Dopo tanto tempo faccio sentire anche la mia voce. Ho la mia buona dose di scuse. Visto il lavoro infame che svolge la RAI, per guardare il nuoto, mio sport prediletto, sono costretto ad alzarmi nel mezzo della notte, perché in questi primi giorni ho capito che di vedere repliche intere sulla RAI, magari delle sole finali, non se ne parla, e dunque guardo la sessione intera sulla TV slovena che almeno la trasmette intera senza interruzioni se non quelle pubblicitarie. Dormo dunque poco e allora devo recuperare durante il giorno, non solo, ma ho la mia rubrica quotidiana sul Primorski dnevnik, molto corposa peraltro, per cui nel pomeriggio mi tocca redigerla e mandarla al giornale, insomma non ho tempo né poi molta voglia. Scrivendo per il giornale della minoranza slovena ovviamente l’accento è sulle prodezze degli atleti sloveni, di cui godo come un suino (non avrei mai pensato che dopo cinque giorni di gare saremmo stati al 13.esimo posto del medagliere, davanti all’Italia - ! – non solo, ma se guardate il medagliere stesso ci sono anche due ori per il Kosovo, dati da due judoka formatesi e che ancora si allenano a Celje presso il mago del judo Marjan Fabjan, e dunque sono medaglie che considero anche molto nostre), e dunque seguo molto poco quanto fanno gli italiani.
Oggi è stata per esempio la straordinaria giornata di Primož Roglič, giornata che ha ripagato tutta l'immensa sfortuna che ha avuto finora in questa stagione dopo che l’aveva cominciata denunciando alla Parigi-Nizza una superiorità di tipo imbarazzante, interrottasi all’ultima giornata nella quale è caduto aprendo la strada a tutti gli sciacalli che si sono avventati sulla sua carcassa. Poi si è rimesso, ha vinto i Paesi Baschi, è arrivato al Tour in piena forma, finendo a terra subito a causa della demente signora con il suo cartello, e poi arrotandosi con Colbrelli (che l’ha sicuramente spinto, anche se non voleva fargli male ed è stato tutto sommato un episodio sfortunato, l’ennesimo per Primož) spaccandosi tutto e si è dovuto ritirare. E allora si è preparato per le Olimpiadi macinando ore e ore sulla bici da cronometro, avendo puntato tutto proprio su questa gara, visto il percorso che, l’avesse disegnato lui, non avrebbe potuto disegnarlo meglio. Stasera ovviamente il TG olimpico sulla TV slovena è stato dedicato esclusivamente alla sua vittoria e in studio c’era anche Matej Mohorič. Inciso: forse non tutti sanno la sua storia. Lui è stato uno dei migliori maturandi di tutta la Slovenia, vero e proprio teschio, e si era guadagnato la borsa di studio distribuita annualmente dalla Presidenza della Repubblica per scegliere qualsiasi percorso accademico avesse voluto. Caso ha voluto che proprio in quell’anno vincesse il Mondiale junior e poi subito l’anno dopo anche quello Under 23, per cui alla fine ha deciso di dedicarsi al ciclismo a tempo pieno. Questo per dire che si tratta di un ragazzo dall’intelligenza spaziale e non per nulla gli intenditori sono unanimemente d’accordo sul fatto che, a carriera finita, sarà probabilmente il miglior direttore sportivo della storia. Il conduttore gli ha chiesto come mai Roglič fosse fermo nella gara in linea e oggi avesse invece volato disintegrando la concorrenza. Al che il buon Matej ha detto: “A dire il vero, sapendo che in questi ultimi tempi si era allenato solo e esclusivamente sulla bici da cronometro, non sono riuscito a capire cosa sia andato a fare nel disputare la corsa in linea. Le due bici sono differenti e, quando usi esclusivamente una, entrano in gioco muscoli che con l’altra non adoperi e viceversa, ragion per cui era solo normale che nella gara in linea abbia accusato molto presto i crampi che poi l’hanno tolto di corsa. Dopo tre giorni di riposo e di adeguamento ha trovato l’assetto e oggi finalmente ha mostrato tutto il suo valore”. A queste parole ho fatto un po’ di mente locale e ho pensato al fatto che sia il rientrante Dumoulin che Rohan Dennis, che peraltro avrebbe dovuto essere pesantemente penalizzato dal tracciato viste le sue caratteristiche, avevano fatto esattamente la stessa cosa, e infatti sono finiti ambedue a medaglia. Di converso, fermo restando che il discorso di Ganna era completamente diverso, visto che semplicemente era un percorso troppo duro per lui, si spiega allo stesso modo anche la controprestazione di Van Aert che voleva disperatamente vincere la corsa in linea e dunque ha trascurato la cronometro, pagando oggi duramente. E il buon Matej ha anche aggiunto: “Onestamente, se fossi stato nella situazione di poter scegliere, avrei scelto anch’io la prova a cronometro, che è una scienza molto più esatta della corsa in linea, dove ci sono infiniti fattori che possono influire senza poterli controllare.” E ho pensato subito a Pogačar che ha rincorso tutti, ma è rimasto fermo quando è scattato il suo compagno alla UAE McNulty, avendo 6 milioni (all’anno) di buone ragioni per non far incazzare i suoi datori di lavoro, dando così il là all’allungo vincente di Carapaz. E a proposito, perché cani e porci potevano schierare due atleti nella cronometro, ma la Slovenia invece no? Ha forse corridori troppo scarsi? E se avesse potuto correre anche Pogačar?
Stamattina è venuto a trovarmi un mio ammiratore di Kranj, classe ’71 e dunque coetaneo di Fučka (fra l’altro è esatto che il padre era uno sloveno di Trieste nato sulle pendici del Carso in zona Mote radio – ma l’avete letto il mio libro? Lì narro tutta la storia) e Roman Horvat, coi quali ha giocato da ragazzo (vincendo ovviamente il vincibile), che è ora in vacanza sul Carso sloveno e dunque ha fatto una capatina a Opicina per incontrarmi e fare una lunga chiacchierata nel bar del Prosvetni. E’ stata una boccata d’ossigeno poter finalmente parlare di basket con una persona che vive sul tuo stesso pianeta, di parlare dunque del vero basket e non del basket da universo parallelo distorto del quale si parla di continuo in Italia e che mi spiazza sempre, ragion per cui siamo andati avanti per più di due ore e dunque non ho potuto vedere il secondo tempo della partita dell’Italia contro l’Australia. Ho visto il primo tempo, ma poi più niente, per cui non entro nel merito. Fate voi.
Ho comunque molta poca voglia di parlare di basket, visto come avete parlato della Slovenia e di Dončić. Se parlassi di cosa penso veramente mi alienerei tutte le amicizie che mi sono fatto in questi anni ed è esattamente l’ultima cosa che voglio. Dico sono che sono trasecolato e mi sono cadute, diciamo così, le braccia. Per essere esatto quello che penso veramente l’ho scritto in lungo e in largo nella mia rubrica sul Primorski, per cui, se volete fare delle ricerche, potete sempre procurarvi le copie del giornale e far tradurre gli articoli. A questo punto dico solo un paio di cose, anche perché nell’ ultimo post di Andriz c’è un passaggio che accende qualche piccolo barlume di speranza, passaggio nel quale dice che in effetti, per giocare come gioca la Slovenia, quello che considerate antibasket, bisogna comunque avere un Dončić e di giocatori come lui non ce ne è proprio tanti al mondo. Se al suo posto ci fosse qualcun altro le cose sarebbero diverse. Maledizione! Ma è proprio questo il punto! O siete molto giovani o siete in malafede. Qualcuno forse ricorda come giocavano i Bulls di Jordan quando vinsero sei titoli? C’era il sole Jordan con tutti i pianeti che gli giravano attorno. Tutto era in mano sua. Come era solo normale, visto che si trattava del più grande giocatore che abbia mai calcato il suolo di questo pianeta. E infatti, quando Krause prese Kukoč il buon MJ rizzò le antenne, rendendosi conto che era un giocatore come lui, cioè un faro, e gli fece subito capire, tramite gli scagnozzi che aveva in squadra, chi era il big boss. Cosa che il buon Toni capì subito e si adeguò, cosa che mai gli perdonerò, perché da giocatore dalle mille sfaccettature e dimensioni si trasformò in un esecutore monodimensionale, cosa che gli tarpò letteralmente le ali. Ebbene, Dončić è esattamente la stessa cosa, e allora perché Jordan sì e lui no? Contro l’Argentina all’inizio lo marcavano normalmente e ha messo subito dentro tre triple di fila. Si sono adeguati e lui, quando gli hanno messo addosso uno un po’ più lungo e fisico, lasciava che la palla la portasse Nikolić o Rupnik e si metteva in isolamento in post basso per ridicolizzare spalle a canestro il malcapitato marcatore. Hanno cambiato ancora con raddoppi continui e allora i tiratori erano sempre liberi per tirare in modo del tutto indisturbato. In più, come ha detto Murić nel dopo partita, lui sapeva benissimo che gli mancavano solo otto punti per il record storico di punti in una sola partita olimpica, ma a quattro minuti e mezzo dalla fine ha chiamato lui il cambio per andare in panchina e lasciare spazio agli altri, mandando così il chiaro messaggio che tutto quello che a lui importa è che la sua squadra vinca. Non per niente Hernandez dopo la partita ha detto che aveva qualche dubbio, ma ora non ne ha più: “Le abbiamo provate tutte, ma ogni volta lui trovava subito le contromisure. Non ho più dubbi: il più forte giocatore al mondo è ora lui”. Del resto, quando un giocatore è di gran lunga sia il miglior palleggiatore che passatore e tiratore della squadra, a me sembra solo normale che la palla ce l’abbia sempre lui. Ma ovviamente deve essere nettamente il migliore, e Luka lo è, senza ombre di dubbi. Per cui cosa c…o volete? Che a palleggiare sia qualcuno che non lo sa fare, che a passare sia altrettanto uno che non lo sa fare? Che la Slovenia giochi in modo più tradizionale, diventi più simpatica e che così perda? Forse è proprio questo il punto: che una piccola Slovenia possa permettersi il lusso di schierare fra le sue fila il miglior cestista attualmente al mondo è cosa che dà moltissimo fastidio a tutti, per cui si scatenano tutte le cattiverie possibili. Non ho altre spiegazioni.
Come non ho spiegazioni per la stucchevole polemica sullo straniero di Coppa. La regola esiste? Sì. Schierare Tobey è legale? Sì. E allora, porca miseria, dov’è il problema? E’ un problema morale? Scusate, ma che le grandi nazioni possano schierare gente proveniente per ragioni di sopravvivenza da tutto il mondo che casualmente, per meriti sportivi, visto che lo jus soli non esiste, può essere facilmente naturalizzata e impunemente schierata in numeri massicci in nazionale, questa è la cosa che a me dà molto, ma molto più fastidio, che non quella di schierare uno, leggi uno, straniero di Coppa. Per me è la classica situazione della pagliuzza nell’occhio altrui per non vedere la trave nel proprio. Chiaro: le grandi nazioni possono fare quello che vogliono proprio perché sono grandi, le piccole guai se sgarrano. Per cui se volete incazzarmi come una iena continuate pure a battere sempre sullo stesso chiodo. Non vi leggerò comunque più. Ne ho le palle piene.
Come vedete, questa è la situazione ed è questa la ragione per la quale ho molta poca voglia di parlare di basket.