sul mercato colpi indimenticabili.

Per finire solo la confessione che di basket, nel post Europeo, mi sono interessato ben poco (anche per le ragioni spiegate all’inizio), in quanto sono stato impegnato a seguire la Vuelta prima e i Mondiali di ciclismo poi. Grandissimo Evenepoel, ma all’inizio della terza settimana Roglič gli aveva già mangiato uno dei due minuti e mezzo che aveva perso all’inizio quando doveva andare ancora a regime, aveva fatto una straordinaria azione sul piano prima di arrotarsi in modo inesplicabile in volata, insomma stavo per godermi un grandissimo finale, salvo vedere tutto andare in frantumi per la solita incredibile stella malefica che continua a incombere sul povero Primož. Chissà se mai si deciderà a lasciarlo stare almeno per un po’ in pace.

Ai Mondiali poi ho vissuto quella che reputo la più bella storia sportiva di quest’anno, parlo ovviamente del titolo vinto da Annemiek Van Vleuten. Pensate un po’ che storia potrebbero raccontare in un film americano, lì dove fanno film sportivi su eventi ben più insignificanti. Primo atto: staffetta a squadre miste. Gli uomini olandesi, squadra favoritissima, rimangono in due subito dopo la partenza con Mollema che frantuma il cambio, il duo rimasto fa miracoli e cambia con le tre ragazze ancora in piena corsa per il titolo. Le tre fenomene partono, ma anche qui qualche secondo dopo la vincitrice di tutto in questa stagione Van Vleuten si imbarca in modo inspiegabile e frana a terra sbucciandosi un ginocchio, ma soprattutto fratturandosi, anche se in modo leggero, una spalla. Quattro giorni dopo c’è la gara individuale su strada e la campionessa all’ultimo momento decide di gareggiare per dare una mano alle compagne, tutte fra le possibili vincitrici, tanto, si dice, io non ho possibilità alcuna. E invece la gara va avanti incertissima, nel chilometro finale le quattro davanti cincischiano secondo i dettami più classici del ciclismo che non riuscirò mai a capire, della serie “tira tu che poi vinco io”, da dietro arriva da non si sa dove una folgore arancione che vince in solitario il Mondiale risorgendo dalle proprie stesse ceneri. Slow motion dell’arrivo ripetuto da ogni possibile angolazione con musica celestiale e fine del film. Se uno avesse inventato una sceneggiatura del genere l’avrebbero preso per pazzo.

Peccato che il giorno dopo, dietro a Evenepoel (perché l’hanno lasciato andare nel gruppo in fuga? Forse perché avevano paura – troppa – di Van Aert?), la stessa storia non si sia ripetuta, per questione di una trentina di metri, per il povero “Sjuk” (alla sconvenscion ho spiegato da dove gli arriva il nomignolo) Tratnik che già pregustava una storica medaglia d’argento, per la quale nella sua natia Idrija, cittadina che conosce due soli sport, basket e ciclismo, gli avrebbero eretto in piazza principale, davanti all’entrata dell’ ex miniera di mercurio, una statua con lui in sella alla sua bici a imperitura memoria della sua prodezza. Di questa gara interessanti le dichiarazioni tanto di Van Aert che di Pogačar che hanno affermato di non aver partecipato alla volata di gruppo perché pensavano che fosse per le posizioni minori e non addirittura per l’argento. Morale: ai ciclisti di oggidì togli la radiolina e sono sperduti. Che una volta fossero più svegli?