Letteralmente mi faccio vivo dopo lungo tempo. E’ successo che subito dopo la presentazione del mio nuovo libro al Teatro Miela di Trieste ho avuto un brutto blocco intestinale che mi ha costretto in ospedale per tre giorni e dal quale sono uscito senza subire l’operazione che sembrava necessaria al momento del ricovero. Grazie a Dio sono riuscito ad andare a Pordenone per la presentazione nel palazzetto di Rorai Grande (qualcuno ha notizie di Llandre che pensavo di vedere lì?), per cui le cose stanno andando molto meglio, diciamo del tutto normalmente, anche se sono più o meno costretto a casa a causa di una fastidiosa conseguenza della mia malattia di Crohn, leggi, non so come dire, la necessità di essere più o meno sempre a distanza di sicurezza dalla tazza del bagno.

Ringrazio sia Skuer che il signor Antonio per le belle parole che mi hanno dedicato e sfrutto questo spazio per rispondere alle loro domande. Intanto la curiosità in merito alle telecronache fatte assieme a Dan Peterson. La risposta è: dovrebbero esserci, ma non ne sono sicuro. In breve: all’epoca si registrava tutto su cassette Beta e queste cassette erano tutte in bell’ordine nel nostro archivio. Personalmente mi ricordo che per fare un servizio su Duško Ivanović saccheggiai a piene mani la telecronaca che facemmo con Dan della finale dell’Open di Roma fra Jugoplastika e Denver. Poi però successe la rivoluzione tecnologica del digitale, per cui l’archivio analogico delle cassette Beta venne riversato, purtroppo non tutto, su una specie di gigantesco hard disk situato ancora adesso non so dove, forse è una specie di quelle cose virtuali delle quali non capisco una mazza che sono un po’ qua e un po’ là sparse in giro per l’universo digitale, per cui cosa sia rimasto di visibile di quel periodo non lo so. Bisognerebbe chiedere a Capodistria, ma non sono sicuro che lo sappiano per certo.

Risposta a Skuer: certo che mi sono incavolato forte quando mi hanno sostituito! Ricordo che nell’ ’85, quando fui nominato formalmente capo in redazione eravamo in tre, io, Sandro e Ferdi, per cui era molto facile essere primus inter pares, soprattutto se gli altri erano Sandro, con cui era da più di 20 anni che eravamo praticamente sulla stessa onda telepatica, e il terzo era Ferdi che era tutto contento di non avere impegni formali. Gli altri, fra i quali quello che mi ha fatto le scarpe, sono arrivati dopo, per cui per loro ero il capo e basta, come dovevo essere. E se si vuole parlare di nuove visioni e linfa vitale allora si sottintende che il sottoscritto (all’epoca avevo 55 anni, dunque ero tutt’ altro che rimbambito) fosse fuori dal mondo, incapace di intendere e volere, o comunque più incapace di quelli che lui stesso aveva tirato su. Mi dispiace, ma non lo accetto.

Risposta su Bruno Petrali. Interessante come lui ricordi Nando Martellini, perché la cosa è del tutto parallela rispetto ai miei ricordi su come incontrai per la prima volta Bruno Pizzul. C’era in Jugoslavia nel ’76 la fase finale a quattro dell’Europeo di calcio e le semifinali si giocavano una a Belgrado e una a Zagabria, con la finalina a Zagabria e la finale vera a Belgrado (vinta con il famoso cucchiaio di Panenka dalla Cecoslovacchia). Martellini e Petrali erano le prime voci di Rai e Capodistria, e dunque erano di stanza a Belgrado, mentre Pizzul e io eravamo le seconde voci a Zagabria, per cui come lui ha conosciuto a Belgrado Martellini, così io ho conosciuto a Zagabria Pizzul con il quale ancora adesso c’è un grandissimo rispetto reciproco, oserei direi amicizia. Come dice giustamente Antonio Petrali era un grandissimo appassionato di pugilato come il nostro capo Prijon, per cui dovunque ci fosse qualche meeting di boxe lì c’erano loro due. All’epoca in Jugoslavia la boxe era molto popolare, tanto che si disputava un campionato regolare fra squadre che schieravano i pugili in tutte le categorie dilettantistiche e ovviamente vinceva chi vinceva più match singoli. Il campionato era seguitissimo con pienoni nei palazzetti per i match più importanti. In più c’era ogni anno il torneo del Guanto d’oro che era una specie di campionato jugoslavo individuale. Insomma c’era una grandissima attività che Bruno e Slavko seguivano sempre sul posto. Ricordo che i pugili jugoslavi erano all’epoca molto forti, un paio di nomi, Beneš di Banja Luka o i fratelli Kačar di Novi Sad, con tanto di medaglie olimpiche. Poi arrivò anche il fuoriclasse, nel nome del pugile polesano Mate Parlov, che dopo aver vinto tutto da dilettante passò professionista con grande successo, per cui anche noi trasmettemmo i match da professionista che fece in Jugoslavia, fra i quali mi sembra anche alcuni importanti incontri di difesa del titolo mondiale.

Pallamano. Molto in breve: fino agli inizi degli anni ’90 tutte, ripeto tutte nessuna esclusa, le telecronache di pallamano trasmesse da Capodistria le ha commentate il sottoscritto, a cominciare proprio dalle prime Olimpiadi trasmesse, quelle del 1972, con la trionfale cavalcata della nazionale jugoslava che conquistò l’oro nella prima edizione olimpica del torneo di pallamano maschile della storia dopo la brevissima parentesi della pallamano a 11 che si disputò a Berlino nel ’36 in uno stadio di calcio. Per cui trasmisi anche la partita a cui si riferisce Antonio che vide all’opera una delle squadre di club più forti della storia di questo sport, tutta fatta in casa, il Metaloplastika di Šabac guidato da quel fuoriclasse irripetibile di nome Veselin Vujović

Interessante anche il riferimento a Helsinki ’83 che mi fa venire in mente un episodio raccontatomi da Sandro che fu presente lì sul posto a fare le telecronache supportato in veste di assistente dal nostro capo Slavko Prijon. Come racconto nel libro Prijon aveva un grave difetto fisico: era praticamente privo del braccio sinistro, anche se non del tutto, in quanto dalla spalla gli fuoriuscivano due dita perfettamente funzionanti con le quali faceva veramente di tutto, per cui nessuno si accorgeva di questa menomazione. Peccato che queste dita non gli servirono quando, dopo una serata di allegre libagioni assieme al telecronista di Lubiana, nonché anche lui capo della redazione sportiva della casa madre, Marko Rožman, tornando in albergo scivolò su un cordolo del marciapiede franando sulla spalla sbagliata, quella non protetta, fratturandosi la spalla. Fu ricoverato in ospedale dove gli fu subito ridotta e rimessa a posto la frattura. La cosa curiosa fu che al momento delle dimissioni dall’ospedale arrivò tutto contrito un addetto che spiegò a Prijon che, purtroppo, essendo lui un cittadino straniero, doveva pagare un ticket per il ricovero, altrimenti perfettamente gratis per i cittadini finlandesi. Prijon capì perfettamente la situazione e gli chiese quanto dovesse pagare e quello, sempre con faccia da funerale, gli riferì che la tariffa era di 10 marchi tedeschi (una ventina di euro in valore attuale). Per dire cosa vuol dire un vero welfare state.

Come vedete da questi episodi il libro che ho scritto avrebbe dovuto avere più del doppio di pagine se avessi voluto raccontare veramente tutto, ma non si può avere tutto dalla vita. Più ci penso e più vedo quanto sia stata veramente interessante e piena di imprevisti e avventure la nostra esperienza a Telecapodistria e, guardando indietro, mi permetterete di essere immodestamente orgoglioso di quanto siamo riusciti a fare.

Per finire questo breve intervento un piccolo appunto tecnico che si dovrebbe riferire al basket, ma che, of all things, ho visto fare magistralmente su un campo di calcio. Guardate le reti di Manchester City-Brentford, segnatamente la seconda rete segnata in contropiede da Haaland direttamente sul lungo rilancio del portiere. La belva vichinga scatta molto più velocemente rispetto al difensore che lo marcava, quando gli va oltre gli taglia la strada facendolo rallentare per non tamponarlo (lo dice anche il codice della strada: chi tampona ha sempre torto a prescindere) e poi riaccelera rimanendo solo per segnare con un elegante scavetto sul portiere. Quello che ha fatto, cioè superare l’avversario, poi tagliargli la strada per farlo rallentare e infine riaccelerare era ai tempi antichi un’azione di assoluta routine nel basket e si chiamava autoblocco che si metteva in opera regolarmente dopo un taglio dietro, backdoor si dice oggi. Ora, anche vedendo le Olimpiadi con le difese a uomo soprattutto americane in sciagurato anticipo (ovviamente molto più sciagurato chi poi passava loro la palla in mano e altrettanto sciagurato chi non partiva in backdoor), l’autoblocco avrebbe potuto a mio avviso essere un’arma totale, sempre che qualcuno avesse saputo che esiste e si può fare. Sulla difesa in anticipo scatti dietro, tagli la strada al difensore in recupero, lo lasci dietro, riparti e sei in soprannumero clamoroso. Ovviamente una cosa mai vista in due settimane. E per vederla devo vedere calcio e Haaland. Che vergogna.