Giusto un paio di righe per confermare che ci sono ancora, anche se attualmente impegnato con le telecronache dei Mondiali di sci nordico. Sport fra l'altro che mi piace tantissimo, perché lo reputo uno degli sport “veri”, di sofferenza e di capacità di sondare i propri limiti, dove la forza fisica si accoppia a quella mentale. Come il ciclismo, il canottaggio, l'atletica ed il nuoto stessi... tutti sport che sarebbero assolutamente meravigliosi, se solo non fossero state inventate tutte quelle pillole, pozioni, punture eccetera che fanno andare tutti come schegge trasformando una delle più nobili aspirazioni dell'uomo in un confronto fra case farmaceutiche ed in un continuo scontro fra guardie e ladri nella lotta a chi è più furbo ed a chi frega chi. Se comunque uno, in un impeto di ingenuità e di atteggiamento da struzzo che mette la testa sotto la sabbia, riesce per un istante a dimenticare tutto quello che c'è dietro, allora veramente può godere nel seguire questi sport, in realtà quelli più di base, assieme alla ginnastica, che ci possano essere e che loro soli mettono l'uomo di fronte a se stesso. Quanto è bello seguire sport dove a decidere sono solo secondi e centimetri e non arbitri o fortuna o regole strambe. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto").

Dedicato a chi pensa che nel basket vince chi salta di più

Niente da fare: volevo scrivere oggi qualche riflessione sulle regole, e soprattutto sulle interpretazioni che di esse danno gli arbitri, con ciò condizionando in modo decisivo il tipo di gioco che si pratica oggigiorno (va da sè che, non piacendomi per niente il tipo di gioco che si pratica, le critiche si sarebbero sprecate), ma sono stato sopraffatto dal richiamo all'articolo citato nell'ultimo commento.

Lascio stare, non essendo assolutamente edotto sulla situazione politica interna del basket italiano, ogni accenno al personaggio di cui si tratta in quanto tale, alle cose che fa, eccetera, perchè anche onestamente non potrebbe fregarmene di meno, ma voglio invece agganciarmi al merito della questione, e cioè su come deve essere trattato il basket da chi lo commenta in TV. Per iniziare una breve confessione: quando ricevo posta o parlo con gente che mi ha ascoltato, o in qualche modo mi ascolta ancora, e che, bontà sua, apprezza il mio modo di fare le telecronache, non c'è complimento che mi lusinghi di più di quando uno mi dice di essersi avvicinato al basket, tralasciando magari qualche altro sport che praticava all'epoca, seguendo le mie telecronache su TV Capodistria. Vero o falso che sia, sia una cosa carina detta in faccia per apparire cortese, mentre in effetti la sua opinione su di me è magari totalmente opposta, la cosa stessa che lo dica mi produce enorme soddisfazione. Per dire che ritengo assolutamente preponderante su qualsiasi altra considerazione il fatto che un telecronista debba essere innanzitutto un ambasciatore dello sport che propone. Tanto più per uno come me che proviene dal mondo del basket, che ama il basket visceralmente, e che vorrebbe che dovunque il basket fosse come in Lituania (o in Slovenia, se è per quello), cioè lo sport nazionale, il primo al quale si dedichi un ragazzo (o ragazza, non bisogna mai dimenticarlo) quando intraprende un'attività agonistica. Anche per questo, penso, le mie pur numerose telecronache in passato di pallavolo non se le ricorda più nessuno, visto che proprio non ho mai potuto trasmettere verso quello sport un amore che assolutamente non ho, considerandolo più o meno alla stregua di quanto faceva Aldo Giordani, che lo chiamava a scelta ''palla avvelenata'', o se era magnanimo, ''palla schiacciata'' (o, come disse un mio amico durante una diatriba con dei pallavolisti: ''tacete voi che l'unico movimento che fate, lo fate per regolamento ad ogni cambio palla''). [Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto"]

Per oggi solo un breve ricordo di Cesare Rubini. Quando si pensa a lui viene spontaneo accettare l'idea di coloro che affermano che l'umanità si divide in due categorie: quelli che sono nati per comandare e quelli che sono nati per obbedire. Che Rubini fosse nato per comandare lo si capiva subito, in modo quasi extrasensoriale, emanava un fluido che ti metteva immediatamente in soggezione e non osavi neanche pensare di contraddire qjuanto andava dicendo, anche se magari non eri del tutto d'accordo. Io ho avuto la fortuna di conoscerlo e di parlarci più volte, anche perchè, lo dico con orgoglio, mi aveva preso in simpatia per le mie telecronache di basket che gli avevano fatto capire che in realtà la mia visione del basket e dello sport in generale coincideva perfettamente con la sua, e che cioè lo sport è fatto come prima cosa da uomini e poi da atleti. Se uno non è uomo non potrà mai essere atleta (o professionista in qualsiasi campo di tutte le possibili attività umane) di vertice. Uno dei momenti che ricorderò con il massimo piacere fu quando Rubini presenziò ad un clinic che si teneva a Cervignano (mi pare), organizzato da Massimo Piubello, nel quale parlai del basket dell'ex Jugoslavia e delle ragioni per le quali era tanto forte, spiegando anche per la prima volta la mia teoria del divertimento che gli spettatori dovevano ricevere dal seguire una partita, per cui i lunghi avevano il divieto assoluto di giocare la palla, visto che le gente aveva pagato il biglietto per vedere i funambolismi dei piccoli. E che proprio per questo i lunghi jugoslavi erano tanto forti, in quanto dovevano sempre dimostrare di essere veri giocatori di basket, malgrado l'handicap (!) di essere tanto lunghi. Quando finii, Rubini mi si avvicinò e con uno dei suoi rari sorrisi mi disse: ''Tavčar, veramente bravo, rimani sempre un grande.'' Detto da Rubini fu il complimento più straordinario che abbia mai ricevuto, tanto che la scena ce l'ho sempre davanti agli occhi anche dopo tanti anni. Memorabile rimarrà anche il momento in cui, incrociatisi in albergo dopo una partita non propriamente easaltante della nazionale italiana a qualche Europeo, quando ne era il manager, mi disse una sola frase per poi non parlare più: ''Tavčar, ma ti rendi conto che questi qui non capiscono proprio un c...!'' (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto") 

Innanzitutto grazie per gli auguri, anche se più passano gli anni, meno uno è ansioso di compierli, per cui più che una festa diventa di anno in anno sempre più una cosa che somiglia ad una commemorazione con gli amici con cui ti ritrovi a cena che sempre più emettono dettagliati bollettini sui loro acciacchi fisici, cosa che deprime ulteriormente la già dimessa atmosfera del convivio. Comunque una delle mie massime preferite (mia, nel senso che se l'ha già detta qualcun altro prima, non ne sono a conoscenza) è che l'umanità si divide in due categorie: fra chi nasce vecchio e chi muore giovane. Essendo io nettamente nella seconda categoria ne consegue che i compleanni e comunque tutte le feste altro non sono che date del calendario.

Sull'ultimo tiro dell'Olimpija contro il Barcellona devo dire innanzitutto che con la bagarre televisiva di questi ultimi tempi non ho trovato modo di seguire la partita in diretta in TV, né nella mia incapacità sono riuscito a trovare su Internet qualcuno che la trasmettesse gratis (mio fratello invece, che è un mago, nel senso che lo fa per professione, l'ha vista su uno strano sito che è riuscito a scovare da qualche parte, per cui quello che so della partita me l'ha detto lui), per cui seguivo gli aggiornamenti del risultato con l'idea di guardare la differita su Sportitalia, idea che ho ovviamente abbandonato quando ho saputo del risultato e di come è maturato. Ho visto poi però i highlights ed ho seguito le interviste postpartita. I giocatori dell'Olimpija sembrano sinceri, perché lo svolgimento dell'ultima azione sembrerebbe confermarlo, quando affermano che la decisione di giocare un isolamento per l'1 contro 1 di Gregory fosse stata concordata durante l'ultimo timeout. E tutto sommato non è stato un pessimo tiro. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto").

Devo essere sincero: ogni qualvolta tratto gli argomenti che mi stanno a cuore, il responso in termini di quantità di commenti è molto basso. Ora le ragioni possono essere due: o il mio ragionamento è talmente perfetto ed inconfutabile per cui nessuno ha nulla da dire, eventualità che malgrado la mia autostima reputo praticamente impossibile, oppure dei problemi dei vivai, dell'attività giovanile, della formazione di nuovi giocatori a nessuno frega niente, eventualità questa che devo presumere sia quella esatta, cosa che mi angoscia non poco, perchè mi fa supporre che in Italia il basket sia a questo punto in stato praticamente agonizzante, se neanche le persone che più dovrebbero essere preoccupate delle sue sorti non si avvedono di quanto in effetti la situazione sia senza speranza.

 

Ed infatti sull'ultimo post i commenti pertinenti sono stati due di numero, ambedue peraltro eccellenti ed entusiasticamente condivisibili, non solo, ma erano anche presi da due punti di vista diversi, cosa ancora più bella, perchè in questo modo si ha una percezione stereoscopica del problema, problema che dunque viene visto da tutte le sue angolazioni.

Spero solo che l'interruzione della discussione sia stata originata dalla ferale notizia della settimana, la morte improvvisa di Pino Brumatti , cosa che ha sviato l'attenzione di tutti anche per la sua enorme carica emotiva. Mi sembra giusto a questo punto aggiungere qualcosa in prima persona sul grande Pino. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto").

Oggi preparavo un servizio da mettere in onda nel nostro magazine Zona sport su TV Capodistria con l'intervista che avevo fatto a Jaka Lakovič quest'estate, quando a Doberdò del Lago, comune della provincia di Gorizia abitato da gente di etnia slovena, località originaria del nonno e dove Jaka ha ancora moltissimi parenti ai quali fa regolarmente visita, essendo molto legato alle sue origini, ha ricevuto la cittadinanza onoraria regalando per l'occasione al paese due canestri per il campetto all'aperto. Ripercorrendo la sua carriera mi ha molto colpito la risposta che mi ha dato alla domanda di quale fu il suo impatto con Želimir Obradović quando approdò al Panathinaikos nove anni fa. Riporto testualmente dalla traduzione della trascrizione:

"Fenomenale, assolutamente fenomenale. Ed anche molto duro. Quando sono arrivato al Panathinaikos ero il secondo miglior marcatore dell'Eurolega (col Krka -N.d.A.), uno dei giocatori con la valutazione più alta, e invece la prima metà della mia prima stagione fu un periodo di puro e semplice apprendistato. Coach Obradović è stato il mio mentore, severo come un secondo padre. Per ogni cosa che facevo subivo un rimprovero, la colpa era sempre mia anche quando l'errore lo facevano gli altri, mi urlava letteralmente per ogni cosa che facevo, e ciò perché voleva che imparassi, che lavorassi per diventare il futuro leader del Panathinaikos, cosa che si è poi verificata già nella seconda stagione. A Obradović sarò eternamente riconoscente, perché lui mi ha dato il sapere cestistico che non acquisisci da solo quando sei giovane, quello che solo un grande allenatore può darti, di insegnarti ad essere il leader di una grande squadra." (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto").