Dopo un lungo consulto con il MC Andrej Vremec abbiamo deciso che il luogo della sconvenscion p.v. il 25, prossimo sabato, si terrà in località Samatorca-Samatorza nel locale agriturismo Žbogar. Si tratta di un luogo molto conosciuto e potrete sapere tutto accedendo al loro sito. Sul sito scrive che si trova a Sgonico, ma è un’informazione inesatta, perché sì, è nel comune di Sgonico, ma in località, appunto, Samatorca, attigua al borgo di Salež-Sales. Non so cosa vi proporrà il vostro navigatore, ma il modo più breve per arrivarci è uscire dall’autostrada a Sistiana, prendere lo svincolo verso Sistiana, allo svincolo girare verso sinistra verso Nabrežina- Aurisina, attraversare il paese, proprio all’uscita dal paese verso Santa Croce prendere verso sinistra il bivio per Šempolaj-San Pelagio, attraversare Šempolaj e Praprot (ricordate Zidarič?) e scendere verso destra sulla provinciale che da Salež porta al confine di Komen-Gorjansko in direzione, appunto, Salež, e, una volta superato l’abitato (in realtà due case) di Trnovca, un chilometro dopo a destra si vede l’insegna del luogo di destinazione. Solito raggruppamento da mezzogiorno in poi con inizio lavori all’ora classica delle 13. Menù a scelta dall’ampia gamma di offerte.
Già che ci sono ancora qualche mia considerazione sull’attualità sportiva. Ieri pomeriggio ho ovviamente goduto per l’impresa di Tadej Pogačar a Livigno, ma quello che mi è piaciuto di più è la storia che c’è dietro a questa vittoria. Se non la sapete ve la racconto. Tornando indietro qualche mese avevo letto nell’intervista fatta a Tadej prima del Giro dalla TV slovena, e nella quale gli avevano chiesto se avesse in mente qualche particolare tappa per lasciare il suo segno, che sì, c’era una tappa che gli stava particolarmente a cuore ed era, appunto, quella di Livigno. Allora aveva detto che era un posto che frequentava abitualmente privatamente e che gli era molto caro, e in più la tappa era perfetta per le sue caratteristiche e che dunque voleva a tutti i costi vincerla. Ieri ha aggiunto un particolare molto importante: quando era al primo anno juniores la Federazione slovena aveva fatto un camp di allenamento per le giovani speranze a Saint Moritz. Da lì un giorno andarono con un furgoncino che stava a malapena assieme proprio a Livigno, zona franca, per fare benzina a buon mercato. E proprio lì riuscì a strappare il suo primo appuntamento con una giovane ciclista, Urša Žigart, quella che adesso è a tutti gli effetti, più che una fidanzata, una compagna di vita a tutti gli effetti, visto che abitano assieme a Montecarlo. Per cui il luogo gli è particolarmente caro. Non è romantico?
Poi di sera ho sofferto per il golf, tirando un grosso sospiro di sollievo quando Xander Schauffele ha imbucato il putt per il birdie all’ultima buca superando di un colpo Bryson DeChambeaux che era, fra tutti i pretendenti alla vittoria, per le ragioni che ho già spiegato in un’altra occasione, l’unico che proprio non volevo vincesse il PGA. E in più mi ha fatto piacere che abbia vinto un giocatore bravo, serio e modesto come Schauffele, primo giocatore nella storia a vincere il suo primo (meritatissimo) major da campione olimpico in carica.
Mentre guardavo il golf ho visto ancora qualcosa di New York-Indiana con i poveri Knicks, sempre più decimati con anche Brunson che si è rotto il braccio durante la partita, spazzati via senza pietà nel solco del famoso verso del maggior poeta sloveno, France Prešeren, diventato proverbiale in Slovenia per definire un’esecuzione di questo tipo: “Ne boj, mesarsko klanje!” – non una battaglia, ma un massacro da macellai. E poi stamattina ho saputo che anche Denver ha perso contro Minnesota, che sarà dunque l’avversaria di Dallas nella finale di Conference. Se qualcuno pensa che abbia gongolato perché Jokić è uscito di scena si sbaglia di grosso. Era solo ovvio che nel finale di partita quelli di Denver stavano in piedi a malapena e dunque, dal punto di vista di Luka Dončić, era forse meglio se in finale Dallas avesse incontrato una squadra di potenziali zombie invece di una squadra altamente motivata che la metterà in severa difficoltà. Personalmente penso che sia una serie che si deciderà sugli episodi, come dicono quelli del calcio, e che può finire in qualsiasi modo, anche se penso che Dallas abbia tutto il potenziale per poter vincere, l’importante sarà vedere quanto sia loro costata la fatica fatta contro Oklahoma City, squadra giovane e rognosa che ha picchiato per sei partite a man salva. A proposito: qualcuno si è chiesto come mai la squadra che ha ingaggiato Holmgren sia riuscita a arrivare prima all’Ovest, mentre quella che ha preso Wembanyama è arrivata ultimissima per distacco? Che sia un caso? Sarà anche magro come un grissino (e infatti Lively, grandissima scelta di Dallas, l’ha fatto a pezzi fisicamente), sarà che tira da tre alla pene di segugio senza che nessuno lo prenda a calci nel sedere (ma ormai lo fanno purtroppo tutti), ma il ragazzo è uno che si fa vedere per le conclusioni da sotto su scarico (e infatti, se il pur straordinario Shai non avesse fatto quel fallo idiota sull’ultimo tiro, avrebbe segnato in questo modo il canestro della vittoria), che quando ha la palla guarda subito il canestro invece di guardare in giro come fa Wemba e, se può, penetra anche in palleggio (e dal punto di vista del trattamento di palla in velocità non vedo proprio cosa debba invidiare a Wembanyama), sa passare all’uomo giusto, è insomma un vero giocatore di basket e non un ninnolo da salotto, buono solo per i highlights. Secondo me è uno che, lui sì lavorando bene dal punto di vista fisico e anche da quello mentale (il tiro da tre se lo tenga per le conclusioni a fine azione e non all’inizio), potrà spostare molti equilibri e diventare un vero uomo franchigia.
Tornando a Jokić un piccolo aneddoto personale. L’altra settimana ero dal dentista e lì ho casualmente incontrato in sala aspetto un mio ex giocatore che non vedevo da tantissimi anni, visto che fa il primario ospedaliero a Rovereto. Ovviamente il discorso è subito caduto sul basket e lui mi fa, assolutamente non provocato: “Ma Sergio, guardi ancora l’NBA? Io proprio non ci riesco. Ma ti rendi conto! Uno come Jokić, che non corre e non salta, solo sapendo giocare a basket fa la figura dell’assoluto fenomeno in quella congrega di totali imbecilli. Basta questo per dire che livello c’è!” Ieri ero per strada e incrocio un altro mio ex giocatore, fra l’altro anche appassionato di ciclismo e ovviamente abbiamo avuto modo di parlare di Pogačar, a passeggio col cane. Passiamo al basket e anche lui, per primissima cosa, mi fa quasi parola per parola lo stesso discorso su Jokić fattomi dal medico qualche giorno prima. La cosa mi ha fatto molto piacere, perché mi ha confermato in abbondanza come vediamo in modo totalmente identico le cose noi che apparteniamo a quella generazione fortunata che ha visto giocare il vero basket, da ambo le parti dell’Atlantico, sia chiaro. Ripeto sempre che il mio quintetto All-Time è e sempre sarà quello con Magic play, MJ guardia, Larry ala piccola, Bill Russell in post e Jabbar come centro. Di solito quando lo recito la gente mi guarda spaesata e mi dice: “Ma lei non è quello che odia l’NBA?” Sì, certo, ma quella attuale, non certamente quella leggendaria dei grandi campioni appena nominati (e Jerry West, Oscar Robertson o Dr.J dove li mettiamo?). Saremo anche passatisti fuori dal tempo, ma se tutti, ripeto tutti senza eccezione, vediamo le cose nello stesso identico modo qualche ragione ci sarà. E, paradossalmente, proprio Jokić dimostra al di là di ogni dubbio che la famosa storia che oggigiorno il gioco è molto più fisico, e dunque i campioni di una volta farebbero molta più fatica, è la balla più colossale e clamorosa che ci possa essere. Come diceva il mio giocatore il serbo non corre e non salta e nel basket di oggidì non dovrebbe assolutamente nulla da chiedere, eppure non fanno altro (per ragioni a me misteriose) che eleggerlo ogni anno MVP della stagione regolare. Llandre fa una domanda grottesca: dove c’erano in passato giocatori come Jokić con la sua tecnica e visione di gioco? Risposta facile: dietro ogni angolo in ogni campionato europeo, in Jugoslavia, Italia, Spagna, addirittura URSS. Allora se non avevi tecnica e visione di gioco non ti calcolavano proprio. Potevi al più giocare qualche minuto, per il resto il pubblico ti rideva dietro. Tanto per dire, uno come Gobert a quei tempi si sarebbero chiesti perché gioca, visto che oltre a saltare e stoppare di resto sa fare ben poco. Qualche nome? Il primo, il più clamoroso che viene in mente, è ovviamente quello di Krešo Ćosić. La sua seconda stagione a Provo, prima della conversione, fu strabiliante. Sapeva fare molto meglio tutte le cose che sa fare Jokić, anche tirare, perché per lui tirare (e segnare) in sospensione dai sette metri era assolutamente normale, correva due volte più veloce e saltava il doppio. Era molto più magro, questo sì, ma duro come l’acciaio e non lo si spostava così facilmente. A volte mi domando, proprio guardando Jokić, quale sarebbe oggi l’impatto di quel Krešo nell’NBA attuale. Fatta la tara che gli sarebbe molto difficile sintonizzarsi sulle bassissime frequenze mentali medie che oggi infestano l’NBA (comunque Luka dimostra che in qualche modo si può fare), sarebbe totalmente illegale. Un po’ come vale per Luka i punti che segnerebbe sarebbero direttamente correlati alla sua giornata personale al tiro. Comunque non vedo come non potrebbe fare in ogni partita doppia cifra in rimbalzi e assist, visto come si calcolano oggi.
Un altro? Vlade Divac. Anche lui sapeva fare di tutto e più di Jokić. Lasciamo stare quello che fatto in Europa e vediamo nell’NBA. Ricordo che lui è arrivato ai Lakers dove comandava un certo Earvin Johnson e dunque doveva stare buono e calmo e non fare tutto lui come fa Jokić a Denver mettendosi facilmente in mostra. E in più in tutta la carriera ha giocato contro gli americani “veri”, quelli che sapevano ancora giocare benissimo a basket e comunque ha avuto un’eccellente carriera. Anche lui, se giocasse oggi, sono sicuro che farebbe molto di più di quanto fa Jokić. E ancora un terzo nome, quello che, solo avesse avuto un minimo, un epsilon, quantità piccola a piacere, di etica per il lavoro (e di attenzione per la salute personale), sarebbe stato per distacco il miglior giocatore di basket di tutti i tempi, parlo ovviamente di Arvydas Sabonis. Lui è stato il fenomeno della storia forse più irripetibile. Un grandissimo giocatore di basket con mani velocissime e fatate che parevano avessero gli occhi, piedi velocissimi, tiratore eccellente, il tutto racchiuso in uno spropositato fisico di normotipo allargato a 2 metri e 20. Purtroppo la sua vita dissoluta (ricordate che non partecipò alla premiazione a Barcellona per la prima medaglia olimpica della Lituania indipendente? Non erano riusciti a trascinarlo perché era disteso disfatto in corridoio) gli costò, a causa di uno stranissimo incidente occorso a casa sua nella quale si fratturò il tendine d’Achille, tutta la carriera e il Sabonis che poi ha fatto la storia del basket è stato a tutti gli effetti un disabile che si muoveva a stento.
Ce ne sono altri e, se volete, ve ne parlerò alla sconvenscion. Tutto questo per dire semplicemente che nella terra dei ciechi gli orbi sono re e oggi basta saper giocare a basket in modo “normale” per fare figuroni incredibili nell’NBA. Il basket NBA e quello europeo sono due giochi diversi? Certo, perché semplicemente quello dell’NBA è a tutti gli effetti no-basket. Salto in alto con palla? Vorticoso correre senza senso e senza direzione su e giù per il campo sparando ogni tanto a casaccio qualche tiro da tre? Quello che volete, ma per favore non venitemi a parlare di basket.