Scusate se è da molto tempo che non mi faccio vivo. Ci sono molte ragioni: in questi ultimi tempi sto facendo molte serate di presentazione del libro e in più è in pieno svolgimento il campionato triestino di bridge, per cui il mio interesse è abbastanza disperso. A proposito di serate, di solito non lo faccio, ma stavolta spero che mi perdonerete se rivolgo anche pubblicamente un grande ringraziamento a Loris e Carlotta Lovat per la magnifica serata trascorsa a Treviso (in realtà Villorba) sabato scorso con tantissima gente a ascoltarmi (c’era anche Llandre e può confermarlo) e poi a chiedermi di firmare il libro. Serata poi finita in trionfo a cena con animate discussioni sui massimi sistemi fino alle tre di notte accompagnate da abbondanti e ottime libagioni. L’unica cosa che mi dispiace e, se mi legge, mi scuso con lui, è stato di non essere riuscito a fare la chiacchierata che volevo fare con Andrea Gracis che era presente e che ho solo salutato, convinto che poi venisse a cena con noi, cosa che non ha potuto fare. Gracis è una di quelle persone, del tipo di Fabbricatore per intenderci, che ammiro tantissimo per come giocava, da cui mi aspetto di poter discutere di basket in modo serio e approfondito e che sicuramente avrebbe molte cose da dirmi.

Spero in una prossima volta. Fra l’altro in queste serate ho la possibilità di parlare a 360 gradi di vero basket con persone che l’hanno praticato ai massimi livelli e che sono tutte, nessuna esclusa, più o meno della mia stessa opinione sulla deriva che il nostro amato sport ha preso in questi ultimi tempi, deriva che mi lascia affranto anche leggendo commenti su questo stesso blog, tipo quello di Stefano che in certe sue esternazioni mi sembra viva in una specie di mondo alla Lewis Carroll, nel quale le cose sono tutte distorte creando realtà alternative che nulla hanno a che fare con quanto sembra a me di percepire vedendo e tentando di capire le cose a cui assisto. Sono per esempio letteralmente trasalito leggendo il commento sulla conduzione del contropiede, dove vengono esposte teorie esattamente contrarie a quanto dimostrano i fatti e la logica più elementare, anche euclidea se volete (per esempio un passaggio arriva meglio più breve e rettilineo è, e per far ciò è solo ovvio che bisogna stare in mezzo al campo, oppure che palleggiare sui lati vuol dire: a) avere un passaggio praticamente impossibile verso l’altra metà del campo, con ciò giocando effettivamente solamente su un quarto di campo e b) avere da una parte l’avversario più imbattibile che ci sia e cioè la linea laterale del campo, per cui, avendo davanti anche un avversario umano, ci si automaticamente auto-raddoppia). Voglio dire che dover leggere cose del genere mi fa star letteralmente male, perché mi sembra di essere totalmente estraniato da un mondo in cui tutti partono dal presupposto che il sole sia verde invece che giallo. E dunque ben vengano le serate nelle quali, ripeto, parlando con gente che ha praticato il basket ai massimi livelli e dunque sa di cosa parla, troviamo una base comune sulla quale discutere, ovviamente con opinioni diverse che vengono messe a confronto (ed è la cosa più bella e stimolante), però sempre dentro a un quadro d’assieme condiviso, anzi neanche messo in discussione, perché ci sembra assiomatico.

Poi ci sono tante altre ragioni: una è che il mio blog mi piace sempre di meno per la piega che ha preso, per cui bisognerà prendere provvedimenti. Per ora farò solo un accorato appello, sperando che venga recepito. Edoardo, per favore, basta. Ti avevo già detto che avrei tollerato un solo commento al giorno e sappi che stavolta faccio sul serio, per cui, o ti limiti, oppure arriverà la mannaia. Il problema è che continui a fare continua propaganda alle cose nelle quali credi tu e nessun altro di quelli che leggono questo blog, ma soprattutto fai finta di non farlo, tirando continue frecciatine che hanno fra l’altro provocato la violenta e sarcastica replica di Pado che ho ammirato in modo estasiato per la perfetta retorica usata e per la forma usata di tipo catilinario. Fra l’altro il bello è che su questo punto non sono d’accordo con Pado, perché secondo me se si vuole (e tutti lo vogliamo, sarebbe una catastrofe umana e sociale se non fosse così) mantenere una categoria “donne” in qualsiasi sport, deve per forza essere messa nero su bianco una regolamentazione che indichi quale essere umano può annoverarsi nella categoria “donna”, e ciò per creare la necessaria equità competitiva che, in caso di mancanza, potrebbe demotivare e allontanare dal praticare sport competitivo la maggior parte delle ragazze, costrette a gareggiare contro virago dotate di un motore del tutto truccato (non è colpa loro, chiaro, ma non è certamente questo il punto quando si parla di sport).

Tornando a noi, caro Edoardo. La tua pervasiva presenza, spero che tu lo capisca, sta facendo completamente deragliare lo spirito del blog. Qui Stefano ha perfettamente ragione quando avverte che, una volta esauriti i commenti a quanto scrivo, e quando nessuno ha nulla da aggiungere o da chiosare è solo normale che la discussione si esaurisca oppure che, prendendo lo spunto da qualche evento di attualità si possa poi proseguire la discussione, magari parlando di altro che non sia basket. E invece succede che tu scrivi post alluvionali, provocando tanto sconcerto che, scusa, fastidio, per cui, solo per non leggerti, la gente non legge più neanche il blog, non solo, ma quando commenta, risponde sempre più o meno solo a te, con ciò uscendo del tutto dal tema proposto e a me sembra che, scrivendo il mio post, ho semplicemente sprecato il mio tempo (cosa che equivale al massimo peccato mortale concepibile per un pigro filosofico e convinto quale il sottoscritto, per il quale il lavoro è un fastidio ineludibile che ci fa vivere, ma che, prima finisce, meglio è, e una volta lavorato quanto basta per vivere bene, lavorare ancora è la più grande stronzata che uno possa fare, perché significa che non ha capito nulla della vita), constatazione che mi avvilisce, perché vorrei tanto che questo blog fosse uno spazio dedicato a persone serie che tengono in piedi discussioni serie e non certamente sbracamenti da forum di beceri e culturalmente analfabeti tifosi per i quali l’insulto reciproco è lo scopo ultimo della loro misera esistenza. Cosa che in presenza dei tuoi post-fiume diventa più o meno inevitabilmente. E io non voglio che succeda. Per esempio Llandre ha aperto la discussione sui play-off NCAA. Franz, dove sei? Ecco, sono queste le cose che vorrei leggere e non certo assistere a lotte idiote a suon di pollicioni rossi che ovviamente lasciano il tempo che trovano.

Per fortuna, malgrado gli sforzi di Edoardo, tutto sommato qualcosa di utile questo blog lo ha prodotto e la cosa mi rende abbastanza orgoglioso. Per esempio qualche tempo fa mi ha telefonato Gabriele da Siena avvertendomi che si sarebbero trovati a cena con Gambadani e Walter Wf2, il che significa che c’è gente che ha voglia di incontrarsi e parlare avendo fatto conoscenza su questo blog, come qualche settimana fa Andriz e Martina mi hanno invitato (non sono andato – avrei dovuto arrangiarmi da solo e sarebbe stato uno strapazzo troppo grande per un solo pranzo) a Bologna per un incontro fra sconvenscioners (com’è andata, fra l’altro?). Ecco, sono queste le cose che vorrei promuovere, non certamente un rifiuto dovuto alle prodezze di un singolo.

In attesa che avvenga la necessaria disinfestazione del blog penso che questo possa essere un contributo, diciamo così, interlocutorio, per cui a questo punto non vorrei parlare di basket, ma di un altro argomento che con lo sport nulla ha a che vedere e che, penso, interesserà a pochi e dunque penso che da questo punto in poi pochi leggeranno avanti, ma, che volete, questo è il mio blog, e se non mi tolgo qualche sassolino dalle scarpe qui, non so proprio dove possa farlo. E anche se volessi parlare di basket, più di dire che, guarda caso, Milano appena ha ingaggiato un play improvvisamente ha cominciato a giocare (ma va! Che strano!), e che la Virtus mi lascia basito perché la netta impressione è che sia letteralmente sulle gambe, totalmente spompata, e non so proprio spiegarmi perché, altro proprio non saprei cosa dire.

Quello di cui scriverò riguarda la musica. Ho visto su Sky il tanto decantato film su Elvis e ne sono rimasto letteralmente schifato. Lasciamo stare gli incredibili strafalcioni fattuali che infestano il film dall’inizio alla fine (per esempio Elvis che nel ’56 a Russwood Park canta una canzone che Leiber e Stoller scrissero per il film King Creole due anni dopo), ma è l’impianto stesso del film che è totalmente sbagliato e fuorviante. In sostanza il film propugna la tesi che Elvis fu castrato nella sua ascesa artistica dal plagio che il perfido manager profugo clandestino olandese (almeno questa parte è vera) esercitava su di lui. In realtà a grandi linee la cosa è vera, ma era molto più sfumata rispetto a quanto ci viene propinato. Semplicemente Elvis si fidava di Tom Parker, ma non al punto a volte di ribellarsi e di fare le cose a modo suo, come successe per il leggendario Come Back Show del ’68 e nei primi anni ’70, quando decise che avrebbe mandato a quel paese il contratto capestro che il manager imponeva agli autori delle canzoni che avrebbe cantato Elvis e che prevedeva che la metà dei diritti d’autore sarebbe andata direttamente alla Elvis Enterprises, la società sulla quale Parker esercitava un ferreo controllo. Era proprio per questa ragione che nessuno proponeva più pezzi validi, visto che la popolarità di Elvis all’epoca, a causa dei terribili filmetti nei quali si esibiva con canzoncine scritte ad hoc che erano semplicemente inascoltabili, soprattutto in quell’epoca di assoluta esplosione del fenomeno rock in senso lato e onnicomprensivo, era praticamente poco sopra i valori dello zero assoluto. E fu grazie a questa ribellione che ritornò prepotentemente in auge con pezzi tipo “In The Ghetto”, “Suspicious Minds” o “Burnin’ Love”, o album quali “From Elvis In Memphis” o “Elvis Country”, che scalarono le classifiche dei dischi più venduti fino ai massimi vertici. Però fu tutto qui e il finale del film, immerso in una specie di marasma esistenzialistico, è semplicemente ridicolo.

Ma la cosa ancora più rivoltante è che non c’è praticamente alcun accenno al fondamentale e decisivo contributo che Elvis dette allo sviluppo e all’esplosione della musica popolare dalla metà del 20-esimo secolo in poi. Come disse giustamente John Lennon: “Prima di Elvis non c’era nulla”, sapendo benissimo che senza Elvis neanche loro, intesi come Beatles, e neppure tutti quanti gli altri gruppi della British Invasion mai sarebbero esistiti. Nel film viene citato solo al volo il momento assolutamente fondamentale e epocale che si verificò la fatidica domenica del 7 luglio del 1954, quando durante una pausa della prima sessione alla Sun Records nella quale Elvis, assieme a Scotty Moore e Bill Black, si era esibito fino a quel momento in una serie di sdolcinate ballate, Elvis prese la chitarra e per scherzo cominciò a cantare in modo quasi parodistico “That’s All Right”, pezzo di un cantautore nero di nome “Big” Bill Crudup, seguito poi dagli altri due improvvisando qualcosa che fino a quel momento nessuno aveva ancora mai sentito. E Sam Phillips, che nel frattempo era in sala controllo per mettere a posto i nastri, sentito quello che stava succedendo, aprì la porta dello studio, chiese “Cosa fate?” “Non lo sappiamo, ma ci piace” “E allora trovate un posto dove stare e rifatelo di nuovo che lo registriamo”. Sam Phillips non poteva credere che il ragazzo bianco, il camionista uscito dalla Humes High School, conoscesse tantissime canzoni del repertorio dei neri, allora dedicato solo a loro, visto che il ferreo apartheid sudista prevedeva anche che le due “razze” ascoltassero musica del tutto diversa, cosa che però già all’epoca cominciava a mostrare molte crepe, in quanto c’erano tantissimi ragazzi bianchi che di notte, all’insaputa dei genitori, ascoltavano di nascosto le radio dedicate esclusivamente ai neri. In definitiva Elvis fu colui che sdoganò la musica nera avvicinandola alla maggioranza bianca creando la scintilla che provocò il crossover che poi influenzò tutta quanta la musica successiva. E in più creando un mix sonoro assolutamente inedito per l’epoca sintetizzando i due tipi di musica, rendendola appetibile a tutti e, in definitiva, arricchendola e completandola. So che a questo punto i puristi arricceranno il naso, ma a me, bastardo etnico e culturale dalla nascita, ogni cosa che viene bastardata con influssi esterni alla “razza pura” è una cosa buona e commendevole che non può che arricchire la cultura generale e a renderla più “sana”, come succede in campo biologico quando si mischiano i cromosomi che, più sono diversi all’inizio, più benefici portano alle generazioni successive.

Poi lasciamo stare che nel film non si parla neanche che Elvis fu l’inventore di due cose che poi caratterizzarono in modo decisivo le generazioni successive. Una fu l’invenzione del videoclip con la famosissima scena di “Jailhouse Rock” nella quale si esibisce, in purissimo stile videoclip che nessuno sapeva all’epoca che un giorno sarebbe potuto esistere, nella canzone omonima, e nella concezione del concerto “unplugged”, da lui inventato nei due famosi concerti dal vivo negli studi di Burbank, sia quello “Stand Up” che soprattutto quello “Sit Down” (in realtà sono stati due, uno al pomeriggio e uno alla sera), vestito di pelle nera, nel quale cazzeggia dal vivo assieme a Scotty Moore, D.J.Fontana (il suo batterista originario) e Charlie Hodge (amico, cantante a sua volta, conosciuto ai tempi del servizio militare) eseguendo tutti suoi grandi successi passati e dimostrando a tutto il mondo chi era il vero “King”. Concerti che furono poi editati e montati all’interno del Come Back Show.

Insomma nel film si parla (malissimo e confusamente) di cose in realtà irrilevanti, mentre del vero e assolutamente fondamentale contributo che Elvis ha portato allo sviluppo della musica popolare come la conosciamo ancora oggi non si parla neppure. Ecco, questa è la cosa che mi ha fatto più male, per cui, se volete, guardate pure il film, ma rendetevi conto che si tratta di una fiaba inventata di sana pianta che con la realtà non ha esattamente nulla a che fare.