Vorrei parlare in generale, perché, come detto fino all’esaurimento psico-fisico, a guardare partite intere non ce la faccio proprio più. Addirittura venerdì scorso ho dimenticato proprio di guardare la partita di Sassari di Eurolega in favore di un documentario sulla storia della Filarmonica di Berlino che mi ero registrato su MySky la sera prima. Tanto per inquadrare la situazione. Allora, in generale: della serie, non è sempre domenica, o una rondine non fa primavera, non riesco a capire tutti questi epinici a favore del Brooks di Milano che domenica ha fatto il gradasso contro una squadra totalmente senza difesa. I commentini sarcastici potrete farli dopo che avrà giocato una partita del genere anche in Eurolega. Io sono convinto che, premessa, non avendo gli occhi foderati di prosciutto o non essendo incatenato alle sirene dei media della grande città che parlano (normalmente, ci mancherebbe) pro domo sua,  un giocatore possa essere inquadrato dopo pochi minuti guardando come si muove, cosa fa, quali siano le sue scelte e quali siano le sue capacità tecniche, leggi come esegue i vari fondamentali. Secondo questi parametri Brooks continua a mio parere a essere un giocatore molto limitato. Ha fisico quanto volete, se è lasciato solo ha tiro, ha la classica penetrazione neo-americana con svolazzi (inutili, ma sono il solo a pensarlo, per cui dimenticatelo) che fanno saltare per aria il pubblico di bocca buona, ma in fatto di genio cestistico risulta essere a mio avviso estremamente carente, se proprio voglio essere elegante. Oddio, può anche capitare che, se è intelligente, riesca con il tempo a calarsi nella realtà nella quale è capitato, che si affini, che cominci a giocare di squadra, che insomma migliori fino a rendersi utile in continuazione e non solo a sprazzi, insomma i miracoli possono anche succedere, ma su questo lasciatemi avere i miei serissimi dubbi. Proprio nella partita di qualche turno fa in Eurolega, persa da Milano in casa neanche mi ricordo più contro chi, mi era capitato si saltare dalla poltrona e di fare una standing ovation solitaria quando Geri De Rosa, forse inavvertitamente, sicuramente non accorgendosi che in quel momento stava recitando il Primo Comandamento, ha detto la Verità più assoluta che si possa dire nel basket: “Un giocatore di basket di basket vero sa sempre, in ogni situazione, cosa fare e dove andare”, alludendo in modo neanche tanto velato che Brooks non sapeva cosa fare e andava per il campo a caso, ma questo lo aggiungo io, non voglio creare guai al mio amico, frase questa magnifica nella sua icastica semplicità, che andrebbe scolpita su una targa e appesa all’entrata di ogni palestra.

Dove eravamo rimasti? Già, evidentemente la gente mi conosce poco, eppure penso di essere coerente, anche e soprattutto perché fondamentalmente sono testardo come un mulo. Come avrete capito da queste mie note sono inoltre uno che, quando matura un’opinione che nel suo animo diventa certezza, da quella non si schioda più. Per cui credetemi bene, perché molti di voi mi conoscono di persona, se dico che il basket attuale non mi interessa più, proprio non mi interessa più. Non è un vezzo, è un fatto. Non è che lo dica per far passare l’idea che è uno schifo e che bisogna cambiarlo, bisogna ritornare ai tempi che furono, eccetera, eccetera. No, il basket che si gioca oggigiorno non mi piace, sarà quello che volete, più frizzante, più atletico, sarà tutta un’altra cosa rispetto a una volta, le partite fra giocatori di una volta e quelli di esso non avrebbero storia, può anche essere, ma non mi interessa. Punto. Per cui la mia lunga pausa è dovuta al fatto che non so cosa scrivere. Vi dovrei ancora il pezzo che avevo promesso tanto tempo fa sullo sport femminile in genere e di come lo vedo io, perché secondo me qui siamo in presenza di una fondamentale frontiera che più o meno divide una civiltà evoluta da una primitiva, e cioè qual è la condizione femminile in quella determinata società, nella quale lo sport è una fondamentale cartina di tornasole per comprendere i trend sociali dominanti. In breve, analizzando un po’ quale sia il rapporto donna-sport, si possono facilmente trarre fondate deduzioni su quale sia il reale ruolo della donna nella società, al netto di tutte le scontate e fumose frasi di circostanza. E’ un argomento che mi affascina, e per quanto non sia esattamente un sociologo, anzi in fatto di istruzione formale (per fortuna?) sono totalmente digiuno, vi ho riflettuto moltissimo provando a capitalizzare le esperienze fatte allenando gruppi di ragazze paragonandole a quelle maturate allenando i ragazzi e, se vi interessa, ne parlerò con molto piacere.

"A Mondiale finito è difficile non avere la sensazione che la differenza fra il basket americano e quello del resto del mondo si stia nuovamente ampliando. A questa conclusione si arriva non solo paragonando fra di loro i risultati delle partite, in quanto dobbiamo sempre avere in mente il fatto che Krzyzewski aveva stavolta nelle mani una squadra molto giovane e motivata, affamata di risultati e piena di energia. Lui i suoi giocatori ha imparato a prepararli a evitare le trappole che potrebbero tendergli le nazionali europee e sudamericane da quando ha ricevuto un bel calcio nei denti nel 2006 contro la Grecia. Da quel momento in poi non ha più perso, la zona e gli aiuti sui pick’n’roll non sono più un mistero, come pure non lo sono le regole FIBA. Il suo lavoro però è reso sicuramente molto più facile dal trend che impera (con poche eccezioni) già da molte stagioni nel basket europeo, alla costante ricerca di copie robotiche degli americani volanti. Il risultato finale di una selezione e di un lavoro del genere sono atleti, chiaramente comunque nettamente inferiori a quelli che può produrre l’America, con in compenso un quoziente di intelligenza cestistico molto scarso e con un carattere ingenuo che come unico motto ha quello del Citius, Altius, Fortius in uno sterile tentativo verbale di aumentare l’autostima, il tutto senza avere vere basi tecniche e tattiche.”

Quello che avete appena letto è il commento sul Mondiale apparso oggi sul Delo, il massimo quotidiano sloveno, a firma Eduardo Brozovič. Ve l’ho riportato tale e quale per due motivi: il primo è che ricalca parola per parola, concetto per concetto, quanto volevo scrivere io, per cui  è bastato copiare facendo molta meno fatica, e il secondo è che con questo penso di dimostrare che il cosiddetto temutissimo e aborrito nonché spesso sbertucciato “Tavčar-pensiero” forse non è tanto isolato quanto sembra leggendo i commenti soprattutto degli adepti della setta degli adoratori dell’NBA e delle sorti magnifiche, progressive e ininterrotte dell’umanità.

Va bene, siamo arrivati al dunque dei Mondiali e a questo punto posto anche io un commento su quanto è successo tanto, uno di più o uno di meno, non fa poi questa gran differenza.

Onestamente non vorrei farlo, perché mi rendo sempre più conto, leggendo i vostri, di commenti, che sto rapidamente abbandonando questa terra per avventurarmi in oniriche galassie nelle quali il basket è tutta un’altra cosa rispetto a quella che evidentemente è in realtà, perché tutti voi siete sulla stessa lunghezza d’onda quando disquisite, mentre a me sembra di essere sulla frequenza delle onde lunghe quando la trasmissione avviene via satellite a qualche gigahertz di frequenza. Corro dunque il rischio di farmi sbertucciare da tutto il mondo, ma tant’è, vi faccio se non altro il piacere di avere un’altra serie di righe scritte (che evidentemente non leggete, perché io dico una cosa mentre voi esprimete un’opinione su cose che pensate io abbia detto – altra causa di assoluta frustrazione – ma in realtà non solo non le ho dette, ma non le mai neppure pensate) sotto le quali c’è lo spazio necessario per dire la vostra. 

Vorrei subito, per quel che vale, consolare vincentvega e moka: siamo comunque almeno in tre. Se c’è una cosa che non ho mai fatto, perché la ritengo totalmente irrilevante, è valutare un giocatore per i titoli che ha vinto. Un grande giocatore semplicemente rende più forte la squadra in cui gioca: se poi la squadra, per quanto lui possa portarla a livelli impensabili, è comunque inferiore a qualcun altra, pazienza. Lui il suo l’ha più che fatto. Fra l’altro mi ha molto incuriosito il vostro excursus sui grandi del passato dell’NBA, soprattutto per le enormi lacune e omissioni che, a mio avviso che ho ahimè qualche anno più di voi, avete palesato. Per esempio nessuno ha parlato di grandissimi playmaker che ci sono stati molto prima di John Stockton. A occhio, se proprio non vogliamo parlare di Bob Cousy che giocava agli albori del basket moderno, Tiny Archibald o l’immenso senatore Bill Bradley una qualche nomination la meritavano di sicuro. E ancora. Guardate che, oltre a Maravich e Bird, ci sono stati tantissimi altri giocatori di pelle chiara che sono stati campioni inimitabili. I primi nomi che mi vengono in mente sono quelli della più pura guardia, o numero due che dir si voglia, della storia che è stato Jerry West, o dell’altrettanto più pura ala piccola che ci sia mai stata, di nome Bill Havlicek, o ancora lo straordinario e irripetibile Bill Walton di UCLA e dell’unico anello vinto da Portland, e lui sì che vinse l’anello da solo, visto quello che ha fatto poi la squadra quando lui si è infortunato. E potete credermi che il Walton che avete visto vincere con i Celtics era sì e no il 30% del “vero” Bill Walton. E Moses Malone, allora? Mister consistenza e rendimento, uno che ha fatto probabilmente una mole di lavoro sporco della massima utilità superiore a quello fatto in tutta la carriera da tutta una serie di stelle da voi altamente celebrate messe assieme. Per non parlare poi di Bill Russell, probabilmente il pivot, per rendimento e utilità a favore della squadra, più grande che mai ci sia stato. Insomma, quello che voglio dire è che parlare di straordinari campioni di epoche diverse è esattamente una gigantesca sega mentale di nessuna utilità. 

Scusate la pausa, dovuta a moltissime cause. Una, e la più importante, è stata che a metà mese ci sono stati gli Europei di nuoto che ho trasmesso e, visto che faccio il nuoto una volta a stagione in occasione degli impegni più importanti, ci ho messo del tempo per prepararmi almeno in modo sufficiente, nel senso che mi seccava fare la figura di quello che si meraviglia quando vince uno che lui magari non conosce e che poi scopre che in realtà era il favoritissimo da parte di tutti i veri esperti. E poi, come già più volte detto, il nuoto è il mio sport individuale per eccellenza, essendo stato contagiato da mio padre, grandissimo appassionato, e anche perché, per quanto sono imbranato a secco, tanto che nei giochi da bambini ero sempre scelto fra gli ultimi, sono stato invece sempre molto bravo in acqua dove, sempre nei giochi fra i bambini, i ruoli si ribaltavano. La seconda causa è che intanto in TV c'erano molte cose per me molto interessanti, segnatamente i due ultimi majors di golf che nei fine settimana seguivo ovviamente a tavoletta. Per cui delle trionfali qualificazioni dell'Italia ho visto solo uno spezzone della partita giocata in casa contro la Svizzera che mi è sembrata un'accozzaglia di terribili pipponi, per cui dopo pochi minuti ho cambiato canale. Se i due fenomeni (certo, non c'era Sefolosha, si è fatto male Brunner, a un tanto ci arrivo) sono i figli dell'ex ala dell'IMT Belgrado, allora non siamo veramente molto ben messi. 

Quanto è bello vivere in Italia! Solo qui da noi su un non-fatto, e cioè che il giocatore Daniel Hackett, arrivato al raduno della Nazionale e improvvisamente partito per ragioni che solo lui sa, è stato ovviamente squalificato, si è scatenato un putiferio incredibile che ha anche fatto salire la temperatura delle discussioni su questo blog (dove la mia idea era che ci fossero persone civili, educate e rispettose delle opinioni del prossimo, con cui possiamo essere diametralmente all’opposto, ma non per questo bisogna per forza insultarsi).  

Ripeto: su un non-fatto. Bisogna innanzitutto fare un po’ di chiarezza. Io ho già, ahimè, la mia veneranda età, per cui mi ricordo benissimo i tempi passati, quando un giocatore europeo andava nell’NBA. Era come se fosse defunto, morto, cancellato. Non esisteva più in quanto giocatore usabile dalla Nazionale. Fra l’altro era andato a fare il professionista, cosa impensabile per la FIBA che originariamente stava per Federation Internationale de Basketball Amateur. Questa era stata anche la ragione principale per cui Ćosić, prima ancora di finire gli studi a Brigham Young, annunciò chiaramente che sarebbe tornato a giocare in Europa. E che non sarebbe andato nell’NBA (per chi non lo sapesse sarebbe stato una sicura scelta fra le prime cinque). Poi, verso la fine degli anni ’80 del secolo scorso i due mondi cominciarono a avvicinarsi, grazie alla grandissima opera di due geniali politici quali David Stern e Bora Stanković. Mi ricordo ancora adesso quando in conferenza stampa prima della finale di Coppa delle Coppe a Novi Sad nell’ ’88 feci questa precisa domanda a Stanković, cioè su come erano le relazioni con i professionisti e se la FIBA pensasse di includerli nel suo movimento, ed ero convinto che mi avrebbe mandato a defecare rispondendo con le consuete parole di circostanza. E invece a mia gran sorpresa fu come se attendesse la domanda e partì con una precisa descrizione della “road map” che avevano tracciato assieme a Stern, per cui già allora si sapeva che più o meno per Barcellona avrebbero giocato le Olimpiadi open