Per commentare le Olimpiadi appena finite penso che la cosa migliore sia semplicemente tradurre ancora una volta quanto ho scritto a mo’ di commento finale sul Primorski. Primo, perché penso di aver fatto un buon lavoro, nel senso che ho espresso perfettamente quanto penso veramente e, secondo, perché, dovendo comprimere tutto nel formato di un editoriale sono stato anche sorprendentemente succinto rispetto alla mia classica logorrea. Eccovi dunque:

“Abbiamo archiviato un’altra Olimpiade. Ieri alla fine della cerimonia di chiusura sono stato colto da una deprimente sensazione, pensando al fatto che quella di Parigi è un’altra Olimpiade in meno rispetto a quelle che mi è stato di vedere nella mia vita, e devo confessare che mi si è stretto il cuore.

Per uno come me, che allo sport ha dedicato tutta la sua vita, in quanto fermamente convinto che una corretta interpretazione dell’attività sportiva è una delle cose più nobili che una persona possa fare, perché sviluppa tutto quanto di meglio il nostro animo possa desiderare, l’amicizia, il senso di responsabilità e quello del lavoro di gruppo, la voglia di tentare di arrivare ai propri limiti per vedere quanto si ha in se stessi, ma soprattutto consente per tutta la vita di giocare e con ciò di mantenersi giovane nell’animo, le Olimpiadi sono il massimo di quello che di meglio vuole vedere.

Se omettiamo la constatazione che il basket è stato scadente, questa edizione delle Olimpiadi è stata una delle migliori che abbia mai seguito. Pensate solo a quante guerre e conflitti politici ci sono in questo preciso momento al mondo e confrontate il tutto con quanto avete visto a Parigi. Abbiamo assistito a folle di gente venuta da ogni parte del mondo, di tutti i colori possibili e vestita nei modi più impensabili, che passeggiava tranquilla per le strade di quella che è probabilmente la più bella città del mondo, si salutava e scambiava qualche parola e poi, ognuno con la sua bandiera, andava a sostenere con entusiasmo, ma sempre in modo corretto e rispettoso verso gli avversari, i propri atleti. E gli stessi atleti si rendono sempre più conto della magia dei Giochi, anche e soprattutto i mega professionisti che guadagnano cifre da capogiro nello sport che praticano, che andavano in giro a fare il tifo per atleti della propria nazione che guadagnano in un anno quando loro intascano in una settimana, e poi loro stessi gioivano come bambini quando vincevano. Il pianto di Nole Đoković dopo la conquista dell’ultimo trofeo che non aveva ancora vinto nella sua leggendaria carriera, e ciò all’ultimo tentativo utile, è entrato di diritto nella leggenda dello sport. E’ stato quasi commovente vedere domenica sera gli atleti entrare sul terreno dello stadio di Saint Denis ballando, saltando e cantando, senza problemi nel mischiarsi fra di loro, Nord e Sud Coreani, Palestinesi e Israeliani, tutti insomma, e tutti mostrando fieramente le medaglie vinte. In questa “competizione” hanno sicuramente primeggiato le pallamaniste norvegesi che, chissà per quale miracolo, erano sempre in primo piano, qualsiasi telecamera le inquadrasse.

Se uno guarda alle Olimpiadi in quest’ottica non gli viene neanche lontanamente per l’anticamera del cervello in mente di andare a compulsare il medagliere per vedere chi “ha vinto”. Per me a farlo è solamente qualcuno di mentalità “calcistica”, uno che non riesce a concepire che il vincere o perdere non è tutto quello che conta. Per me hanno vinto tutti quelli che hanno ottenuto il successo della loro carriera, e dunque i quattro ori di Marchand, alieno assoluto, valgono esattamente come il sensazionale argento della mingherlina Nadia Battocletti sui 10000 metri, nei quali si è presa l’incredibile lusso di battere tutte le africane meno una. Voglio dire che ogni medaglia deve essere considerata nel giusto contesto. Quanto un singolo sport è diffuso, chi lo pratica, che prezzo bisogna pagare e quanti sforzi si devono fare per arrivare ai vertici e così via. E se infine consideriamo che l’oro negli sport di squadra vale esattamente quanto la vittoria nei pesi piuma del tae-kwon-do, allora si può facilmente capire perché il medagliere sia solo una curiosità per alcuni e esattamente nulla di più.”

Ecco qua. A chiosa di quanto scrivo nell’ultimo paragrafo ancora una considerazione che per ragioni di spazio non ho potuto inserire nel pezzo. In realtà il medagliere offre anche molto “a peso” il valore del momento delle varie nazioni in campo sportivo. Se uno va a vedere le medaglie vinte dalla Finlandia (nessuna), allora può capire cosa voglio dire. Oppure ancora facendo un’analisi più accorta e selezionata può vedere per esempio che nell’atletica c’è stata una vera e propria rivoluzione. Controllate le medaglie d’oro vinte dall’Etiopia (una, anche se nella maratona) e quelle vinte dal Kenya in campo maschile, confrontatele con le vittorie nelle scorse edizioni e contemporaneamente guardate cosa hanno fatto i bianchi nelle corse sulle lunghe distanze. Poi guardate cosa ha vinto la Giamaica (un oro nel lancio del disco!) e potrete fare un’altra considerazione, ricordando per esempio che nel giavellotto l’oro è andato al Pakistan (primo oro nella storia che non sia nell’hockey su prato), l’argento all’India e il bronzo a Grenada (!) per arrivare di converso alla conclusione che nei lanci si sta verificando una rivoluzione di senso opposto. Insomma, guardando nel medagliere e facendo le giuste considerazioni, qualcosa di interessante si può comunque trovare.

Poi chiaramente ci sono i soliti mestatori che l’unica cosa che vanno a cercare sono le imperfezioni, le cose che non sono andate bene, che perversamente fanno le pulci a tutto quanto di sbagliato c’è stato per arrivare alla demenziale conclusione che sono state pessime Olimpiade organizzate male eccetera, insomma tutte le stronzate da social possibili. Il tutto senza avere neanche lontanamente in mente quanto maledettamente difficile sia organizzare un evento del genere. Ai francesi si può imputare una sola cosa, quella classica: che sono permeati di “grandeur” e che dunque farla sempre e comunque fuori dal vaso è una loro congenita caratteristica alla quale non rimedieranno mai. Non è nella loro natura. Dall’altra parte però questa loro caratteristica fa sì che pensino sempre in grande e che dunque escano da tutti gli schemi precostituiti cercando di inventare qualcosa di nuovo. Per questo personalmente perdono loro senza alcuna difficoltà le lungaggini su e giù per la Senna della cerimonia d’apertura, la scelta di voler fare il nuoto in acque libere in un’acqua putrida con corrente impetuosa, avendo avuto in cambio scenari fantastici, da togliere il fiato, con il culmine ottenuto nelle corse in linea di ciclismo con le salite a Montmartre costeggiando il Sacre Coeur e arrivo sul Pont d’Iena con la Torre Eiffel alle spalle, ma soprattutto con la maratona che si è spinta fino a Versailles e ritorno finendo in uno scenario incomparabile sull’Esplanade des Invalides. A proposito, visto che fino ai tempi di Napoleone Les Invalides erano un ricovero per feriti e invalidi di guerra, non ho potuto fare a meno di pensare che forse hanno voluto l’arrivo lì apposta per sottolineare che la maratona è, appunto, una vera e propria campagna di guerra dalla quale si può uscire anche male.

Parlando di maratona non credo che si possa contestare il fatto che sia la disciplina forse eponima di ogni olimpiade, quella alla quale è legata forse l’idea stessa di resuscitare le Olimpiadi e che tante leggende sportive ha creato nei tempi, da Dorando Pietri a Abebe Bikila, senza contare che per gli italiani la maratona significa anche Gelindo Bordin e Stefano Baldini. Ebbene, mamma Rai è riuscita come culmine del disservizio pubblico a massacrare anche lei. Sabato ho “imprecato” come un ossesso perché avrei voluto vedere e gustarmi la maratona per intero, visti anche i luoghi per i quali passava, e invece sulla Rai è andata in onda in finestre anguste negli intervalli di una trasmissione che era imperniata su interviste e considerazioni trite e ritrite. Purtroppo la TV slovena, giustamente, in quel momento trasmetteva la finale per il terzo e quarto posto della pallamano, finita tragicamente contro la Spagna, mentre guardare su Eurosport è comunque impossibile, dovendosi uno districare fra spezzoni di gara inseriti nel programma pubblicitario. Il brutto di tutto è che intanto su Raisport andava in onda un programma di vecchi filmati olimpici (mi sembra si chiami Perle di sport). Ma è possibile fare per una volta tanto la cosa giusta? E’ così difficile? Si può sperare che in un lontano futuro la programmazione olimpica sia affidata a qualcuno che capisce qualcosa di sport, parlo di sport vero, non di gol estivi e calciomercato (del quale, da tempo immemore, non potrebbe fregarmi di meno, e che invece adesso monopolizza ogni minuto su Sky che è dunque diventata totalmente inguardabile per il sottoscritto)? Mi è venuto da pensare alla risposta che ho dato a una domanda che sarà inserita nel materiale di lancio del mio nuovo libro. Alla domanda su cosa significasse seguire le Olimpiadi per una TV piccola come era Telecapodistria, ho risposto che è stata semplicemente la nostra fortuna, in quanto non avendo necessità di rendere contenta troppa gente potevamo tranquillamente mettere in onda in diretta solo le cose interessanti e confinare la paccottiglia nei sommari di turno. E grazie a questo semplicissimo espediente ci siamo fatti un nome e la gente in Italia ha cominciato a seguirci.

Chiaramente a questo punto suppongo che aspettate che parli di basket. Purtroppo mi toccherà farlo e so già che poi ci saranno discussioni a non finire, per cui procrastino il momento il più a lungo possibile. Per ora soltanto il commento di un mio carissimo amico con cui chiacchieravo l’altro giorno al bar. E’ una di quelle rarissime persone molto intelligenti senza alcuna istruzione formale (è un postino in pensione) che possa condizionarlo, leggi rovinarlo, ma dotato di una grandissima curiosità intellettuale e che soprattutto pensa solo con la sua testa. In più è stato uno sportivo a 360 gradi, dal baseball al calcio, e ha una figlia che giocava a basket. In definitiva l’identikit della persona con la quale adoro discutere. Riporto in dialetto una frase che mi ha detto e che sottoscrivo in pieno a due mani: “Ciò, Sergio, ma cossa te pensi della finale de basket? Go leto che tute e due le squadre ga perso 18 baloni a testa. Se la squadra de mia fia gavessi perso tute quelle bale l’alenador le mandava a casa a pìe! E po’ sto LeBron, el passa la bala drio la schena e trova uno solo che segna e tuti se sbrodola. Dopo el prova altre tre volte la stessa roba e ogni volta el passa la bala a un francese e nissun no disi niente, tanto el highlight i lo ga za!” Nulla da aggiungere se non una standing ovation.