Ovviamente non posso cominciare questo pezzo se non ringraziandovi tutti sentitamente di cuore per gli auguri che mi avete fatto e anche l’impareggiabile Tommy per aver messo il link della trasmissione dell’amica Silvia Stern, della quale sono stato ospite qualche giorno fa in quella che è stata la mia casa per quasi 50 anni della mia vita. Spero che non vi sia dispiaciuta. Da parte mia mi sono divertito e anche molto meravigliato quando Silvia è andata a scovare addirittura mia nipote Irina in quel di Aschaffenburg in Baviera (per chi è interessato è una bella cittadina medievale con tanto di rinomato castello placidamente adagiata sul grande fiume Meno che 30 km più a nord poi passa per Francoforte). A proposito, Llandre, non ti preoccupare: se pol. Mi è piaciuta molto la domanda che mi ha fatto Stefano (che comunque deve ancora spiegarmi per filo e per segno quali sarebbero i pregi del p’n’r alto) sul fatto che, più passano gli anni, più sono dall’altra parte del microfono rispetto ai tempi nei quali le interviste le facevo io.

Devo dire che molte poche volte (se non mai, almeno non me le ricordo) mi hanno fatto domande imbecilli, per fortuna, anche se quelle banali non mancano certamente. Quando me le fanno provo a far buon viso a cattivo gioco e rispondo fondamentalmente in due modi: o ricorro alla solita solfa di luoghi comuni tipici di giocatori e coach nelle dichiarazioni post partita (a domanda banale risposta banale) oppure, se percepisco nell’intervistatore un genuino sentimento di curiosità, per cui per lui la domanda è invece pregna di significato, allora mi sforzo di rispondere con una battuta che permette di addentrarmi in una disamina più profonda andando fondamentalmente fuori tema, ma riuscendo comunque a dire qualche cosa di passabilmente interessante. Devo dire comunque una cosa: finora ho avuto sempre interlocutori preparati che mi hanno fatto per la massima parte le domande giuste, per cui, onestamente, finora non sono mai stato deluso da una serata nella quale ero il relatore di riferimento. Anche questa è una bella fortuna o. se volete, un motivo di orgoglio per il sottoscritto che viene evidentemente percepito come uno a cui bisogna porre il più possibile domande intelligenti e stimolanti. Non è poco, anzi, per me è più o meno tutto.

Vedo che il mio ultimo post ha stimolato un’importante discussione della quale sono molto contento, ma nel contempo mi ha lasciato un grande amaro in bocca. E tutto ciò esclusivamente per colpa mia, cosa che mi procura ulteriore sconforto. Ho letto con molto interesse il commento di pado che mi mette in bocca cose che io assolutamente non penso e che sono del tutto estranee, se volete, alla mia stessa storia e origine di esponente di una minoranza vissuta quasi visceralmente in modo velatamente razzista dalla maggioranza della popolazione per ragioni storiche tutto sommato comprensibili che sarebbe troppo lungo e, penso, inutile elencare. E ciò per ovvie ragioni nel senso che solo chi ha una diretta esperienza del problema (per quanto, sottolineo, estremamente all’acqua di rose rispetto a quanto accade altrove) sa di cosa parla. Tutti quanti gli altri semplicemente possono parlarne per aver studiato, tentato di comprendere, magari a fondo, ma sempre in modo razionale, teorico, senza una vera cognizione di causa della situazione da un punto di vista strettamente emotivo.

E allora ho riletto quanto scritto nell’ultimo capoverso e in effetti mi sono accorto di aver detto cose che potevano benissimo essere capite come sembra siano state capite. Il problema è che, appunto per esperienza personale di noi sloveni in Italia, quando parliamo di certe cose diamo per scontate premesse che invece vanno chiaramente fatte per tutti quelli che non sono nella nostra situazione (prova indiretta: Enrico, che non per niente è di Trieste, è stato l’unico che ha capito veramente quello che dicevo, avendo nel suo bagaglio di esperienza gli stessi nostri strumenti che gli permettono di poter saltare le premesse che anche a lui appaiono ovvie).

Per spiegare veramente quanto non solo penso, ma sento, parto da lontano. Molti anni fa lessi una famosa frase detta da John Barnum, il fondatore del famoso circo. Disse pressappoco: “Nessuno è mai fallito sottovalutando l’imbecillità della gente”. Cioè normalmente la folla è molto più mediamente stupida di quanto possiamo immaginarci nelle nostre più pessimistiche stime. O come disse Charles De Gaulle a un sostenitore che gli gridava: “Generale, morte agli imbecilli!” ”Amico, è un programma troppo vasto!” Il tutto mi portò a formulare la mia “Legge sociale di Tavčar” che recita: “La stragrande maggioranza dell’umanità è mediamente molto più stupida di quanto si possa ipotizzare. L’unica cosa positiva di questa situazione è che è una caratteristica assolutamente e totalmente lineare, spalmata in modo uguale su tutta l’umanità senza alcuna distinzione di sesso, razza, religione, censo, istruzione, credo politico, orientamento sessuale o quant’ altro. Qualsiasi categoria di persone, comunque le prendiamo, ha al suo interno la stessa identica percentuale di stupidità rispetto a tutte le altre”.

Come si vede è una “legge” molto drastica (i miei amici direbbero tauceriana) che però, più passano gli anni, più mi accorgo essere valida. Non solo, ma anche alcuni fra i miei più cari amici, persone con le quali mi trovo bene e con le quali è un sollievo intellettuale chiacchierare e discutere, dopo avermi all’inizio deriso per questa mia drasticità adesso quasi quasi mi stanno dando ragione. O comunque mi hanno confessato che, da quando hanno cominciato a comportarsi in accordo con questo teorema, hanno capito molte cose che prima non sapevano spiegarsi e riescono a stare molto meglio al mondo. Almeno riescono a evitare l’effetto brutta sorpresa quando le cose vanno male senza che ce ne sia un reale bisogno.

Tutto questo per rendere ben chiaro il concetto che il razzismo è totalmente estraneo al mio congenito abito mentale. E dunque accusarmi del sillogismo che il basket è oggi frequentato da scemi perché è molto maggiore il numero dei giocatori di colore è assolutamente falso. Secondo la mia “legge” è semplicemente frequentato da scemi perché è diventato uno sport per scemi, dunque è ampiamente accessibile alla stragrande maggioranza dell’umanità che è, appunto, per il mio assunto, mediamente scema. Vale per tutti, bianchi, neri, gialli, rossi, a pois in ugual misura. Con queste premesse rispondo anche alla seconda obiezione di pado sul come mai ci siano tanti più europei nell’NBA: semplicemente perché da noi in Europa, malgrado tutto, il saper giocare a basket, e dunque non essere scemi, è ancora in qualche modo un presupposto per poter accedere e poi primeggiare in questo gioco, ragion per cui, quando approdano nell’NBA gli Europei possono fare la figura degli orbi e dei guerci che nel regno dei ciechi sono re.

C’è poi un’altra cosa che voglio assolutamente mettere in chiaro: mai, ma proprio mai, non ci sarà persona che riuscirà a mettere in dubbio la mia perfetta convinzione che non esiste altro modo per emanciparsi e salire la scala sociale che possa prescindere dall’istruzione e dalla cultura, quest’ultima intesa come la intendono i tedeschi (e anche i miei sloveni, se è per quello) quando dicono “Kultur”, nel senso dell’educazione, principalmente nel rendersi conto che la mia libertà finisce esattamente dove comincia la tua e che una delle cose fondamentali della vita risiede nel rispettare e ascoltare i bisogni del prossimo. Certo, come dice pado, poi ci vuole l’organizzazione, ma io lo davo per scontato senza doverlo rimarcare esplicitamente. Mi sembra solo normale che normalmente le persone, per le caratteristiche prima dette sull’umanità in genere, debbano essere più o meno costrette all’educazione e all’istruzione, cosa che si può fare solamente motivandole (una volta gli scolari che non studiavano venivano presi a bastonate, ma purtroppo quei bei tempi non possono essere riprodotti nei tempi attuali), facendo loro capire una cosa molto semplice: se studi e impari qualcosa del mondo avrai più possibilità di vivere una vita migliore rispetto a quella che vivresti se non sapessi niente. Cavolo, se ci vuole organizzazione! Non solo per il processo in sé, ma per fare sì che alla fine lo studio venga ripagato con una vita migliore, come promesso.

Alla fine però il tutto dipende dai singoli e dalla loro voglia di fare. Qualsiasi appartenente a una minoranza sa (lo dico per esperienza personale, per cui non raccontatemi balle e non tentiate di smentirmi) che, se vuole salire la scala sociale e farsi accettare dalla maggioranza come uno (quasi) dei loro, o comunque essere rispettato e ascoltato, deve essere molto più bravo di un esponente della maggioranza che fa lo stesso suo lavoro. In definitiva a uno di una minoranza non viene perdonato nulla, per cui, per emergere, deve farsi un mazzo come un babbuino. Di qua non si scampa: altre vie non sono mai esistite. E’ un processo lungo e epocale che si misura in secoli, non in anni o lustri. Qualcuno però deve pur cominciarlo. Come hanno fatto i cestisti americani di colore che ho menzionato nel pezzo scorso. E vedere adesso che questo processo si sta fermando, se non addirittura che la storia ha cominciato a fare passi indietro proprio quando l’America ha avuto per otto anni un presidente di colore (che deve essere stato uno choc non da poco, se poi hanno eletto un idiota razzista come Trump), e ciò proprio nello sport che, come avete detto, è fatto soprattutto da neri e come tale viene visto dalla maggioranza, e che dunque dovrebbe essere in primissima fila in questo processo, mi fa male al cuore. Veramente male. Le campagne “Black lives matter” e altre robe simili? Volete la mia sincera opinione? Mi sembrano un gran fumo negli occhi per lavarsi le coscienze e rabbonire i sempliciotti, mentre il fulcro vero del problema è tutto da un’altra parte, molto, ma molto, più a monte. E’ semplicemente la risposta sincera alla domanda chiave: come agire per fare in modo che le vite dei neri siano veramente rispettate, nei cuori e dunque nei comportamenti quotidiani e non sulla carta? Facendo molte manifestazioni? Ma fatemi il piacere. Comunque ripeto e ribadisco con fermezza, la cosa più subdola, perfida e spregevole, che vedo è il messaggio che viene fatto passare e recepito ormai da tutti quasi fosse una redenzione: “Fate tanti soldi, state buoni e starete bene”. E allora il prototipo odierno del campione del basket nero è LBJ (che ha saltato a pie’ pari il college, della serie chi se ne frega se imparo qualcosa, l’unica cosa che conta è fare i soldi il prima possibile – a proposito, la cosa mi ricorda Moses Malone quando tanti anni fa fece la stessa cosa, che non gli fu perdonata praticamente fino a fine carriera) perché ha tante case, tanti soldi e può permettersi quello che vuole. Mentre una volta l’immagine del nero vincente consisteva nell’ ammirazione per la leggendaria raccolta di dischi jazz di Kareem. Ma veramente non vedete la differenza in fatto di testimonianza di cosa possa dare il basket a una minoranza oppressa? Non potete dirmi che è la stessa cosa in fatto di esempio.

Tutto questo per mettere le cose in chiaro, almeno da parte mia. Sono stato molto sincero e penso che per ora possa bastare. E’ chiaro che le opinioni in merito a questioni tanto delicate, questioni che investono l’essenza stessa dei rapporti umani, possano essere millanta e che ognuno le viva secondo le sue personali sensibilità che, volenti o nolenti, sono in modo decisivo condizionate dall’ambiente, sia geografico che sociale, nel quale ciascuno di noi è nato e cresciuto. Penso che in questo ambito possa essere sufficiente capire una sola cosa fondamentale che fa pari con il problema della memoria storica. Ognuno di noi ha la sua e non la cambierà mai. L’importante è rispettare le memorie e le sensibilità altrui senza con ciò condizionare in alcun modo la considerazione e il rispetto che si devono sempre portare nei confronti di quelli che pensano in modo diverso da noi.

Passando a cose più pedestri, ma che sono in qualche modo correlate con quanto detto sopra, c’è una cosa che in questi ultimi tempi sta rodendo la mia innata curiosità di sapere e capire le cose. Com’è possibile, mi sto chiedendo sempre più spesso, che di fronte alla straordinaria catastrofe che sta in questo preciso momento colpendo la massima espressione del basket italiano, parlo ovviamente di Milano, le acque mediatiche nella capitale morale (? - una volta si diceva così di Milano, ma ora dopo Mani Pulite è capitale di cosa?) d’Italia siano ancora tanto tranquille. Se la stessa cosa stesse accadendo a Inter o Milan (oddio, quest’ultimo c’è sempre più vicino, a dire il vero, visti gli ultimi risultati) ci sarebbero già processi pubblici sommari e gli autori di simil scempio sarebbero già tutti alla gogna. Non me lo so spiegare razionalmente, se non ricorrendo alle più bieche dietrologie che, sappiamo, lasciano il tempo che trovano. Vorrei una vostra opinione in merito, soprattutto da parte di quelli di voi che sono più addentro alle recondite cose che stanno accadendo in casa Olimpia.