Scusate il larghissimo ritardo, ma è stato dovuto a cause esterne alla buona volontà del sottoscritto. Semplicemente il mio computer è morto di vecchiaia dopo una lunga e penosa malattia che l’ha portato prima alla sparizione del suono, poi all’impossibilità di connettermi ad Internet ed infine è regredito fino al punto da ricordare HAL in Odissea 2001, in quanto ha progressivamente dimenticato di parlare in italiano e l’ultima volta che l’ho acceso si è materializzata l’agghiacciante scritta: “No operating system”. Chiaramente era ovvio che avrei dovuto comprarne un altro e eravamo d’accordo con mio fratello, esperto in materia, che saremmo andati a farlo assieme, ma lui è stato a lungo tempo costretto a casa a causa dei fastidiosissimi effetti del post-Covid. Alla fine siamo riusciti a fare le compere giuste e ora sono finalmente collegato di nuovo al mondo informatico.

A questo punto desidero rivolgere a voi tutti gli auguri di buone feste, facendo come mio papà che diceva sempre quando gli facevano gli auguri: “E allora già che ci siamo anche Buona Pasqua”. Ringrazio ancora una volta tutti per la bella sconvenscion che abbiamo vissuto a Doberdob e ringrazio anche tutti quelli che siete venuti alle mie presentazioni del libro e che avete dimostrato il vostro apprezzamento per i miei sforzi (?).

Passando alle notizie sportive e di basket in particolare devo sicuramente aggiornare le mie impressioni sulle due squadre italiane impegnate in Eurolega. Milano: sicuramente l’acquisto di Mannion ha messo molte cose a posto facendo un po’ d’ordine nelle abbastanza caotiche e incomprensibili gerarchie dell’Armani. In più c’è stato l’uso sempre più frequente di Causeur (di sfuggita, perché nell’azione finale contro l’Olympiacos era in panchina? Non avremmo assistito alla c….a propinata dal duo Bolmaro-Mannion) che con il suo gioco vecchia scuola da play moderno, ma non troppo, cioè con l’ormai dimenticata scuola che prevede che quando uno penetra nell’area avversaria la prima cosa che fa è guardare verso il canestro per vedere se può eventualmente segnare lui, magari con la mano non protesa verso la stoppata avversaria, ha dimostrato ampiamente che, appunto, la vecchia scuola ha sempre ragione. Nel senso che, guarda caso, quando uno si dimostra pericoloso per fare canestro in entrata chissà come fa stringere la difesa (collassare si dice oggi che siamo abituati a parole roboanti che fanno effetto sulla gente) e dunque rende molto più liberi i tiratori sul perimetro che così possono prendere buoni tiri da fuori che, valendo per ragioni misteriose addirittura tre punti, sono particolarmente ricercati. Se poi tira anche chi segna (cioè fondamentalmente sempre Causeur) e non il tiratore sedicente o designato dalla panchina le cose vanno ancora meglio. Un’altra cosa che mi piace di Milano e che pensavo non avrei visto è il fatto, a cui accennavo prima, che a volte le gerarchie in campo sembrano logiche, ma soprattutto assimilate dai giocatori. C’è sempre più Leday che giustamente fa il leader degli avanti, direbbero i rugbisti, Shields sembra non abbia più velleità da salvatore della patria a tutti i costi, gli altri fanno il loro dovere, insomma tutto bene per buona parte della partita, anche se poi ogni tanto vengono a galla le vecchie abitudini e si ripiomba per un periodo nel caos. In generale comunque molto meglio di quanto mi aspettassi a inizio stagione. Oddio, poi c’è il gravissimo buco strutturale dell’assenza del lungo d’ingombro, quello che può limitare i pachidermi avversari, Tavares in primis, ma anche Lessort, Poirier e compagnia cantante, vedi contro l’Olympiacos la fatica fatta per tentare di fermare Fall (e dire che non c’era Milutinov!), soprattutto ora che Nebo sembra spiaggiato (capita a tutti quelli che accettano di prendere la cittadinanza slovena, porta troppa sfiga, vedi anche il povero Tone Randolph che ha dovuto smettere), buco che potrebbe avere gravi conseguenze nella classiche partite dentro o fuori, caratterizzate da difese spasmodiche e braccini anchilosati, e dunque decise da lotte furibonde sotto i tabelloni e di conseguenza da chi raccoglie più rimbalzi  e segna più tiri liberi.

Per quanto riguarda Bologna si potrebbe parafrasare Churchill dicendo che rimane un enigma avvolto nel mistero. Mi interesserebbe molto indagare nella dietrologia che ha portato alle dimissioni di Banchi per capire finalmente cosa sia successo in estate e su quali basi, ma soprattutto per espresso desiderio di chi, sia stata assemblata la squadra che andiamo vedendo da inizio stagione e che, scusate, continua ad avere né capo né coda, nel senso che non si capisce ancora chi dovrebbe fare cosa e quando. A questo punto sembra quasi paradossale che l’assenza di Šengelija e l’avvicendamento al comando in panchina abbia portato un po’ di chiarezza facendo quasi intravedere quali possano essere i veri problemi che gravano sulla squadra. A parte che, e la cosa è molto meno banale di come possa sembrare (ricordate che Napoleone, prima di prendere con sé un generale, chiedeva sempre se fosse fortunato), Ivanović sembra avere molto più culo di Banchi (la botta allucinante di Clyburn con l’azione da quattro punti alla fine della partita con il Baskonia ne è la testimonianza più inoppugnabile), la lezione che penso si possa trarre è che in assenza del perno georgiano la squadra fa a meno di un leader in campo fra i tanti che si arrogano questa prerogativa, per cui un po’ più di ordine si vede. Non so se questo ragionamento sia abbastanza chiaro, ma alla sua base c’è la frase che dicevo sempre ai miei giocatori e che recita: “Un Diaz che comanda da solo è comunque molto meglio di tre Napoleoni messi assieme”.  Senza uno dei sedicenti leader la squadra sembra più compatta con Paiola che ha indubbiamente più spazio e responsabilità, non si pesta i piedi con Cordinier che sembra avere altre mansioni, e inoltre ha meno concorrenza da parte di Hackett che per motivi probabilmente di età e salute sembra avere un po’ intrapreso la via del tramonto, addirittura Tucker a volte sembra incredibilmente non di intralcio. E Clyburn è sì la variabile come sempre impazzita, ma ogni tanto anche lui è utile essendo fondamentalmente un realizzatore (e onestamente molto poco altro), per cui a volte, guarda caso, realizza. Sono contento anche per Polonara che ha più spazio e può essere molto utile, soprattutto se decidesse ogni tanto di sfruttare la sua penetrazione mancina per scoccare qualche gancio da centro area che è un tiro che possiede, ma che per ragioni oscure non usa mai. A questo punto il problema si riproporrà al rientro nel roster di Šengelija. E allora dico a Duško a mo’ degli antichi romani: “Adesso voglio proprio vedere cosa farai. Hic Rhodus, hic salta”.

Passando al basket d’oltreoceano devo per prima cosa citare Dan Peterson. Come più volte detto siamo rimasti in ottimi rapporti e lui mi manda via mail ogni cosa che produce nella sua vulcanica attività con più post giornalieri. A parte il fatto che sono intervenuto un paio di volte per puntualizzare qualche sua leggera imprecisione fattuale nel parlare della storia della musica country (che come tutti voi sapete è un mio preciso pallino), la settimana scorsa ha postato alcuni interessantissimi riferimenti alla stampa americana che si lamenta per la caduta abbastanza vertiginosa degli ascolti delle partite dell’NBA. Silver in realtà nega che ci siano, attribuendo il molto più blando interesse al fatto che l’opinione pubblica era distratta dalla campagna elettorale per l’elezione del Presidente, ma il fatto rimane che molti commentatori si stiano cominciando a chiedere perché ciò succeda. E sembra che addirittura qualcuno stia arrivando alla conclusione che potrebbe essere anche perché il gioco dell’NBA è diventato talmente una sagra del tiro sconsiderato da qualsiasi distanza e basta che la gente sta cominciando a stufarsi. Della serie meglio tardi che mai. Se ci stanno arrivando anche loro allora deve essere veramente lampante che qualcosa sta andando storto. Fra l’altro qualche giorno fa ne parlavo al bar con un mio ex-play (magro, mingherlino – 1.74 di statura -, ma fosforo da esportazione, direbbero i serbi, e micidiale tiratore mancino) che mi ha detto: “Sergio, sbaglierò, ma quando guardo l’NBA ho l’impressione che anch’io potrei segnare ancora adesso una quindicina di punti a partita tirando da fuori, in quanto prima o poi rimarrei comunque solo, visto come non difendono, e dipenderebbe solo da me se segnassi o meno”. Assolutamente impossibile dargli torto, almeno da come la vedo io.

E a questo proposito vorrei ancora una volta parlare di Wembanyama e lo faccio per anticipare e confutare subito quanto sicuramente qualcuno di voi vorrà dire in merito al fatto che segna una caterva di punti e che dunque dimostra che sta facendo indubbi progressi. Ho guardato per Natale la partita che San Antonio ha perso nel finale non mi ricordo neanche contro chi (avevano una maglia bianca) e nella quale ha segnato qualcosa come 42 punti. E potete dire quello che volete, la mia valutazione su di lui non cambia di una virgola. Praticamente ha tirato solo da tre fra i sospiri voluttuosi dei telecronisti che sbavavano sul fatto, assolutamente banale nella sua incontrovertibilità vista la sua statura, su come fosse del tutto immarcabile. Ora, e lo ripeto per l’ennesima volta e lo ripeterò fino a che avrò fiato in corpo, che vedere un mostro del genere, mai apparso prima sulla faccia della terra, un grande atleta normodotato, straordinariamente agile e coordinato, dotato di una mano fatata, e soprattutto alto 224 cm, limitarsi a tirare da tre è uno schiaffo morale che mi lascia sempre basito. Per me è un delitto mortale, perché nella mia concezione una qualsiasi persona, in quello che fa, dovrebbe sempre tendere a raggiungere il massimo possibile e limitarsi a fare un piccolo compitino è il massimo spreco di quello che il destino ti ha riservato al momento della nascita. Ma non è solo questo: nei momenti decisivi della partita c’è stato un canestro in entrata della stella della squadra avversaria a difesa schierata. O per meglio dire a quasi difesa schierata, in quanto Wemba era da tutte altre parti. Se fosse stato lì dove avrebbe dovuto essere, il poveraccio di avversario sarebbe stato stoppato senza pietà dagli smisurati tentacoli del fenomeno francese. E San Antonio avrebbe vinto invece di perdere da stupidi. Ecco, questo è quello che intendo quando affermo, e confermo con assoluta certezza personale, che Wembanyama è e rimarrà sempre un’inguaribile pappamolla. Ora è chiaro che le sue smisurate capacità potenziali prima o poi porteranno San Antonio per forza a fare anche qualche buon risultato, ma la cosa che non si può discutere né confutare è che, proprio per il suo abito mentale che è l’unica cosa che non è assolutamente allenabile, rimarrà nei secoli dei secoli un incompiuto, ma soprattutto, e questa è la cosa sconfortante, un inguaribile perdente.