Sembra che abbia vinto Oklahoma. Ne parlerete alla sconvenscion e io starò ad ascoltarvi, in quanto di queste finali non so nulla, per cui, qualsiasi cosa dicessi, sarebbe inventata. E in merito alla sconvenscion, per chi non ci fosse ancora stato, per arrivare all’agriturismo Zaglia basta uscire al casello di Latisana, prendere per qualche centinaio di metri la direzione Lignano e poi scendere dal cavalcavia sulla vecchia statale Trieste-Venezia in direzione Trieste. Dopo non più di circa 200 metri c’è sulla destra l’ingresso all’agriturismo, la cui insegna si vede benissimo dalla strada. Avvertenza: questa settimana sono finite le scuole in quasi tutta l’Europa continentale, per cui ci si aspetta il solito assalto degli Gnocchi (per voi italiani crucchi) verso le spiagge di Lignano e consimili. Se volete essere sicuri vi consiglio, voi che venite dall’Italia, di uscire al casello prima a Portogruaro e prendere la direzione verso Trieste sulla vecchia statale, attraversare Latisana e arrivare senza problemi e soprattutto senza sconvolgimenti nervosi. Come sempre arrivo in tarda mattinata e inizio ufficiale dei lavori alle 13,00.

Come avevo già scritto la settimana scorsa sono stato per tre giorni a Rogaška Slatina in Slovenia per la conclusione dell’annata della ŠKL, e anche di questa più che meritoria istituzione ho già parlato, durante la quale ho anche ricevuto un premio alla carriera quale giornalista che ha avuto meriti nel presentare lo sport quale scuola di vita e comportamento. Già la motivazione mi ha molto onorato e in più ho vissuto tre giorni letteralmente di sogno che mi ha appagato e reso felice in tutti i sensi. Basti dire che in tutto questo tempo sono stato sempre a fianco di Ivo Daneu, leggenda del basket sloveno e mio estimatore, che mi ha raccontato tutta una serie di incredibili aneddoti sul basket jugoslavo e europeo degli anni ’60. Fantastica la descrizione del primo impatto vero con il basket americano alle Olimpiadi di Roma, quando a un dato momento contro gli USA di Oscar Robertson, Jerry West, Jerry Lucas, Walt Bellamy e compagnia cantante a un dato momento erano sotto 27 a 0 senza praticamente mai riuscire a passare metà campo. E lì il basket jugoslavo ha capito che era venuto il momento di imparare la lezione e cominciare a fare sul serio se voleva essere competitivo. Tutto questo per dire che non ho avuto modo, per fortuna, di vedere l’ennesima figuraccia della nazionale slovena femminile di basket che, ne ero sicuro, aveva tutte le possibilità di finire senza problemi il girone di Bologna al primo posto. C’era però un ma: il coach era sempre quello che ha fatto perdere alla Slovenia tutte e tre le partite che ha giocato nell’Europeo di casa. Non è che sia un cattivo coach, anzi, come sanno benissimo in Italia, il problema è che non può allenare la Slovenia, perché avrà sempre e comunque la squadra contro. Mi sembra di averne già parlato, ma la teoria che ho sviluppato negli anni per spiegarmi perché sia una cosa totalmente diversa allenare una squadra femminile rispetto a una maschile sta avendo di episodio in episodio sempre più conferme e nessuna smentita, per cui suppongo che sia giusta, perlomeno nelle linee generali. Ripeto per chi non la conoscesse: prendendo in considerazione che la specie umana ha almeno un milione e mezzo di anni di esistenza, che sono un periodo interminabile rispetto al battito di ciglia degli ultimi 7-8000 anni di civiltà uscita dall’ultima glaciazione, mi sembra solo ovvio che nel DNA della nostra specie si siano stratificate esperienze vissute in questo lunghissimo tempo, esperienze che, per quanto ancestrali, sono senza alcun dubbio presenti ancora nei nostri comportamenti. Ho provato a capire come fosse la vita nei lunghissimi millenni nei quali la nostra specie viveva nelle caverne o in capanne primitive e per vivere doveva cacciare animali o coltivare qualcosa nelle vicinanze dei villaggi. E in più doveva difendersi dai continui attacchi di tribù contigue che lottavano per ampliare il proprio territorio. Nel tempo si è ovviamente imposta la soluzione più proficua e logica per ottimizzare il tutto. O, per meglio dire, chi era organizzato nel modo più efficace possibile si inevitabilmente espandeva sopraffacendo le tribù meno organizzate. E quale, secondo logica, doveva essere questa organizzazione? Fermo restando che la parte più importante di ogni comunità sono le donne, perché solo da loro dipende il fine ultimo di ogni specie vivente, quello della conservazione della specie, era solo ovvio che dovevano essere protette da ogni pericolo, mentre i compiti difficili e pericolosi erano affidati agli uomini che erano, e sempre saranno, merce da spendere a buon mercato, visto che il loro compito per la riproduzione si limita a un paio di veloci spruzzi di liquido seminale, per cui, espletato questo compito, la loro esistenza, in termini di conservazione, non ha più alcuna importanza. Per informazioni rivolgersi a formiche e api. In questa ottica mi sembra solo ovvio che ai maschi fossero riservati i compiti più gravosi e pericolosi, cosa che ha fatto sì che diventassero fisicamente molto più forti delle femmine che dovevano espletare tutti altri compiti (per i quali però dovevano essere molto più resistenti, cosa che è sempre stata, sempre sarà, ma in pochi se ne accorgono). E il fatto che gli uomini fossero coloro che andavano a caccia o a combattere i nemici, mentre le donne rimanevano a casa, ha fatto sì che le logiche di gruppo si strutturassero in modi completamente diversi. Per gli uomini era importante essere efficaci in caccia o in battaglia, per cui la loro organizzazione di gruppo si è inevitabilmente evoluta verso una struttura di puro stampo militare, di tipo strettamente piramidale, nella quale comanda il più capace (a guidare il gruppo, attenzione, le sue capacità militari sono secondarie rispetto alle capacità organizzative che prevedono la messa in posizione di ogni elemento del gruppo dove può essere più produttivo in base alle sue capacità fisiche e mentali) con sotto tutta una serie di ufficiali e graduati fino alla truppa. Un’organizzazione insomma nella quale la velocità nel prendere decisioni giuste è fondamentale per ogni possibile successo. E questo tipo di organizzazione è ancora ben presente in ogni gruppo maschile che io abbia mai conosciuto. C’è sempre il leader che alla fine decide, circondato dai suoi luogotenenti ai quali chiede consiglio prima di decidere, mentre gli altri, chi più, chi meno, eseguono. Per le femmine il discorso è totalmente diverso. Rimaste a casa dovevano dividersi i compiti fra quelle che badavano alla prole, o quelle che dovevano cucinare, o quelle che andavano al ruscello a lavare i vestiti, o ancora quelle che andavano in orto a curare le piante e a raccogliere i frutti eccetera. Un’organizzazione dunque per certi versi opposta a quella dei maschi, strutturata su basi strettamente orizzontali con cellule separate, tutte però con compiti ugualmente importanti per la comunità. Perché un’organizzazione del genere possa funzionare è assolutamente fondamentale che ogni cellula abbia la stessa importanza e dignità rispetto a tutte le altre. Ragion per cui il gruppo delle capo-clan, chiamiamole così, deve essere un consesso totalmente paritario senza alcun tipo di prevalenze di un clan rispetto a un altro e qualsiasi cosa, tipo l’interferenza degli uomini, che disturbi questo equilibrio è vista come semplicemente distruttiva. E se, per esempio, in una squadra femminile il coach mostra preferenza verso qualche giocatrice singola, è normale che la stessa giocatrice più tutte quelle che appartengono al suo clan sia la prima a non volere che la cosa accada per rispetto nei confronti di tutti gli altri clan. Ne consegue che il (la) coach di ogni squadra femminile deve obbligatoriamente riconoscere i vari clan nei quali si divide la sua squadra e usare il bilancino di precisione per fare sì che ogni clan si senta ugualmente apprezzato e valorizzato. Nella nazionale slovena è successo l’irreparabile prima del precedente europeo, quando la play della squadra Nika Barić ha postato su Instagram una sua riflessione assolutamente condivisibile nella quale si chiedeva perché fosse arrivato un coach da fuori in sostituzione di Damir Grgić, il bravissimo allenatore di Celje che aveva fra l’altro allevato e poi forgiato quasi l’intera nazionale e a cui le ragazze erano molto legate. Il post della Barić ha sollevato un putiferio, la Federazione l’ha punita mettendola fuori squadra e da lì in poi la Slovenia ha cominciato a giocare sempre peggio. Nell’ottica di quanto detto sopra il fatto che la Federazione, invece di prendere le parti della compagna abbia preso le parti del coach che aveva preteso la sua espulsione dalla squadra, ha creato l’immediato rigetto da parte di tutte le altre ragazze nei confronti del coach. E, sempre nell’ottica che le donne sono fisicamente più deboli e dunque per non farsi picchiare (o anche peggio) dagli uomini devono ingoiare un po’ di tutto facendo finta che tutto vada bene, hanno fatto sia l’altra che questa volta resistenza passiva giocando, guarda caso, una sola partita, quella inutile contro la Serbia. Peccato veramente, perché, ripeto, secondo me la squadra, con una bravissima americana e con la giovane Sivka sempre più sugli scudi, era molto forte e sarebbe potuta arrivare molto lontano. La cosa che però sconvolge, per quanto una leggenda come Peter Vilfan (che ha una nipote molto forte, figlia di Vlatko Ilievski e di sua figlia, che è nel giro della nazionale, dunque è sia parte in causa che informato dei fatti) abbia criticato la Federazione per questo “fracaso” in modo molto veemente, è che la Federazione ha rinnovato la sua fiducia nel coach che dunque continuerà a fare disastri, per cui per il basket sloveno la vedo molto male, e la cosa mi dispiace, perché fra le donne è proprio la nazionale di basket quella potenzialmente più forte, l’unica che potrebbe arrivare molto in alto, ma sarà inevitabilmente prima o poi superata in fatto di risultati da parte della pallamano, della pallavolo e finanche dal calcio. Con inevitabili deleteri effetti a lungo termine.

Per fortuna la settimana è finita su una nota veramente felice. Parlo ovviamente della vittoria nel Giro Baby di Jakob Omrzel con la bellissima ultima tappa a Pinerolo che l’ha visto sorpassare in classifica l’australiano che era in testa grazie alla fuga a due con il norvegese Nordhagen. Mi è sembrato di sognare, vedendo in testa uno biondo in maglia Visma e uno sloveno in maglia bianca. Chissà che i due fra qualche anno non rinnovino il classico duello di questi ultimi anni fra Pogi e Vingegaard. Tutto lascia credere che non possa essere una possibilità tanto remota. Evidentemente ci divertiremo ancora. Per ora posso dire che ambedue mi sono sembrati molto, ma molto forti, anche e soprattutto di testa (“Non sono il secondo Pogačar, sono Jakob Omrzel e quanto farò dipende solo da me”). Del resto uno che vince la Roubaix fra gli juniores e poi, appena ripresosi da un incidente pauroso con giorni di coma, fa quarto al Giro di Slovenia senior e poi vince il Giro Baby proprio scarso non deve essere. Classe 2006, beato lui. Sicuramente ci divertiremo ancora.

Per ora basta. Ci vediamo sabato.