Errori e non errori
- Scritto da Sergio Tavčar
In velocità una specie di post-post, nel senso di integrazione di quello precedente a mo' anche di commento a me stesso. Dice bene Edoardo: parlando di giocatori italiani la discussione è stata molto meno agitata e feroce rispetto a quella che ha coinvolto quelli jugoslavi, cioè esattamente il contrario di quanto mi sarei aspettato. Pochi, almeno dal mio punto di vista, i commenti, ma comunque molto buoni, ad alcuni dei quali vorrei qui ribattere.
Innanzitutto un mea culpa clamoroso. Inutile, pensavo di averli presi in considerazione tutti ed invece alcuni pesci grossi mi sono clamorosamente scappati dal barile. Non entrerebbero nei miei 12, ma comunque nei 20 di sicuro, e parlo ovviamente di Nando Gentile e Pino Brumatti (e dire che dovrei conoscerli – uno ha giocato per anni a Trieste, l'altro è goriziano ed addirittura amico mio!), per cui chi si è scandalizzato perchè li ho lasciati fuori ha perfettamente ragione. Un altro che andava messo nelle honorable mentions è indubbiamente Meo Sacchetti. Ed un altro di cui avrei dovuto parlare, perchè avrebbe potuto essere il più grande e per ragioni strane non lo è stato, è Claudio Malagoli. Fin qua tutti quelli che mi avete criticato, ripeto, avete perfettamente ragione e, se volete continuare a sparare a zero, sappiate che uccidete un uomo morto.
E poi arriviamo su un terreno minato nel quale ci si addentra nel campo dell'ideologia, o peggio ancora, della fede, per cui ragionare sembra impossibile, andando contro convinzioni di principio. No, non mi sono dimenticato di Ricky Pittis, come non mi sono dimenticato di Aldo Ossola. Di quest'ultimo ho parlato in un mio vecchio post e chi ha voglia di rileggerlo potrà capire tutta la mia sconfinata ammirazione nei suoi confronti. Pittis è stato uno dei giocatori più intelligenti del basket italiano, però ha avuto due periodi: quello milanese, dove era pompato come il Kukoč italiano e, diciamocelo francamente, faceva il fighetto segnando i canestri che il divino Mike gli confezionava, e poi quello trevigiano, quando è diventato uno straordinario uomo squadra che però ai miei occhi allevati al basket jugoslavo aveva il peccato originale e non prescindibile in assoluto, non aveva tiro. E, come lo sapete se avete letto il libro, io ragiono alla jugoslava: no tiro, no basket. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto")
Pallacanestro all'italiana
- Scritto da Sergio Tavčar
Ed ora (rullo di tamburi) come promesso ecco a voi, siore e siori, la top list dei migliori giocatori italiani di sempre. Pardon, non ancora. Nel senso che prima bisogna piantare alcuni paletti ben fissi per inquadrare la situazione e sapere di cosa si parla. Mi sembra solo ovvio che per parlare dei migliori giocatori bisogna vedere in quali squadre hanno giocato e cosa queste squadre hanno vinto. Un giocatore di una squadra che non vince non può essere un giocatore da top ten, perchè se no, non so se mi spiego, la sua squadra (dando per scontato che comunque i suoi compagni erano giocatori medio-buoni comunque e non tutti pippe) avrebbe pur vinto qualcosa. Per cui sgombriamo subito il campo e tagliamo immediatamente i giocatori del periodo post finale olimpica di Atene, perchè in effetti non hanno vinto niente, anzi, hanno normalmente perso. Per cui parlare di giocatori di una squadra che nelle qualificazioni europee non riesce a spezzare le reni neanche a Montenegro ed Israele mi sembra grottesco. Con buona pace degli estimatori di Belinelli, Bargnani e Gallinari, loro proprio non li calcolo. Certo, per esempio Gallinari merita un lungo discorso a parte che sarà senz'altro fatto, però per ora, visto che devono ancora dimostrare non qualcosa, ma tutto, non c'entrano nella vignetta.
Ed allora, sempre ragionando in questo modo, bisogna prendere in considerazione le squadre che hanno vinto. Che sono senz'altro le due squadre campioni d'Europa nell'83 e nel '99 e la squadra vicecampionessa olimpica di Atene 2004. Da qui non si scampa. O forse no. Perchè a me, passatista inveterato e recidivo, viene subito in mente ad esempio la squadra che, venendo dal nulla, fu quarta alle Olimpiadi di Roma, ribadendo un ottimo risultato anche quattro anni dopo a Tokio. E ricordare giocatori quali in primissimis Dado Lombardi, Sandro Riminucci, Gianfranco Pieri, e poi ancora Zorzi, Cescutti, Gavagnin, Maggetti, il grandissimo Nane Vianello mi sembra doveroso. Però purtroppo per loro vale il discorso fatto nel precedente post per i grandissimi jugoslavi della prima era. Si giocava un altro basket e dunque, ferma restando tutta la mia sconfinata ammirazione per loro, devo per forza soprassedere. Lo faccio con la morte nel cuore perchè a me sta particolarmente caro il periodo pre anni settanta, in sintesi l'era di coach Nello Paratore prima dell'avvento del basket organizzato filocollege di Giancarlo Primo che poi con Sandro Gamba ha caratterizzato tutto il lunghissimo periodo successivo. Chi mi legge con continuità avrà anche capito il perchè: perchè l'Italia all'epoca giocava all'italiana, creativo casino disorganizzato della serie vediamo se riusciamo ad inventare qualcosa, giocava cioè come è connaturato all'indole degli italiani e sono convinto che se solo quest'attitudine fosse stata coltivata nel tempo semplicemente moderandone gli eccessi casinisti e dando un'organizzazione di gioco discreta, ma non invasiva né castrante delle innate doti geniali delle genti italiane, il basket italiano non so se avrebbe ottenuto di più, ma quanto ci saremmo divertiti ad andarlo a vedere. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto").
I magnifici sette
- Scritto da Sergio Tavčar
Prendo spunto dalla posta di un fedele lettore per cominciare una serie di post dedicati al giochino che sembra tanto attrarre gli appassionati, cioè quello di fare delle top list di ogni possibile cosa, in questo caso di giocatori della storia del basket. Metto subito le mani avanti: questo tipo di giochini mi riesce sempre molto antipatico perchè esclude quello che secondo me, al di là della valutazione soggettiva che è di per sè fallace, è l'elemento fondamentale di ogni classifica, che è il contesto sia sociale che soprattutto temporale. Però in effetti è un giochino a cui è difficile sottrarsi, per cui ci si può anche provare, se non altro per stimolare una riflessione ed anche per alimentare le classiche dispute inutili e stupide da Bar sport che girano attorno a se stesse come una vite senza fine nella quale ognuno ha contemporaneamente sia ragione che torto.
Comincio con l'argomento a me più familiare e cioè la classifica all time dei giocatori jugoslavi, se non altro per scaldare un po' i motori in vista del pezzo forte, quello che sono sicuro scatenerà tutte le reazioni possibili di ogni tipo e genere, dal cinico all'appassionato, dal tecnico all'emotivo, della classifica all time dei giocatori italiani.
L'inizio è facile. Basta andare su questo stesso sito all'intervista rilasciata tre anni fa a Porto San Giorgio al collega Luca Maggitti per sapere su come la penso sui primi tre. Che sono stati: il più bel giocatore che io mai abbia visto in Jugoslavia, quello che sarei andato a vedere sempre, a prescindere, e cioè Mirza Delibašić, il più grande di tutti, quello che ha cambiato il modo di intendere il basket in Jugoslavia, Krešimir Ćosić, ed ovviamente il giocatore che più ha scatenato la fantasia di tantissimi appassionati prima in Europa e poi anche in America, il Mozart dei canestri Dražen Petrović. Almeno per me questi tre sono cementati sul podio e nessuno me li potrà togliere.
Poi c'è il gruppo dei "secundi inter pares" che sono più o meno mezzo scalino sotto i primi tre. Il primo di questi secondi (scusate) è quello che secondo me avrebbe potuto essere il più grande di tutti, ma che per mia somma delusione non lo è stato, parlo di Toni Kukoč. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto")
L'infranto sogno americano
- Scritto da Sergio Tavcar
E' cominciata la fase precampionato – a dire il vero sono gia' cominciati i campionati minori, cosa che a me, ma certamente non a voi, interessa infinitamente di piu', visto il mio coinvolgimento nelle vicende della Falconstar di B-2 e dello Jadran in C-1 – che come gia' da qualche anno a questa parte vede le squadre dell'NBA in Tour turistico promozionale in Europa con la gente che si svena per andare a vedere insulse esibizioni che col vero basket proprio nulla hanno a che fare. Pero' non saro' certo io, di professione giornalista, a minimizzare l' impatto, appunto, promozionale, che comunque serve sempre, anzi e' piu' che ben accetto. Quando parla pero' il coach che mi sento ancora di essere, allora chiaramente la situazione e' da voltastomaco puro.
La qual cosa mi porta inevitabilmente a ripensare alla mia attitudine attuale nei confronti del basket americano e di fare un ampio esame di coscienza per tentare di capire le ragioni, e quanto possano essere tanto comprensibili che giustificate, del mio totale rigetto nei confronti di tutto quanto sa di NBA. Alla fine, gira e rigira, arrivo all'inevitabile conclusione che si tratta della classica reazione dell'amante tradito. Per uno come me che, come dicono poeticamente in Slovenia, ha gia' appeso sei croci all'albero della vita, quando ho iniziato ad amare il basket gli Stati Uniti erano il Paradiso irraggiungibile, il posto dove abitavano i marziani, dove il mio sport raggiungeva vette di quasi platonica perfezione. Ed in effetti era cosi': non dimentichero' mai, quando ancora giocavo, le due partite che giocammo contro l'equipaggio della portaerei Forrestal ormeggiata nel porto di Trieste. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto")
Time out
- Scritto da Sergio Tavčar
Non so come ringraziarvi per la vostra assiduità nel leggere queste mie note e riflessioni e spero vivamente di essere riuscito a suscitare l'interesse che volevo nei confronti di temi che ritengo essenziali per apprezzare sempre più questo nostro gioco che continuo, malgrado tutto, a ritenere il più bel gioco (ripeto, sottolineo gioco) di squadra che mai sia stato inventato. Spero dunque che nel futuro continuerete a seguirmi anche per alimentare quei vivaci dibattiti fra di voi che seguo con estremo interesse con la birichina consapevolezza di essere stato quello che ha lanciato il sasso e poi nascosto il braccio.
Sì, parlo del futuro perché adesso per un paio di settimane sia io che il mio "administrator" Tommaso ci prendiamo un po' di pausa. Dal canto mio sarò occupato sia per una serie di presentazioni del mio libro che avverranno a Trieste e Gorizia (se qualcuno del vicinato sarà interessato tutti i dati saranno puntualmente riferiti sul sito) che per le prosaiche necessità del lavoro che malgrado tutto mi ostino a fare ancora.
Presentazione del libro a Trieste
- Scritto da Administrator
Sergio Tavčar presenterà il suo libro "La Jugoslavia, il basket e un telecronista - La storia della pallacanestro jugoslava raccontata dalla voce di Telecapodistria" giovedì 23 settembre alle ore 19 al Campo Primo Maggio, in Strada della Guardiella 7 a Trieste. L'evento è organizzato in collaborazione con l'Unione Sportiva Bor. L’autore ed il libro saranno introdotti dal presidente dell’US Bor, Igor Kocijančič. Seguirà un dibattito libero anche su temi non necessariamente inerenti al basket. Per informazioni Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.. Si tratta della seconda presentazione del libro dopo quella tenuta a Staranzano ad inizio settembre.
In difesa dell'attacco
- Scritto da Sergio Tavčar
Vi capita mai l'impressione di parlare con un muro? Di essere cioè alle prese con gente che conferma in pieno il detto che non c'è sordo peggiore di quello che non vuol sentire? Ebbene, a me sta capitando proprio in questi giorni in merito alla famosa diatriba sull'attacco e la difesa. Allora chiarisco una volta per tutte il mio pensiero sull'argomento e, giuro, non vi ritornerò più neanche sotto tortura. Non potrebbe smuovermi neanche la minaccia di costringermi a vedere per intero una partita di regular season dell'NBA. Per dire.
Allora chiariamo subito. Ho fatto l'allenatore per più di 20 anni, dal minibasket ad una puntata in Serie D (anni '70, roba forte, tipo C-1 di adesso) e sarei un perfetto imbecille se non sapessi che senza difesa non c'è basket vincente. La cosa mi pare talmente ovvia che non mi sembrava neanche bisogno di menzionarlo. Il mio punto è perfettamente un altro ed è qui mi sembra di trovarmi di fronte ad un muro di incomunicabilità totalmente invalicabile.
Chissà, forse partendo da molto lontano riesco a farmi capire. Allora: cos'è che spingeva a suo tempo un bambino a prendere all'oratorio in mano un pallone da basket? (Oggigiorno c'è il minibasket al quale i bambini vengono spinti a viva forza, dunque il discorso cade – già questo sarebbe altamente significativo del fatto che il basket italiano è impiantato su basi perverse – ma lasciamo stare). Lo prendeva per darlo ad un compagno di giochi dicendogli: "Dai prova a fare canestro che ti mostro come te lo impedirò?" Oppure tentava di buttarlo nel canestro lui provando soddisfazione intensa quando ci riusciva? Parlo per esperienza personale: mia mamma era maestra di ricreatorio, straordinaria invenzione triestina per i bambini, e mi ricordo ancora, avrò avuto cinque o sei anni, il momento in cui, avendomi una volta portato con sé visto che non aveva dove lasciarmi, riuscii per la prima volta nell'impresa di fare canestro. Provai una gioia immensa e gratificante al massimo. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto")
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