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Scusate il ritardo, ma mi sono preso un periodo di totale relax dopo il tour de force di serate di presentazione del libro e di impegni vari. C’è anche il Giro di cui ho seguito con grande attenzione la prima settimana. Purtroppo ora ho perso molto del mio interesse dopo il ritiro di Evenepoel, in quanto penso che la eventuale vittoria di Roglič, molto probabile in ogni caso essendo il più forte fra i presenti (a meno che prima o poi non si schianti come fa di solito), sarebbe comunque vista come una vittoria un po’ rubata, vista la pompa mediatica allucinante che accompagna il bimbo prodigio belga. Per quanto mi riguarda rimango sempre dell’opinione che in una corsa di tre settimane lui non regga la terza settimana. Cosa ampiamente dimostrata già nella Vuelta dell’anno scorso quando un Roglič a mezzo servizio cominciò nella terza settimana a recuperare i tre minuti di ritardo che aveva prima di schiantarsi in una volata a gruppo ristretto (senza Evenepoel, fra l’altro). E poi volevo vedere come finivano i playoff dell’Eurolega per avere di che parlare e discuterne con voi.

Comunque, first things first. Dopo consulto con la cerchia degli sconvenscioners più fidati mi è stata suggerita la data migliore per il nostro meeting primaverile (sempre che il tempo finalmente metta la testa a posto), che sarebbe sabato 17 giugno. Dite cosa ne pensate. So che non si possono soddisfare tutti, per cui vorrei sentirvi prima di confermare.

Tornando a bomba direi che avete detto quasi tutto voi in merito alla stomachevole vicenda della sfida fra il Real e il Partizan. Sergio Llull è stato sempre uno dei miei giocatori preferiti, ma adesso non lo è più e lo catalogo senza dubbio alcuno nella categoria delle semi-merde umane. Bisogna comunque ammettere che è stato lucido e perfidamente intelligente a fare quello che ha fatto, perché era l’unico metodo per girare le sorti di una serie che per il Real era già andata a escort. Ha scelto l’uomo giusto per fare quello che ha fatto, una cosa ributtante e spregevole, traendone il massimo assoluto possibile. Scatenando una bagarre indecente era solo ovvio che a rimetterci sarebbe stata la squadra con il roster più limitato, cosa che è puntualmente accaduta anche per l’accondiscendenza allucinante della dirigenza dell’Eurolega che è venuta prontamente in soccorso alle traballanti sorti di una società storica, ricca, dunque intrinsecamente odiosamente arrogante,  e protetta al di là di ogni umana decenza, prendendo apertamente le sue parti comminando una ridicola sequenza di provvedimenti disciplinari che hanno totalmente stravolto lo spirito stesso del gioco, non solo, direi anche delle convenzioni umane che prevederebbero che a avere torto sia sempre e comunque quello che ha scatenato gli eventi, soprattutto se lo ha fatto per trarne un evidente vantaggio. Purtroppo il Partizan, nella persona di Punter, è caduto come una pera nella palese provocazione. Penso a cosa avrebbero fatto in una situazione simile un Mirza, un Moka o un Praja: avrebbero riso in faccia a Llull facendogli capire che con loro una tattica simile non attaccava e rendendolo ridicolo di fronte a tutta la platea presente in campo e televisiva che seguiva la partita. In realtà comunque capisco gli americani, per i quali non reagire vuol dire ammettere una propria debolezza secondo tutti i dettami della legge della giungla che vige da quelle parti in ogni poro dei loro comportamenti umani. Qui però siamo in Europa, terra ben più raffinata in tema di rapporti fra persone che sa, o almeno dovrebbe sapere, che certe provocazioni devono essere ignorate, non solo, ma a chi provoca si dovrebbe far subito capire che si è compreso dove voleva andare a parare, per cui è ridicolo e mortificante per l’intelligenza del provocato il solo pensare che possa cascarci.

Basta, per ora non ne voglio più parlare. Sono troppo incazzato come una iena per poter dire cose sensate, non condizionate da quanto sento in questo momento. Parliamo piuttosto di che basket si è visto in questi playoff che sono fra l’altro paralleli agli analoghi certami del circo di oltre oceano. Dico subito che la serie fra l’Olympiacos e il Fenerbahce è stata per me una specie di sorso di acqua fresca e devo dire che, per quanto possibile (c’era, lo devo confessare, in parallelo anche la Champions’ League di calcio – cosa volete farci, come si fa a perdere ManCity contro Real?), ho seguito quanto si poteva seguire. Era tempo infatti che non vedevo basket in TV. Nel senso che vedevo partite di uno strano e incomprensibile gioco, mentre stavolta ho assistito a partite del nobile gioco del basket. Giocato bene o a volte anche piuttosto male, visti i tempi che stiamo vivendo, strapieni di mezzi giocatori dalla tecnica individuale molto approssimativa (il povero Fall dell’Olympiacos fa quasi tenerezza per come non riesce a tenere una palla in mano neanche se gliela consegni via Amazon), ma, vivaddio, era basket. Come sapete io per basket intendo un gioco nel quale riesco a capire cosa fanno in campo e perché lo fanno. Quando quello che fanno è un gioco di squadra nel quale ognuno fa quello che sa fare e non altro, quando i tiri sono buoni, presi al momento giusto e non scagliati alla pene di segugio senza per esempio che ci sia nessuno al rimbalzo d’attacco (per me il primo requisito perché un tiro sia buono è che sia rimbalzabile – se non c’è nessuno dei miei a rimbalzo semplicemente non si tira), quando i cambi seguono un filo logico, eccetera, insomma quando succede tutto quello che dovrebbe succedere in un gioco di squadra, allora quello è basket. Mi ha molto intrigato il fatto che gli allenatori delle due squadre fossero ambedue greci. Con il pepe aggiunto che nella squadra turca sia il coach che il play fossero, oltre che greci, anche figli del Panathinaikos, per cui battere l’Olympiacos era per loro una specie di missione. La cosa mi ha fatto pensare: ci sono gli allenatori serbi (non dimentichiamo che alle Final Four ci sarà comunque un Obradović), quelli greci, c’è Ataman che si può dire quello che si vuole, ma vincere due Euroleghe di fila non è da tutti, anche se quest’anno l’ha bucato, ma può succedere (del resto cosa succede nel profondo delle squadre per cui determinati equilibri a volte saltano non c’è mai dato da sapere), insomma, a parte qualche lodevole eccezione, i migliori coach europei sono sicuramente balcanici. Come mai? Forse perché nei Balcani, e solo lì oltre che nei paesi baltici (Jasikievičius dove lo mettiamo?), hanno una conoscenza profonda del basket che neanche questi tempi decadenti riescono a cancellare? Per me sì, ma metto subito le mani avanti e sottolineo che si tratta di una sensazione a pelle che potrebbe non avere alcun tipo di attinenza con la realtà fattuale.

Tornando alla serie e lasciando stare da parte la filosofia d’accatto la cosa che si può subito dire è che è stata bella per la ragione più ovvia, e cioè è stata estremamente equilibrata fra due squadre che si equivalevano praticamente in ogni aspetto del gioco. Alla fine a decidere è stata, come mi aspettavo, la maturità, la classe e l’esperienza dei senatori. Sapete come la penso: le teorie sulle magnifiche sorti progressive dell’umanità mi hanno fatto sempre ridere (e arrabbiare), in quanto si continua a confondere il progresso della tecnologia con il fantomatico progresso umano che, come dice l’aggettivo stesso, si riferisce all’uomo che invece, in quanto tale, è sempre e comunque lo stesso dalla notte dei tempi, da quando la prima scimmia scesa dall’albero ha preso coscienza di se stessa. E dunque i processi che determinano i suoi comportamenti, i suoi sentimenti, i suoi difetti e i suoi pregi, sono sempre esattamente uguali, per cui fino a che ci sarà l’umanità a decidere saranno sempre la saggezza, l’esperienza, la capacità di comprendere le cose che si fanno. Per emergere bisogna essere insomma più bravi degli altri, in qualsiasi epoca si sia nati, e dunque dire che l’umanità sta migliorando e che una volta erano meno capaci è la bestialità più incomprensibile (almeno per me) che uno non dico possa profferire, ma finanche pensare. Sì, ma oggi sono tutti più atletici rispetto a una volta, si dice. Ammesso e assolutamente non concesso che sia vero (basta ricordare che una volta si sceglievano i giocatori secondo quanto sapevano giocare, e se poi avevano fisico tanto meglio, mentre oggi, per ragioni che non riuscirò mai a capire, la selezione si fa nel modo opposto – per me è lampante che con i metodi moderni sia molto più facile formare un fisico che cambiare una testa), si potrebbe, forzando, dire che i migliori fisici odierni sono il frutto del progresso tecnologico e materiale, nel senso che semplicemente oggi si mangia molto meglio di una volta (e soprattutto quanto e quello che si vuole), per cui si cresce meglio. In definitiva la capacità di nutrirsi bene non è più esclusiva delle classi abbienti di una volta, per cui ci sono più buoni fisici. Il che peraltro non significa affatto che le punte siano superiori a quelle di una volta, sono solo di più. Tutto qua. Il resto non cambia di una virgola. Se poi uno è bravo e può giocare a età anche un po’ più avanzata diventa un’arma letale, aggiungendo alle sue capacità anche la grandissima esperienza maturata in anni di battaglie al vertice. Sì, ma i giovani gli saltano in testa, si dice. E infatti saltano tanto (e normalmente a vuoto su qualsiasi finta) che lui può tranquillamente segnare quando vuole. E dunque mi è sembrato solo normale che nella partita decisiva a decidere siano stati Papanikolaou che ha dato la carica all’inizio e Sloukas che in definitiva è stato quello che ha portato la sua squadra alle Final Four. Della serie la classe non è acqua.

Intermezzo sempre in tema. Può essere un caso che il Real, con tutti gli imbrogli che ha fatto e che sono stati premiati dalle pavide autorità dell’Eurolega, pur tuttavia per vincere gara cinque da meno 18 ha dovuto ricorrere al trio Llull, Chacho e Rudy (110 anni di età complessivi) per ribaltare la partita nel secondo tempo? O, se vogliamo, che negli inguardabili certami paralleli di oltreoceano i campioni uscenti siano stati violentemente sculacciati da uno che va verso i 40? Per me assolutamente no, è semplicemente una serie di prove in più che mi danno ragione su quanto scritto sopra.

Su quanto successo nelle altre due serie c’è ben poco da dire su Barcellona-Žalgiris. Come dicono i tedeschi i catalani erano semplicemente “ein nummer zu gross” (di un numero più grandi), per cui in effetti non c’è stata lotta. Su Monaco-Maccabi ci sarebbe invece molto più da dire, ma ho visto troppo poco di quella serie per farmi un’idea completa. Da quello che ho visto mi verrebbe da dire che la cosa più bizzarra è stata la presentazione della serie che, secondo gli “esperti” avrebbe dovuto essere decisa dalla grande trazione posteriore delle due squadre, ambedue dotate, sempre secondo loro, di guardie devastanti. E in effetti lo sono state, soprattutto quelle del Maccabi che hanno combinato vaccate in quantità industriale, per cui la vittoria del Monaco si può definire come la vittoria di quelli che sono riusciti a limitare le stupidaggini molto meglio rispetto a quanto hanno fatto gli avversari (Katash, che è stato uno straordinario giocatore finché il fisico non lo ha tradito, aveva la faccia ancora più truce rispetto a quella che aveva quando giocava, cosa che reputavo impossibile). Un gran chi-fa-meno (ciapanò, lo chiamano altrove), insomma, nel quale però la vittoria non andava come nel nobile gioco con le carte a chi riusciva a fare meno punti dell’avversario, ma, secondo i normali dettami di un qualsiasi gioco di squadra, a chi ne faceva di più. Ragion per cui ha vinto il Monaco. Anche questa serie mi ha fatto pensare: è mai possibile che la percezione del nostro gioco sia ormai talmente stravolta nell’opinione generale che dire che uno, preso a sé, è forte perché corre, salta e tira? E tutto il resto? La visione di gioco, la capacità di comprendere i momenti della partita nei quali fare una cosa invece di un’altra, oppure la capacità di far rendere al massimo i compagni? Sono tutte cose a cui nessuno guarda più (che sia colpa della sub-cultura del videoclip?), ma che sono invece quelle basiche che permettono di dire se uno è forte o no. Tutto il resto è puro e semplice “pićkin dim”, come dicono i serbi con un modo di dire che è meglio non tradurre. Chi conosce il serbo capirà. Di sfuggita: il Monaco ha fatto il break decisivo in gara cinque mentre Mike James era in panchina a riposare. Capite cosa voglio dire?

Detto di sfuggita che sono molto contento per Jaka Lakovič (ragazzo molto bravo, umile, capace e molto ben educato) e per la sua vittoria in Eurocup, ancora qualche parola sul blog: come vedete scrivo ancora, per cui da questo punto di vista non c’è di che temere (?), Il problema è altrove. Tommaso mi ha spiegato che i tenutari del sito sul quale scrivo stanno facendo cambiamenti (aggiornamenti, come dicono loro, complicazioni perniciose devastanti in realtà), per cui già adesso, resistendo in prima linea e pagando una multa di cinque euro mensili, Tommaso e suo fratello riescono a tenere in piedi il sito secondo quanto siamo abituati. Fino a quando riusciranno a resistere non è dato sapere. Appello: se qualcuno conosce qualcuno del mestiere che possa in qualche modo intervenire, si faccia avanti per favore. Perché nel caso contrario prima o poi il blog sparirà da solo. (Nota dell'amministratore: il problema è che l'attuale plugin dei commenti non è compatibile con PHP 8.0 e con Joomla 4, quindi applicando gli aggiornamenti tutti i commenti finora pubblicati sparirebbero dal sito. Ed è probabile che questi aggiornamenti diventino obbligatori a breve)