Sono assolutamente attonito per il responso che ha suscitato il mio ultimo intervento. Di solito di questi tempi siete tutti in vacanza e, giustamente, il tono del “dibattito” è un tantino fiacco, ma stavolta siete letteralmente esplosi all’unisono (con la ciliegina sulla torta del ritorno di due vecchi frequentatori che saluto con molto calore) spaziando dai minimi ai massimi sistemi con una polifonia educata e rispettosa toccando tutti i tasti possibili, insomma secondo me la lista dei commenti all’ultimo post è forse la migliore che questo sito abbia mai ospitato, sia per quantità, varietà e soprattutto qualità, ragion per cui vi ringrazio veramente di cuore e, posso dirlo, sono anche un po’ orgoglioso di quanto ho letto in questi giorni.

Ovviamente a questo punto dico anche la mia sperando di contribuire ulteriormente allo sviluppo della discussione. Due i temi che vorrei commentare. Il primo è il più facile, frivolo se si vuole, anche se è secondo me estremamente importante per valutare attraverso la percezione dello sport (che, come sapete, secondo me dovrebbe essere studiato molto più profondamente dai sociologi perché è un termometro estremamente preciso e soprattutto premonitore di quelli che sono i trend civili e sociali di un gruppo di persone, chiamiamolo popolo) quelli che sono i pregiudizi generali più radicati nei confronti delle dinamiche sociali di una società. Parlo ovviamente di come viene vissuto lo sport femminile, tema che pensavo non vi interessasse, ma che ha suscitato invece un dibattito che mi ha molto aperto gli occhi, devo dire. Vorrei cominciare dal bellissimo intervento di pado che chiede anche un mio parere su quanto da lui detto. Caro prof. Padoan, cosa posso dirti? Se l’avessi scritto io avrei scritto esattamente le stesse cose, ma sicuramente peggio. Secondo me hai colto nel segno, soprattutto con la frase che mi ha letteralmente incantato, in quanto è il classico “bull’s eye”. La ricopio: “In entrambi i casi, la prima cosa da fare è entrare nell’ordine di idee che guardare queste atlete attraverso le lenti di un perenne paragone con quanto fanno i maschi è un errore – direi pure un’idiozia.” Ecco, questo è il punto vero e per me totalmente misterioso. Quale può essere il pregiudizio storico, culturale, genetico quasi che fa sì che la maggior parte della gente giudichi lo sport femminile paragonandolo a quanto fanno i maschi nelle stesse discipline? E’ un totale nonsenso. Sarebbe come se uno dicesse che non gli piacciono le corse dei cavalli perché le gazzelle corrono più veloci, e dunque affermasse che se volesse vedere correre sul serio andrebbe a vedere le gazzelle. E allora perché non i ghepardi che sono ancora più veloci? Che senso hanno discorsi del genere? La primatista mondiale assoluta del salto in alto è con giri di distacco la pulce, ma nessuno va a vedere le gare di salto in alto delle pulci. E allora perché cavolo questo discorso assolutamente idiota vale presso gli uomini, non solo, ma alla massima parte della gente sembra addirittura logico? Che abbia a che fare con la plurimillenaria storia del genere umano e con lo sviluppo storico del rapporto uomo-donna? Sicuramente sì, ma in che modo? E’ un tema per me fantastico che so non potrà mai essere risolto, ma che ugualmente mi intriga un po’ da sempre, dal primo giorno che ho allenato il mio primo gruppo di ragazze del basket. Personalmente un’idea ce l’avrei e ve la vendo per quello che vale, cioè un tubo. Secondo me nei millenni il maschio ha sviluppato nei confronti della femmina un sentimento quasi schizofrenico. Sa che può fisicamente fare di lei quello che vuole, ma si rende anche conto che il vero sesso forte sono le femmine perché senza di loro non c’è discendenza. E allora, quando la donna prova a competere sul suo campo, quello della forza fisica, il maschio si dice inconsciamente una roba tipo: “Già comanda in tutto, almeno mi lasci dominare nel mio campo, quello della forza bruta. Ma cosa vuole ancora?”. E allora si rifugia nel disprezzo nei confronti di quanto le donne si sforzano di fare, per pregiudizio puro e semplice, senza la minima curiosità, che dovrebbe essere spontanea, di voler capire dove può arrivare una donna competendo nello sport. Però attenzione: guardate un po’ i risultati del nuoto. La O’Callaghan avrebbe dato al vincitore delle Olimpiadi di Roma (del 1960 dopo Cristo, non quella imperiale) 5(!) metri di distacco sui 100 metri e al mitico Schollander di Tokio ’64 qualcosa come 2 metri e mezzo sui 200 metri. Per cui attenzione! Il mondo va avanti e secondo me, una volta che il problema della procreazione diventerà sempre più un problema della società nel suo insieme essendo necessarie le donne anche nel campo del lavoro, e dunque la tipica costruzione familiare contadina non avrà più senso di esistere, come già succede sempre più nelle grandi megalopoli, le donne, per puro e semplice adattamento genetico, diventeranno sempre più vicine agli uomini e, così, a occhio, secondo me verso il terzo millennio, sempre che la razza umana esista ancora, le gare sportive saranno unisex, più o meno come succede già adesso per le corse dei cavalli.

Questo tanto per dire, ma non è chiaramente il punto. Il punto è che lo sport femminile, proprio per la conformazione fisica del corpo femminile, per natura votato a compiti completamente diversi rispetto a quelli cui sono votati i maschi, è una cosa totalmente differente rispetto a quello maschile e anche qui sono perfettamente d’accordo con pado quando dice che nelle varie discipline che richiedono destrezza e creatività, tipo gli sport di squadra, l’ideale sarebbe trovare adattamenti tecnici (e anche tattici, secondo me) per massimizzare il rendimento di una compagine femminile facendola giocare secondo le naturali inclinazioni del loro genere. Scimmiottare quanto fanno i maschi è semplicemente sbagliato perché improduttivo. Per esempio nel basket: il tiro delle donne non solo è, ma DEVE essere, qualcosa di totalmente diverso rispetto a quello dei maschi. Fatto: la donna salta molto meno dell’uomo ed è molto meno esplosiva, per cui quanto ha di elevazione da ferma è totalmente irrilevante. Altro fatto: millenni di rammendo, cucito e lavori vari in casa, rispetto all’arare, abbattere alberi e scavare canali degli uomini nei campi hanno sviluppato nelle donne capacità di coordinazione e sensibilità manuale mediamente nettamente superiori a quelle del maschio (esperienza personale diretta e prolungata - nel basket…- per cui sull’argomento non ammetto discussioni), per cui la donna ha una mano mediamente molto più “educata”, come si usa orrendamente dire, rispetto al maschio. Inoltre ha mani, polsi e braccia molto veloci con riflessi rapidissimi. E dunque il tiro deve essere di conseguenza il più veloce possibile. Tutto il resto non ha importanza alcuna. E magari partire dalla pancia dando l’impressione a uno abituato ai voli plastici dei maschi (che, detto per inciso, sono molto per le foto e i highlights, ma molto meno logici in termini puramente cestistici) di un grande sforzo. Cosa ovviamente totalmente falsa. E dunque paradossalmente quanto più il tiro di una ragazza somiglia a quello di un maschio, tanto peggio le hanno insegnato e tanto più improduttiva è la sua meccanica.

Altro esempio il calcio: qui non sono più d’accordo con pado (è l’unico punto), in quanto anche in questo sport le nazioni che vi si sono avvicinate senza pregiudizi legati al modo nel quale lo giocano i maschi, e dunque i paesi dove il calcio maschile non è un totem come in Europa, e particolarmente in Italia, hanno sviluppato un movimento femminile molto più logicamente pensato e strutturato e infatti ottengono risultati migliori. E’ un grosso problema per il movimento italiano. Se non se ne rendono conto continueranno a produrre giocatrici che ne prendono cinque dalla Svezia e poi si fanno eliminare dalle “befana befana” (visto che neanche io riesco a sfuggire a stupide battute sessiste? – per quanto ci si sforzi, noi maschi siamo irredimibili).

Il secondo argomento è anch’esso secondo me molto importante. Devo per forza chiarire alcuni concetti su come io vedo e definisco la geopolitica perché non venga preso per quello che assolutamente non sono, cioè uno che pensa che prima Caracciolo e poi Fabbri siano guru da ascoltare e seguire ciecamente. Intanto qualche parola su come ho cominciato a seguire quanto dice Fabbri. Mi piace guardare su Youtube qualche conferenza seria sulla politica e mi sono imbattuto in una conferenza proprio di Dario Fabbri nel quale disse una cosa che confermava in pieno quanto avevo sempre supposto, ma che quando lo riferivo in compagnia innescavo una specie di lite furibonda venendo alla fine trattato un po’ da scemo. Anche per come si era svolta la guerra in Jugoslavia che alla fine scoppiò esattamente quando me l’ero aspettato, che si svolse come avevo previsto e che finì anche secondo le previsioni (mie, non quelle di “fini” politici, quelli che sanno tutto) la mia opinione, che fino alla suddetta guerra era stata più che altro un sospetto, trovò tutte le conferme possibili, per cui divenne una convinzione. E quando Fabbri disse esattamente parola per parola quanto pensavo, e che cioè mai nella storia una guerra era nata per questioni economiche (mi aveva fatto molto pensare anche quanto aveva detto Barbero, che cioè la prima guerra mondiale era scoppiata in un momento di vero e proprio boom economico in Europa), la cosa mi colpì, per cui decisi di ascoltarlo e vedere da dove aveva tratto questa sua convinzione. Ho scoperto così la geopolitica e ho cominciato a capire i meccanismi sui quali si basa. Come sapete sono tutto meno uno che accetta supinamente quanto gli viene detto, per quanto autorevole possa essere (quanti titoli accademici possa avere non mi ha mai significato nulla, secondo il saggio detto che non esiste iattura maggiore al mondo di un mona istruito), per cui alla fine ho imparato che la geopolitica è basata sul riconoscimento di leggi generali che riguardano il comportamento reciproco fra gli esseri umani e soprattutto fra gruppi umani omogenei all’interno di ciascun gruppo, sia per storia e dunque valori e cultura che per la percezione che ogni gruppo ha di se stesso nei confronti degli altri con i quali viene a contatto. In termini generali è dunque in politica un parallelo con quello che è la macroeconomia negli studi economici (uso la parola studi apposta, visto che mi rifiuto di accettare l’idea che l’economia sia una scienza, un po’ come la sociologia o la psicologia). Ha dunque la sua validità per inquadrare schemi comuni e fare un quadro d’assieme della situazione. E, devo dire onestamente, le leggi che hanno elaborato mi sembrano assolutamente logiche e perfettamente condivisibili. C’è però un grossissimo inghippo. Queste loro leggi generali nelle situazioni contingenti in zone circoscritte, magari di grandezza ristretta, ma con storia ricca e stratificata nei secoli, perdono qualsiasi aggancio alle situazioni reali e sono dunque inapplicabili. O per meglio dire, per essere applicabili in un modo utile dovrebbero essere corredate da un possesso di informazioni dettagliate sulla situazione locale, informazioni che i geopolitici sono convinti di avere, ma non le hanno, non solo, ma non si brigano neanche di accertarsi se esistono. Anche qui l’esperienza della guerra jugoslava e poi del Kosovo mi è stata di grande aiuto, perché secondo i generali schemi geopolitici avrebbe dovuto svilupparsi in tutt’ altro modo, almeno secondo i dati in possesso dei cosiddetti esperti. Peccato che i dati che sbandieravano fossero del tutto immaginari, senza alcun riferimento reale a quanto succedeva veramente. Che poteva essere conosciuto solo da chi il problema lo conosceva bene dall’interno. Quello che voglio dire è che basilare è la capillare informazione su ogni situazione particolare in ogni parte del globo per poter capire cosa possa accadere proprio lì e non altrove, magari a qualche centinaio di chilometri di distanza. Secondo me i geopolitici sono tanto fieri delle loro leggi generali che pensano di poter pontificare su qualsiasi crisi accade al mondo rendendosi tutto sommato ridicoli e grotteschi con questa loro megalomanica presunzione di sapere e conoscere tutto dovunque e comunque. Mi spiace dirlo, ma sfiorano veramente un riferimento diretto al famoso proverbio friulano che recita che più uno è saggio, più sa di non sapere, mentre solo il mona sa tutto.

In definitiva seguo volentieri e con interesse le conferenze geopolitiche per avere un’idea su quali possano essere le leggi generali che governano determinate situazioni globali, ma che ovviamente salto a piè pari quando si mettono a entrare nel dettaglio di conflitti locali perché so benissimo che parlano praticamente a memoria e dunque a vanvera.