Pensavo di aver già detto la mia in modo definitivo sulla questione dello sport femminile e di come viene visto e valutato, anche in termini commerciali. Visto che però sono stato tirato in ballo con una mia citazione al tempo molto pertinente al discorso che stavo facendo e che ovviamente difendo con tutte le mie forze, ma che fuori dal contesto è stata completamente fraintesa (Franz, il personaggio che ci capisce poco è esattamente il sottoscritto) penso che devo mettere i puntini sulle i e chiarire e spiegare quale sia esattamente la mia opinione, ma soprattutto quali siano secondo me i punti chiave della questione. Punti che sono, secondo me (a parte, a giudicare dai commenti, Pado e Boki che centrano perfettamente il problema e con i quali sono totalmente d’accordo) non colti dalla maggior parte dei commentatori che si focalizzano su questioni non pertinenti, almeno dal mio punto di vista. Dopo questo pezzo sulla questione taccerò per sempre.
Tutta questa discussione che si è sollevata è secondo me un grande malinteso, nel quale si confondono e paragonano le famose mele e pere. A mio avviso bisogna avere ben chiaro di cosa si discute, se di sport o di spettacolo. E’ una domanda del tutto fondamentale, perché si tratta di due campi, anche filosoficamente, molto diversi se non addirittura opposti.
Parto da una premessa per mettere le cose in chiaro. Devo ringraziare la mia famiglia per il modo nel quale sono stato educato. Già da piccolo mi è stato fatto molto chiaro che le persone si giudicano per quello che sono e assolutamente non per quello che possiedono. Ragion per cui la mentalità prevalente di stampo americano che le persone valgono per quello che guadagnano mi è del tutto estranea e il fatto che uno sia ricco sfondato non mi fa neanche per un momento dubitare del fatto che possa trattarsi di un emerito stronzo, anzi, il fatto che uno ha vissuto per fare soldi trascurando il resto, cioè quello che è veramente importante nella vita, mi fa pensare che proprio di grande stronzo che della vita non ha capito nulla si tratti. Più passano gli anni e più sono convinto che i soldi servano per vivere, ma che non si vive certamente per fare soldi. Questo per capire quale sia il fondamento di ogni mio ragionamento in fatto di guadagni.
Quando si comincia a parlare di emolumenti agli atleti siamo, secondo me, già totalmente nel campo dello spettacolo e dunque di spettacolo bisogna discutere. L’intento fondamentale di ogni spettacolo è ovviamente quello di creare interesse presso la maggior parte della gente e dunque di attirare il massimo numero possibile di spettatori, siano essi presenti fisicamente allo spettacolo, sia che lo guardino sui vari media, sia che poi ne leggano e discutano, magari al bar. Ora, come dice Buck secondo il teorema di Sturgeon che però personalmente ritengo sempre e comunque anche mio, più gente entra più bestie si vedono, secondo un famoso detto circense. E dunque il valore intrinseco dello spettacolo è totalmente irrilevante, per cui quello che si deve proporre è una cosa accattivante, che faccia spettacolo, che ne faccia parlare la maggior parte della gente, che dunque si abbassi, detto brutalmente, al livello culturale normalmente estremamente carente della massima parte della gente che si coinvolge. Bisogna creare personaggi, magari con qualche strana storia alle spalle, di cui la gente si appassioni e ne parli. Cosa questo c’entri con lo sport non lo so. Per me nulla. Per cui, tornando alla mia originale forma mentis, quanto uno guadagna praticando il suo sport è per me totalmente scollegato al suo valore sportivo intrinseco. Come dicono giustamente alcuni amici del blog e con i quali sono totalmente d’accordo normalmente la base di coloro che seguono gli spettacoli (sottolineo spettacoli) sportivi è formata da maschi non certamente delle più alte classi sociali e culturali, per cui per avere successo bisogna soddisfarli nelle loro aspettative. Che sono di solito, secondo la classica mentalità maschile innata e ineludibile, di vedere e di ammirare chi ce l’ha più lungo. Maschi vogliono vedere maschi che combattono battaglie vere e proprie, nelle quali alla fine prevale il più forte (non il più furbo, perché in questo caso vorrebbe dire che il livello di comprensione delle cose della vita sarebbe già nettamente più alto rispetto alla media), e se guardano le donne le valutano secondo i propri valori maschilisti, i famosi stereotipi secondo i quali le donne dovrebbero essere in casa a cucire e rammendare calzini, e se già fanno sport, che evidentemente non è roba per loro (nelle loro convinzioni), allora lo facciano in modo leggiadro, vestite magari succintamente, o se no ancora meglio in modo tale che facciano risvegliare in loro le più basse pulsioni sessuali, tipo la lotta nel fango.
La cosa peggiore però è che la massa che segue gli spettacoli sportivi è talmente incapace di capire le prestazioni sportive che sono alla base dello spettacolo loro proposto che gli imprenditori più smaliziati possono vendere loro impunemente spettacoli palesemente taroccati e fasulli tipo quella allucinante pagliacciata che è il wrestling. Nel quale ci sono personaggi assolutamente ridicoli, tanto sono falsi, che però sono vere e proprie leggende per i gonzi che ne seguono le “gesta” (ampiamente preparate in anticipo) e dunque guadagnano una barca di soldi. Questa deriva è stata colta benissimo dal basket nei fatidici anni ’90 del secolo scorso quando da sport logico per gente intelligente (leggi studenti di college) è diventata basso spettacolo per spettatori di playground. E dunque il gesto spettacolare fine a se stesso è diventato il totem assoluto attorno a cui gira tutto. Non solo, ma la frammentazione dell’informazione elettronica che ha ridotto tutto a clip e twit, ha creato la cultura del highlight prima di tutto il resto. E dunque gente come Wembanyama, che nella vita non vincerà mai nulla, in quanto è per sua natura e per come è stato educato del tutto refrattario a qualsiasi percezione della natura di sport di squadra del basket, sarà uno che farà soldi a palate, che vivrà da nababbo senza dare alla sua squadra qualsiasi tipo di valore aggiunto nel senso di risultato agonistico. Per favore non rispondete a quanto appena scritto. Ne parliamo, sempre che la salute regga, fra una decina di anni. Va bene? Per quanto mi riguarda sono strasicuro di avere ragione.
Lo sport è tutta un’altra cosa e scrivendo su questo blog e parlando con gli amici, quelli veri, io voglio trattare solamente di sport, il che esclude qualsiasi discorso che coinvolga guadagni o fama. Lo sport è competizione, anche dura e a volte spietata essendo una metafora della vita, ma che insegna soprattutto ai giovani che, per quanto dura e crudele possa essere la battaglia verso l’affermazione, essa deve comunque sempre svolgersi entro un insieme di regole ben definite che non possono essere eluse in alcun modo. Nel contempo grazie agli sport di squadra insegna i valori della solidarietà, dell’aiuto reciproco, di quello che si usa dire fare gruppo, insegna insomma quella cosa che è diventata una specie di banale luogo comune, ma che è pur sempre il fulcro di tutto, che è l’unione che fa la forza. Lo scopo primario dello sport è dunque squisitamente educativo, come benissimo sapevano i saggi popoli delle civiltà antiche, quelle che hanno creato il nostro mondo come lo viviamo ancora adesso. Il problema, detto paradossalmente, è che lo sport è anche bello da vedere e seguire, per cui, quando è svolto ai massimi livelli, è qualcosa di molto simile a una forma di arte, dal teatro alla mimica al balletto. E, essendo tutto sommato anche una specie di forma d’arte, per seguirlo bene e apprezzarlo si deve avere alle spalle un’educazione e una pratica sportiva che poca gente possiede in pieno e dunque non è certamente una cosa che possa essere né capita né apprezzata da una massa ineducata, formata da ultras da curva. Lo sport che io giudico e di cui voglio parlare è dunque questo, mi perdonerete, ma lo ritengo una specie di arte di nicchia che può essere apprezzata solamente da un ristretto gruppo di persone. Oddio, sarebbe bellissimo se tutti potessero apprezzarlo, ma per esempio in Italia, paese di cultura sportiva inesistente, non essendoci educazione sportiva nelle scuole, la cosa è assolutamente impossibile. Molto meglio va ovviamente in quei fortunati paesi dove lo sport è una delle basi dell’educazione scolastica e dunque più o meno tutti, maschi e femmine, cosa fondamentale, hanno praticato a scuola qualche sport e dunque sanno discernere e capire quanto stanno vedendo quando seguono una manifestazione sportiva.
Seguendo lo sport in questo modo i valori che propone sono totalmente diversi da quelli che pretende uno spettacolo per le masse incolte. Negli sport individuali si apprezza la maestria tecnica, l’eleganza del gesto da una parte e dall’altra parte si apprezzano le qualità caratteriali e agonistiche dei suoi interpreti. Che comprendono per esempio la capacità di rendere al massimo secondo le proprie qualità, amplificando e sfruttando al massimo i propri lati forti e riuscendo a mascherare nel migliore dei modi quelli deboli. Sempre avendo in mente comunque la necessità di lavorare duramente sulle proprie carenze per eliminarle, prima sapendo bene quali sono e poi sapendo come lavorare per eliminarle. La capacità mentale più importante ed è quella che definisce il fuoriclasse è però quella di saper tirare fuori da sé tutto quello che si possiede nei momenti cruciali della competizione, magari in quella più importante di tutta la stagione. Tanto per dire quanto ho appena scritto sembra la scheda di Jannik Sinner che, guarda caso, è un fuoriclasse, come appena dimostrato, anche dal fatto che non ha nessuna intenzione di andare a fare il pagliaccio a Sanremo. E, postilla, ha dimostrato a Melbourne che il tennis 3 su 5 è tutt’altro sport rispetto a quello 2 su 3, visto che in quest’ultimo caso avrebbe perso la finale 6-3, 6-3 e ora staremmo parlando di un’enorme delusione.
Approcciandosi allo sport in questo modo, che ritengo l’unico per una persona dotata di un minimo di cultura sportiva, le distinzioni fra le prestazioni maschili e femminili sono semplicemente incomprensibili. Trattasi di esseri totalmente diversi in fatto di morfologia fisica, ma dotati delle stesse capacità motorie e soprattutto mentali. Anzi, come dico spesso, da questo punto di vista, anche per tanti esempi del passato, ritengo che le donne, metaforicamente, abbiano spesso e volentieri dimostrato di avere molte più palle rispetto agli uomini. Il che per me è solo normale, visto che, soprattutto in tanti paesi dove dominano retrograde mentalità infarcite da scorie religiose, per emergere hanno dovuto affrontare difficoltà che gli uomini neanche si sognano possano esistere. E dunque se guardo l’atletica è solo ovvio che gente come Duplantis o Ingebrigtsen mi affascina e incanta, ma lo stesso accade per tante donne, tipo la Miller o le gazzelle etiopi nel mezzofondo. E comunque restando nell’atletica il mio idolo all time rimane sempre e comunque Sara Simeoni per le sue incredibili capacità mentali e agonistiche, senza contare la straordinaria pulizia del suo gesto tecnico. Sotomayor ha saltato 2 e 45 e Sara solo 2 e 01? E chi se ne frega! Se rimaniamo nel tennis certo vedere Federer è stato un solluchero assoluto, ma non dimentico certamente Martina Navratilova per il suo insuperabile gioco d’attacco o Justine Henin per il più bel rovescio a una mano della storia del tennis. E ancora calcio. Chiaro Maradona per le sue magie rimarrà indimenticabile (anche se per me per il suo apporto al lavoro di squadra ritengo sempre e comunque Pelè più decisivo), ma il mio idolo indiscusso rimarrà per sempre Johann Cruyff. E così nel basket nessuno può dubitare, e meno di tutti proprio io, che il GOAT indiscusso sia stato Michael Jordan, ma anche qui il mio idolo indiscusso rimarrà nei secoli dei secoli Larry Bird. E, se vogliamo, per l’assoluta stordente magnificenza dei suoi gesti atletici e tecnici, ci metto accanto anche Julius Erving.
Qui, proprio parlando di basket, mi lascio aperta una finestra sul basket femminile di cui scriverò in una prossima occasione proprio prendendo in considerazione quanto appena scritto. Anticipo solo che, sì, guardo molto più volentieri il basket femminile rispetto a quello maschile cercando e trovando in esso risposte a tante domande che mi pongo e che mi portano alla conclusione che proprio grazie alla diversità della morfologia femminile il basket andrebbe insegnato alle ragazze in tutto un altro modo rispetto a quello che prevede lo scimmiottamento stupido di quanto fanno i maschi. Con la conseguenza che il basket femminile è una brutta parodia di quello maschile con inevitabile scarsezza sia tecnica che estetica in generale.
Per finire un’informazione che forse non tutti avete. A metà agosto Goran Dragić giocherà alle Stožice la sua partita d’addio che sarà una grande festa mondiale. Arriveranno dall’NBA sicuramente i tre migliori giocatori europei, Dončić, Adetokunbo e Jokić, e in più ci sarà un’amplissima presenza dei giocatori dei Miami Heat con in testa Jimmy Butler, grande amico personale di Goran. Per non parlare della sicura presenza del suo grande mentore a Phoenix Steve Nash. Si parla anche di presenze di tantissimi grandi giocatori del passato, tipo Kevin McHale e tanti altri. I prezzi dei biglietti saranno ovviamente molto salati con tutto il ricavato che andrà in beneficenza. Per chi è interessato: i biglietti saranno messi in vendita in rete giovedì 15 febbraio con inizio esattamente alle 12 e 37 (perché? Perché i numeri indossati nella sua carriera da Goran sono l’ 1, il 2, il 3 e il 7). Penso che alle 12 e 39 l’asta sarà ben che finita, in quanto l’attesa in Slovenia è assolutamente spasmodica. Se qualcuno vuole provare la fortuna o è un hacker di alto livello, ci provi pure.