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Finiti i Mondiali il sottoscritto è per un paio di giorni in ferie, momento di decompressione e di stacco (molto momentaneo) col basket. Ciò nondimeno penso sia opportuno fare un piccolo bilancio di quanto abbiamo visto in Turchia. Intanto: non si è visto del gran basket. La ragione è semplicissima: mancavano tantissimi ottimi giocatori, anzi, diciamo di più, mancava forse la maggior parte dei migliori giocatori al mondo. Salvo uno, ovviamente Kevin Durant che infatti, con buona pace di coloro che, grazie alla vittoria degli Stati Uniti, hanno vissuto orgasmi multipli, è stato di fatto quello che da solo ha fatto vincere gli americani. Sembrava il classico forte delle categorie giovanili che spopola nei campionati di categoria segnando come e quando vuole contro avversari palesemente inferiori nonché impotenti nel tentativo di fare qualsiasi cosa per fermarlo. Cosa che per chi ha sia giocato a basket che allenato è la sensazione più deprimente che si possa provare e già essa da sola vale una ventina di punti in più per l'avversario. Quando infatti lui rifiatava o, lodevolmente, tentava di coinvolgere i compagni, la compagine USA si incartava in tiri fuori da ogni logica, ogni tanto provava a giocare di squadra, ma alla fine prorompeva l'istinto da campetto dei giocatori americani moderni con tutto quel che ne consegue, leggi casino disorganizzato. (Per continuare a leggere clicca sotto su "leggi tutto")

Se dunque un giocatore da solo vince un campionato c'è evidentemente qualcosa che non va. Chi non è andato è stata evidentemente la concorrenza. Spagna in marasma, penso, da spogliatoio con ruoli gerarchici che se ne sono andati in malora. La mia idea è che il nucleo storico spagnolo che comanda dentro e fuori, privo di Calderon e Gasol (il vero), sia rimasto col solo Navarro, visto che Reyes per ragioni a me misteriose ha giocato poco e che Raul Lopez ha perso tantissimi posti (giustamente) nelle rotazioni, per cui lo stesso Navarro ha tentato di cantare e portare la croce da solo con esiti pessimi. Rimane poi, ma lo dico solo di sfuggita, perché sembra che sia l'unico argomento che interessi gli appassionati, il malinteso legato a Rubio, play non play, cosa è in effetti Rubio e cosa si vuole da lui, che ha legato a sé le sorti del suo gemello Juventud Rudy, giocatore del quale si è parlato stranamente poco e che è stato in definitiva il vero unico flop degli spagnoli, almeno in rapporto a quanto può dare.

Sparita la Spagna non è rimasto nessuno. L' Argentina è ormai alla frutta e senza Ginobili e Nocioni la generazione d'oro si sta lentamente sfaldando, mentre quelli dietro sono dello stampo dell'Argentina che conoscevo io ai miei tempi, gaucheros strappati alla pampa. La Turchia, con tutto il rispetto e sfrenata ammirazione per Boša Tanjević, creatore di squadre come mai ce ne sono stati, ha sfruttato appieno l'entusiasmo di giocare in casa, il pubblico, clamorosamente gli arbitri nella semifinale, insomma ha ottenuto nettamente di più di quanto la squadra onestamente meritasse ed ovviamente già dall'anno prossimo in Lituania ritornerà nei ranghi. Del resto i giocatori sono sempre quelli ed i miracoli motivazionali non si possono ripetere.

L'unica nota lieta, almeno per me, sono state Lituania e Serbia, cosa che mi ha reso particolarmente felice perché è da tempo che continuo a ringraziarle di esistere per essere rimaste le uniche isole al mondo dove si continua a giocare a basket. Non è questione di campioni o meno: anche i più impronunciabili dei lituani, palesemente giocatori modesti, sono nondimeno giocatori di basket. Quando si vedono giocare serbi e lituani si respira aria fresca, nel senso che ogni azione vorrebbe avere un capo ed una coda, scemenze contingenti a parte, si vede che i giocatori pensano cosa fare, si vede che hanno idee sane, nel senso che la prima loro preoccupazione è quella di rendersi pericolosi. Insomma giocano a basket. Poi ci saranno o meno i campioni, la cosa è ininfluente per il discorso che sto facendo, però vedendo loro ritorna un po' la fiducia che il basket in definitiva possa sopravvivere. Che poi la Lituania, senza Jasikievičius, Kaukenas, Šiškauskas, i gemelli, Petravičius e vari altri giocatori ancora validi almeno come quelli che qui c' erano, sia arrivata al bronzo deve suonare come uno schiaffo morale violento per tutti quanti gli altri.

Preoccupa che fuori dall'Europa, USA a parte ovviamente, il basket sia agonizzante. A parte i rimasti degli argentini, dappertutto altrove si gioca un basket scimmiottato da qualche parte (NBA in primis) senza anima, senza idee, senza peculiarità legate alla cultura, sia sportiva che atletica dei vari popoli. Penosa l'Australia che pure a suo tempo una sua anima ce l'aveva, asiatici ridicoli, africani acerbi, sudamericani inesistenti fuori di Argentina e Brasile (nostalgia: dov'è il Brasile di Wlamir, Dos Passos, Ubiratan, dov'è Oscar?), portoricani spariti nella prima fase, insomma fuori dall'Europa è notte fonda.

Ed infine, altra cosa che mi rende felice, perché è la prova tangibile di quanto detto nei miei punti programmatici che, e lo sapevo, tanta discussione hanno sollevato, perché secondo me dire che il re è nudo non poteva avere altre conseguenze, e che cioè obiettivo primario di ogni squadra di basket deve essere l'attacco. La difesa viene come conseguenza quando l'attacco non funziona. Ripeto: a me pare una constatazione di tipo lapalissiano, ma evidentemente non lo è. Le partite di questo mondiale si sono tutte vinte in attacco: la bombarda di triple dei turchi contro gli sloveni e quella ancora più incredibile dei lituani contro gli argentini ha dimostrato al di là di ogni dubbio che quando i tiri entrano le partite si vincono matematicamente. Per non parlare di Durant ovviamente. Forse l'unica constatazione confortante che si può trarre da questi Mondiali è che il pendolo della storia sta nuovamente andando nella direzione sperata della prevalenza degli attacchi sulle difese, trend che è cominciato agli inizi di questo secolo dopo aver toccato il fondo della direzione opposta proprio negli ultimi anni '90. Chiaro: neanche questo può durare: prima o poi il pendolo, ahimè, inevitabilmente, ritornerà nella direzione opposta come purtroppo anch'io sono a denti stretti costretto a ritenere giusto che sia.