Visto che venerdì sono a Venezia dove alle 19,00 facciamo una rimpatriata col mio vecchio "collega" Dan Peterson (e dove spero di vendere qualche libro...) butto giù oggi qualcosa nel senso che apro due fronti di discussione da ampliare poi in futuro anche in base ai riscontri di interesse.

Primo: il problema bianchi-neri che è talmente spinoso che nessuno vuole affrontarlo per non essere tacciato di razzismo appena dice qualcosa che non sia il solito trito stereotipo. A mo' di introduzione parto da molto lontano col preciso intento di porre un punto di origine in questa discussione. Origine nel senso matematico, il punto imprescindibile che definisce un sistema di coordinate, sia esso cartesiano o radiale. Io sono triestino di etnia slovena. Gli sloveni, uno dei popoli slavi, arrivarono nelle mie terre nel sesto secolo ed essendo popolo di pastori e contadini originario da regioni paludose dietro i Carpazi, non avevano la più pallida idea di cosa fosse il mare e dunque lo temevano. Si insediarono pertanto nell'entroterra, rimasto devastato dal crollo dell'Impero romano e dalle invasioni barbariche, colonizzandolo senza problemi visto che nessuno aveva interesse a quelle terre. Sul mare rimasero così indisturbate le popolazioni antecedenti, di lingua e cultura latina che poi naturalmente divennero italiane di lingua e sentimenti. Nei secoli dunque la divisione etnica portò inevitabilmente ad una parallela divisione economica. Nelle città in riva al mare, da Trieste fino a Pola su tutta la costa occidentale dell'Istria, si sviluppò una borghesia fondata sull'industria marina e sui commerci, mentre nell'entroterra slavo la gente rimase ancorata alla terra.  (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto").

DAL SITO REYER.IT

Zapping Tv negli anni d'oro del basket italiano: tra campioni stranieri  e storia della Reyer. Venerdì 26 novembre ore 19.00 - Urban Space – via Portenari 21/23 Marghera (VE)

Dan Peterson e Sergio Tavcar, le due icone delle telecronache di basket in Tv, saranno i protagonisti del dibattito, moderato dal giornalista Massimo Foscato, sugli anni d'oro del basket italiano: tra campioni stranieri e storia della Reyer. Il dibattito (ad ingresso libero), organizzato dall'Associazione Culturale Costantino Reyer con il patrocinio della società Reyer, sarà preceduto alle ore 18.00 dalla presentazione dell'Associazione stessa con la presenza di ex giocatori. L'Associazione nasce dall'idea di un gruppo di appassionati che a vario titolo si propongono di organizzare una serie di attività aggregative sull'argomento Reyer quale simbolo sportivo della città metropolitana. Un modo per rinsaldare quanto più possibile il legame tra la storia, anche attraverso il coinvolgimento di ex atleti, e il futuro orogranata, con particolare riferimento alla divulgazione verso i più giovani. Nell'occasione del 26 novembre i soci fondatori saranno lieti di raccogliere l'adesione di quanti vorranno entrare a far parte dell'Associazione. Coloro che si iscriveranno riceveranno in omaggio la copia in Dvd dell'indimenticabile finale play off del 1996 tra Reyer e Rimini. L'evento si concluderà con una cena per tutti coloro che vorranno proseguire la discussione tra aneddoti cestistici, ricordi reyerini e cultura sportiva. Per ulteriori informazioni e prenotazioni alla cena contattare i referenti dell'Associazione ai numeri 3285877664 oppure 3316016117.

A margine dell'incontro sarà anche possibile acquistare il libro di Sergio Tavčar "La Jugoslavia, il basket e un telecronista".

I knew it...I knew it...come dice un personaggio della "Bella e la bestia". Lo sapevo che prima o poi avrei letto commenti tipo quello di Matteo. In breve per chiarire un equivoco: questo sito si chiama "sergiotavcar.com" ed in esso vi scrive il sottoscritto. Il che significa che esprime le sue opinioni. Se poi alcuni sono d'accordo, leggono, se non sono d'accordo, vanno da qualche altra parte. Tutto qua. Qui nessuno è Dio, ma vivaddio, viviamo in democrazia e penso che ognuno possa esprimersi. Come per la TV: se il programma non mi piace, esiste sempre il telecomando o cambio canale. Se poi i miei vaniloqui vanno su qualche altro sito o sono argomento di qualche altro forum, non è certamente colpa mia. Evidentemente qualcuno li trova interessanti, altri li trovano provocatori, altri ancora fuori di testa. D'accordo, non c'è problema. Non ditelo a me che trovo assolutamente demenziali tantissimi altri forum. Però una volta che ho letto di cosa trattano, cambio canale e non mi passa neanche per l'anticamera del cervello di intervenirvi, perché interloquire con gente che tenta di convincermi che il sole è verde e che vive su un altro pianeta rispetto al mio più che stupido mi sembra inutile. Il mondo è abbastanza grande per tutti e tutte le opinioni sono legittime. Se pensate che sia un presuntuoso imbecille cambiate sito, ma non venite a casa mia non invitati a dire che faccio schifo. Sarà anche vero, ma come sanno i frequentatori di queste pagine, le mie convinzioni sono ferree e non saranno certamente commenti pseudocanzonatori basati sul nulla a farmi cambiare opinione.

Ancora a Stefano sulla volpe e l'uva: se voglio vedere correre i 100 in 9 e 6 guardo Usain Bolt, se voglio vedere pallacanestro vado a vedere Bodiroga. Se voglio vedere la Pellegrini non vado a vedere il nuoto sincronizzato. Se voglio vedere lo short track non vado a vedere il pattinaggio artistico. E se voglio vedere prodezze atletiche non vado ad un torneo di scacchi. E allora? Sono perverso?

Basta. Mi ero ripromesso più volte di non parlare più dell'NBA, ma ci ricasco sempre. Forse è più forte di me. E allora vi racconto una favola, quasi un apologo che significa tantissimo per me e che sintetizza il modo in cui io concepisco il basket.  (Per continuare a leggere, clicca sotto su "leggi tutto")

Colgo la palla al balzo prendendo spunto dagli ultimi commenti sul mio post precedente per dire anche la mia, di opinione, sull'argomento (sono o non sono il padrone di casa? Avrò diritto di dire la mia?).

Perchè Bargnani, Belinelli e Gallinari sono andati nell'NBA? Sembra una domanda stupida, però è probabilmente la domanda del secolo. Già, dannazione, perchè? Chi glielo ha fatto fare? I soldi? Ad occhio ed ad un tanto al chilo non vedo altre spiegazioni. Mi rifiuto di pensare che se uno ha solo un milligrammo di cervello e vede le cose con i propri occhi e non con quelli degli altri non riesca a vedere che andare a giocare nell'NBA sia oggigiorno più o meno equivalente alla morte tecnica di un giocatore di basket. Tutto quello che ha imparato in Europa lì deve dimenticarlo. Deve semplicemente mettere su fisico, saltare e correre, perchè da sport di squadra nell'NBA il gioco è diventato un enorme 1 contro 1 giocato da gruppi di persone che per regolamento sono cinque per parte, per cui la difesa per esempio è un elementare tenere il proprio uomo. Se lo si tiene va bene, se no quello che se ne va, va a canestro. Con la conseguenza che le varianti tattiche di dargli un lato, spingerlo verso una determinata zona del campo dove ci saranno gli aiuti, eccetera, tutte le varianti difensive (parliamo tanto dell'attacco troglodita che si usa nell'NBA, ma per la difesa vale lo stesso discorso) normali per un gioco di squadra come il basket dovrebbe essere se ne vanno a farsi benedire. E dunque se hai fisico giochi, se no non giochi. Se sai giocare, se vedi il gioco, se trovi la lettura giusta per scardinare la difesa avversaria (pensata come difesa "europea", 5 contro 5) coinvolgendo questo compagno invece che quest'altro, se sai scegliere l'opzione giusta in un dato momento, tutto questo laggiù non conta. Corri? Salti? Bene. Non corri? Non salti? Ed allora tutti, compreso quella pippa allucinante che giocava a Roma, Brandon Jennings mi sembra si chiamasse, ti vanno via e tu fai una figura del piffero. (Per continuare a leggere, clicca sotto su "leggi tutto")

Supponevo che il mio ultimo post avrebbe scatenato tutta una serie di reazioni fra le più disparate, in quanto l'argomento si prestava, e non sono stato deluso. A questo punto però vorrei un momento intromettermi, in quanto mi sembra che sia necessario un po' correggere la rotta, avendo la discussione imboccato secondo me un vicolo cieco.Ho molto apprezzato l'ultimo intervento, anche molto lirico e sentito, di Julius6 col quale è impossibile non essere perfettamente d'accordo. Il problema è però che nel mio post non intendevo assolutamente parlare di "cosa" e "quanto" dire durante una telecronaca, ma di "quando" farlo. Il mio discorso era puramente tecnico ed era, lo ammetto, un discorso con uno scopo un tantino trasversale della serie parlo alla suocera perchè nuora (leggi altri addetti del microfono) capisca. Sui dati, sugli aneddoti, sul modo di presentare le cose, tutto giusto. Essendo poi questione di gusti il discorso si complica ulteriormente perchè è assolutamente impossibile piacere a tutti. È un'eventualità esclusa da qualsiasi basilare calcolo probabilistico. L'importante da questo punto di vista è di essere sinceri nelle proprie opinioni, di non essere al soldo di nessuno, di dire sempre le cose che si pensano, poi come si riesce a farlo è tutto un altro paio di maniche. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto")

Premessa: ogni commento della serie "pensa per te" oppure "da che pulpito viene la predica" è totalmente superfluo, nel senso che lo do per scontato. La gente non mi crede quando dico che in 40 anni di carriera sono state ben poche le volte nelle quali ho guardato la differita di una partita da me commentata. E quando l'ho fatto bastano le dita di una mano per contare le volte nelle quali alla fine mi son detto: "Beh, non è stata male come telecronaca". Il più delle volte cambio canale bofonchiando cose tipo: "ma cosa dice 'sto qua", senza rendermi conto di essere io lo 'sto qua. Non è vezzo. Potete credermi. Il mio senso di autocritica è tale per cui qualsiasi cosa possiate dire è impossibile sia peggio di quanto penso io di me stesso. Una cosa è però vera: fare quasi 40 anni di telecronache mi ha portato tantissime volte a pensare ed a tentare di analizzare il mestiere che faccio, per cui quanto sto per dire è frutto di lunghissime e sofferte riflessioni. Ripeto: totalmente indipendenti da fattori soggettivi. La mia tesi è molto semplice: in Italia la razza dei telecronisti è una razza ormai estinta. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto")

Subito un commento ai commenti: è solo ovvio che lo sfogo di Wf2 mi trovi entusiasticamente d'accordo e che rispetti esattamente il mio pensiero. Facendo il verso: sarà l'età...

Continuando a ragionare sul problema e per offrire alla riflessione altri argomenti vorrei ragionare un po' sul perchè, come diceva più che giustamente il succitato commentatore, i giocatori di adesso per imparare qualcosa si rivolgano agli allenatori di "allora". Forse che allora erano più intelligenti? (Oddio...) no, onestamente non lo credo. Ricorderete che tempo fa Alessandro Baricco scrisse un romanzo a puntate sulla Repubblica sui nuovi barbari. Temo che, andando alla radice, il problema stia proprio qui, nello spirito dei nuovi tempi. Nel senso che oggigiorno l'approfondimento più che essere trascurato, proprio non si sa cosa sia. Bisogna sapere un po' di tutto, senza che si senta la necessità di andare al fondo, a capire nell'essenza le cose come stanno. Ora che l'insegnamento del basket in una prima fase forse è meglio che sia di tipo globale, cioè che si parta dall'insieme per poi affrontare analiticamente i singoli segmenti, è probabilmente vero. In me rimane vivo il ricordo delle due tipiche scuole triestine di quando iniziai io: quella della Ginnastica triestina che partiva letteralmente dalle aste e filetti per arrivare a snervanti ed interminabili sessioni di meccaniche ripetizioni dello stesso gesto, una volta imparato il quale si passava alla fase successiva, e dunque c'era una costruzione progressiva dalle fondamenta all'edificio intero, e la scuola dei Ricreatori (praticamente oratori laici, gestiti dal comune) e del Don Bosco (oratorio questo vero, gestito dai salesiani) dove per forza si cominciava dall'assieme, cioè dalle partitelle, per poi passare alla scomposizione del gioco nei segmenti di base lavorandovi in modo parallelo senza privilegiarne uni rispetto ad altri. Ambedue i metodi avevano i loro lati positivi: i giocatori della Ginnastica erano tutti veri e propri manuali del basket, ma leggermente freddi ed impersonali, quelli dell'altra scuola invece più creativi, capivano sicuramente più il gioco, ma tecnicamente non reggevano (anche se di molto poco) il confronto. Per attitudine personale apprezzavo molto di più il secondo sistema, anche se so benissimo che si tratta di gusti. L'importante è, come in ogni cosa, che si sappia cosa si voglia, e la si persegua con costanza e coerenza. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto")