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Per oggi solo un breve ricordo di Cesare Rubini. Quando si pensa a lui viene spontaneo accettare l'idea di coloro che affermano che l'umanità si divide in due categorie: quelli che sono nati per comandare e quelli che sono nati per obbedire. Che Rubini fosse nato per comandare lo si capiva subito, in modo quasi extrasensoriale, emanava un fluido che ti metteva immediatamente in soggezione e non osavi neanche pensare di contraddire qjuanto andava dicendo, anche se magari non eri del tutto d'accordo. Io ho avuto la fortuna di conoscerlo e di parlarci più volte, anche perchè, lo dico con orgoglio, mi aveva preso in simpatia per le mie telecronache di basket che gli avevano fatto capire che in realtà la mia visione del basket e dello sport in generale coincideva perfettamente con la sua, e che cioè lo sport è fatto come prima cosa da uomini e poi da atleti. Se uno non è uomo non potrà mai essere atleta (o professionista in qualsiasi campo di tutte le possibili attività umane) di vertice. Uno dei momenti che ricorderò con il massimo piacere fu quando Rubini presenziò ad un clinic che si teneva a Cervignano (mi pare), organizzato da Massimo Piubello, nel quale parlai del basket dell'ex Jugoslavia e delle ragioni per le quali era tanto forte, spiegando anche per la prima volta la mia teoria del divertimento che gli spettatori dovevano ricevere dal seguire una partita, per cui i lunghi avevano il divieto assoluto di giocare la palla, visto che le gente aveva pagato il biglietto per vedere i funambolismi dei piccoli. E che proprio per questo i lunghi jugoslavi erano tanto forti, in quanto dovevano sempre dimostrare di essere veri giocatori di basket, malgrado l'handicap (!) di essere tanto lunghi. Quando finii, Rubini mi si avvicinò e con uno dei suoi rari sorrisi mi disse: ''Tavčar, veramente bravo, rimani sempre un grande.'' Detto da Rubini fu il complimento più straordinario che abbia mai ricevuto, tanto che la scena ce l'ho sempre davanti agli occhi anche dopo tanti anni. Memorabile rimarrà anche il momento in cui, incrociatisi in albergo dopo una partita non propriamente easaltante della nazionale italiana a qualche Europeo, quando ne era il manager, mi disse una sola frase per poi non parlare più: ''Tavčar, ma ti rendi conto che questi qui non capiscono proprio un c...!'' (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto") 

 

L'altro lato di Rubini, molto più divertente, del quale ho sentito molto parlare con aneddoti straordinari, si riferisce alle sue attività, diciamo così, di commercio internazionale. Era in affari con un suo vecchio amico ed ex giocatore di Trieste, titolare di un famoso maglificio che produceva magliette e tute da gioco, soprattutto di basket, al quale fra l'altro ci rivolgevamo tutti quelli che a Trieste, appunto, avevamo a che fare col basket. Non vorrei a questo punto dire qualcosa che potrebbe crearmi grossi guai giudiziari, ma l'impressione è che quest'attività fosse la base di tutta un'attività di import-export di articoli sportivi rivolta soprattutto all'Est Europa, a quel punto divisa dall'Occidente dalla famosa cortina di ferro. Adesso non so quanto le storie che ho sentito sono vere, ma il modo con cui l'organizzazione, chiamiamola così, riuscisse in operazioni di mercato di stampo capitalista nei Paesi sotto stretto regime comunista, il tutto avvalorato dall'autorevolezza e dal modo nobile e distaccato di presentarsi di Rubini, a volte dà l'impressione di essere tratto da qualche romanzo di spionaggio. Il tutto sempre, almeno così mi risulta, andato a buon fine.

Tutto questo mi sembra anche strettamente correlato con la dote che fa di Cesare Rubini probabilmente ''il'' personaggio più importante del basket italiano di tutti i tempi. E cioè la sua capacità di vedere avanti, di capire in larghissimo anticipo dove e come le cose stessero andando e dunque di preconizzare i tempi, in qualsiasi campo si attivasse. Dicevo che era il prototipo della persona nata per comandare. Ed infatti la prerogativa fondamentale di questo tipo di persone è di saper scegliere in modo infallibile i propri collaboratori, scegliendo sempre e comunque le persone più capaci, e soprattutto di sceglierle in base alle loro doti intrinseche e non in base a quanto le loro idee collimino con quelle del boss. Ciò vuol dire maneggiare un gruppo di persone con le quali spesso e volentieri sei in disaccordo, ma sta in te ed al tuo carisma fare in modo che, valutate tutte le idee e tutte le opinioni, e a volte cambiando anche le proprie convinzioni di partenza in presenza di obiezioni valide, sia tu a decidere prendendoti tutte le responsabilità del caso. La grandezza di un capo si giudica, secondo me, anche e soprattutto dal fatto che come stretti collaboratori non hai dei supini yesman che vivono della tua luce riflessa, ma tutta gente capace un giorno di farti le scarpe prendendo il tuo posto quando la tua spinta vitale ed innovativa si sarà esaurita. E rendendosene conto e non fregandonese, in quanto circondarsi di uomini intelligenti, motivati e capaci significa anche instaurare un rapporto di reciproco rispetto, per cui non riceverai mai pugnalate alle spalle, ma al momento giusto solo un disinteressato consiglio a farti da parte rimanendo però sempre amato e rispettato.

Per finire: quanto successo in questi ultimi tempi farebbe pensare, se uno ci credesse, che da qualche parte, dove si gioca un basket da Paradiso, uno degli ultimi arrivi, suo discepolo fra i preferiti, visto che anche da quelle parti, forse per l'influsso dell'NBA, qualcosa cominciava a scantinare, lo abbia chiamato in fretta e furia: ''Dai paron, sbrigati che qui ci serve un coach!''.