Questo sito utilizza cookie tecnici, anche di terze parti. Per ulteriore informazioni sull'utilizzo dei cookie e su come disabilitarli, clicca qui. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando su qualunque suo elemento acconsenti all’uso dei cookie.

Stampa

Ebbene, si! Ci siete riusciti! Ho completamente sbarellato e sono uscito dai gangheri. Leggendo quanto avete scritto sulla qualificazione della Slovenia per i Mondiali, battendo il chiodo sullo straniero preso ad hoc per avere un illecito vantaggio rispetto alla concorrenza, la cosa più gentile che vi ho dedicato è stata: “Vedi un po’ ‘sti maledetti str…i che proprio non vogliono saperne di smettere con questa putt….a! E la Spagna, la grande Spagna, che vince l’Europeo facendo giocare un americano del quale avrebbe potuto fare tranquillamente a meno, o la grande Turchia, che nessuno ha neanche nominato, che va fuori dai Mondiali pur facendo giocare Larkin, turco come io sono indonesiano, e facendo restare a casa Micić per non averlo fra i piedi nel match decisivo? Oppure l’Italia che sbava per avere Banchero che di italiano ha solo il cognome? Ma ‘sti str…i hanno almeno un po’ di pudore?” E, ripeto, questo è stato solo il commento più gentile. I luoghi dove vi ho mandato non sono ovviamente riferibili, perché se no mi togliereste il saluto e non verreste più alle sconvenscion.

Non riesco proprio a capire questa pervicace malvagità, non trovo altre parole, questo continuo accanimento per quanto fa la Slovenia, paese piccolo dalla limitatissima base di praticanti che semplicemente fa quanto fanno tutti quanti gli altri, per me Italia compresa alla grande (lasciate stare i commenti, semplicemente per me lo ius sanguinis è una straordinaria fonte di privilegi assolutamente non meritati da una parte e di straordinarie ingiustizie dall’altra parte – tanto per dire, per me l’Italia ha avuto il suo puntuale straniero in questa finestra con Petruccelli e nessuno mi farà mai cambiare idea), però solo lei non lo può fare, mentre per esempio Spagna, Francia, Croazia, Germania, Grecia, Turchia, anche Montenegro, Georgia, Macedonia, e ovviamente tantissimi altri possono farlo, altri che in realtà non ne avrebbero bisogno? Lofoten: Morgan ha giocato nell’Olimpija. A suo tempo ha accolto con piacere il passaporto sloveno e si è sempre comportato da persona perbene, rispondendo ogni volta con solerzia alle convocazioni per la nazionale ogniqualvolta ne aveva bisogno, anche per le finestre più oscure e stritolate fra impegni vari di ogni genere, per cui non è stato assolutamente gettonato per l’occasione. Fra l’altro la Slovenia avrebbe potuto tranquillamente convocare Omić, arrivato giovanissimo in Slovenia e nazionale sloveno juniores, ma ha preferito Morgan. Se avesse giocato Omić avreste lo stesso spaccato il c…o? Ho paura di sì, i piccoli devono rimanere piccoli e guai se alzano la testa.

Ovviamente tutti voi stalkers del sottoscritto avete sottolineato come Morgan sia stato il miglior marcatore della partita contro la Germania, volendo con ciò alludere al fatto che senza di lui giustamente la Slovenia avrebbe perso. La vostra malafede viene subito a galla, perché ovviamente non avete visto la partita, e neanche i highlight. Se leggete il tabellino alla voce Žiga Samar (nato a Jesenice da genitori sloveni) vedrete segnati 15 punti e 12 assist, i quali sono praticamente i punti fatti da Morgan (con tutti canestri da sotto, dunque assist “veri”). Chi ha vinto senza dubbio la partita è stato lui, che era stato decisivo anche nella partita di tre giorni prima in Israele, quella sì veramente decisiva per la qualificazione avendo battuto una diretta concorrente. Ricordo solo che alla Slovenia, anche se avesse perso contro i tedeschi, sarebbe bastato all’ultima finestra battere o Israele in casa o l’Estonia fuori per passare. Compito non certamente improbo. Un osservatore imparziale e non malevolo avrebbe apprezzato le due grandi prestazioni di una Slovenia totalmente decimata da tutta una serie di assenze con il solo Edo Murić, monumentale capitano in campo e soprattutto fuori, che aveva giocato all’Europeo. E soprattutto avrebbe gioito delle due grandissime prestazioni del succitato Samar, che a mio avviso si sta evolvendo nel diventare uno dei migliori, se non il migliore, play europeo del prossimo decennio, play vero vecchio stampo che del play ha tutto e in più ha 2 metri, il che non guasta certamente, e del 2004 Urban Klavžar che ha avuto un lunghissimo minutaggio segnando anche 9 e 10 punti nelle due partite con canestri decisivi soprattutto nella partita che contava veramente, quella contro Israele. In margine ho avuto anche una mia personale soddisfazione quando ho visto la buona partita fatta da due giocatori che apprezzavo tantissimo quando facevo ancora le telecronache del campionato sloveno, Miha Lapornik e Blaž Mahkovic. Insomma una bella boccata di aria nuova e fresca dopo le nefandezze europee che mi ha rallegrato l’animo finché non ho letto i vostri perfidi commenti.

Un’altra cosa che mi ha stavolta non fatto infuriare, ma allibire, è stato leggere i vostri commenti sull’Italia. Giuro che non so cosa si volesse di più da un’Italia senza praticamente tutti i protagonisti degli Europei. Ha giocato esattamente per quello che poteva e voleva dare e, devo dire, sarò parziale perché conosco da sempre il Poz e so benissimo che è uno che di basket capisce tantissimo, anche se forse in senso istintivo (e dunque genuino senza le vaccate pseudo teoriche che insegnano ai corsi, nei quali fanno tutto perfettamente salvo spiegarti l’unica cosa che conta, e cioè perché e con quale scopo si dovrebbero fare le cose che insegnano – il dubbio atroce è che non lo sappiano neanche loro e che non si siano mai fatti questa fondamentale domanda, che distingue in modo drastico gli intelligenti dagli imbecilli, e cioè: PERCHE’?!), e che sarà sul pazzoide in certi suoi atteggiamenti, ma che è una persona di intelligenza molto sviluppata e sveglia (come dico sempre io: solo i motori che vanno fuori giri possono grippare – quelli che vanno sempre al minimo non grippano mai), che l’Italia del Poz di lei tutto si può dire meno che dia l’impressione che un giocatore vada in campo senza sapere cosa si voglia da lui. E, scusatemi, questa impressione che dà una squadra dopo pochi minuti che la vedi giocare è il fondamento assoluto per decidere se è ben allenata o no. Non ho visto la partita contro la Spagna (quelli che eravate a Mortegliano forse sapete perché), ma ho visto quella contro la Georgia che era fra l’altro nella formazione tipo con in più Šengelija che agli Europei non c’era. L’Italia ha giocato molto bene, attaccando dentro quando lo lasciavano fare con Tessitori che ha dimostrato nuovamente di essere un grandissimo centro a livello internazionale medio (quando il livello sale purtroppo non regge, nel calcio si direbbe giocatore di categoria), e sparando da fuori quando si doveva farlo. Normalmente tiro sempre giù qualche icona celeste quando qualcuno viene morso da tarantole letali e spara tiracci da tre a vanvera senza che nessuno glielo avesse chiesto di farlo (anche se i cronisti poi dicono che era un buon tiro e che era giusto prenderlo e allora le icone cadono a stormi), ma stavolta non mi ricordo di averlo fatto. So che vengo frainteso e che vengo reputato come uno che aborre il tiro da tre, ma non è vero. Nel senso che il tiro esiste e, preso nel modo giusto, è una grande arma tattica (mai però strategica, come nell’NBA, per chi sa distinguere fra i due fondamentali concetti di strategia e tattica) che deve essere usata nel momento e nel modo giusto. Cosa che l’Italia ha fatto quando doveva e ha avuto anche il grande merito di segnare quasi tutti i tiri che ha fatto (nel basket se non segni non puoi vincere, non c’è la nota per l’impressione artistica). Erano tutti comunque ottimi tiri, non come le spingarde a caso che i georgiani hanno imbucato senza merito tecnico alcuno. L’unica cosa che non mi è piaciuta è stata la gestione dei secondi finali. Secondo me c’era in campo un giocatore che mai avrebbe dovuto esserci, ma, essendo da tempo vox clamantis in deserto, preferisco non approfondire. Domanda a latere: Tonut dov’era? E perché è andato a Milano? Da qualsiasi altra parte avrebbe avuto davanti a sé ancora tanti anni di carriera.

Sempre in tema di qualificazioni ho visto anch’io i highlight di Wembanyama. Onestamente è una roba mai vista e sono pronto a scommettere Fort Knox che, se fosse vissuto in un’altra epoca, alla fine della carriera l’avremmo considerato senza dubbio il miglior giocatore della storia. Contro i bosniaci, che pure non sono fisicamente debilitati, sembrava un bravissimo giocatore adulto che giocasse contro bambini del minibasket. Ha esattamente tutto e di più. Peccato solo che sia nato in quest’epoca e che alla fine sarà venduto dall’NBA come il classico fenomeno da baraccone al quale tutto è concesso, che fa vendere tanti biglietti e abbonamenti e che è tanto bello da vedere. Proprio in questi giorni ho letto il libro di Riccardo Pratesi (che presenterò questo sabato a Parenzo – per Bizzotto e suoi accoliti Poreč) dal titolo “NBA Confidential” che traccia un ritratto degli uomini franchigia dell’NBA inserendoli nel contesto circense nel quale si muovono e di conseguenza di come si comportano. L’impressione tristissima che ne ho riportato mi fa pensare che purtroppo il talento di Wembanyama verrà totalmente dissipato e dilapidato, anche se probabilmente metterà insieme numeri da capogiro, numeri che, ormai lo sappiamo, hanno l’importanza del “pićkin dim” (Edoardo, per favore non tradurre!). Nell’NBA le stelle hanno il diritto di fare in campo quello che vogliono, tanto la squadra gira attorno a loro, per cui del tutto a caso giocano in un’azione da play, in un’altra da ala grande, in un’altra ancora si mettono a giocare sotto, poi prende loro la fregola di tirare sempre e comunque, e tutto ciò succede mentre gli altri quattro devono adeguarsi all’ “ispirazione” momentanea del fenomeno, cosa che ovviamente non riesce quasi mai, visto che non sono capaci di leggere nel pensiero e di prevedere il futuro. La mente mi va a Toni Kukoč. Giocatore sublime capace di giocare in tutti i ruoli che esistono nel basket, che però normalmente non giocava in quintetto, ma usciva dalla panchina per riempire il ruolo nel quale la sua squadra stava soffrendo maggiormente. Lui arrivava, si calava nel ruolo e lo svolgeva nel modo migliore che si potesse pensare. A differenza però degli anarchici fenomeni NBA, in quel ruolo rimaneva e non invadeva il campo dei suoi compagni, salvo poi cambiare ruolo quando la situazione lo richiedeva, e di nuovo gli altri rimanevano al loro posto a fare le cose che sapevano fare meglio. Ecco, questo è quello che si dovrebbe intendere quando si parla di giocatori dalle molte dimensioni. Sì, ma una alla volta.

Per associazione di pensiero con quanto appena detto la mente va subito a Milano, almeno quella vista contro la Virtus. Nel primo quarto ha giocato da squadra ed era avanti, poi ognuno è andato per conto suo, non si riusciva proprio mai a capire quale fosse la loro idea in attacco e sono andati alla deriva. Non riesco a pensare che la colpa sia stata della panchina, anche perché il marasma era tale che si vedeva dallo spazio, per cui l’idea che mi sono fatto è che Milano sia la classica squadra moderna dove ognuno dovrebbe fare di tutto, senza saper fare niente veramente bene, e soprattutto ha, nella mia mentalità passatista, la totale assenza del classico asse di ogni squadra di basket, quella play-pivot. Ha un grande pivot di bassa statura e tre quarti età (Hines, ovviamente), ma i pivot veri non ci sono (Davies potrebbe esserlo, ma dovrebbe essere fortemente inquadrato e non lasciato alla mercé degli eventi – la sua lettura delle invenzioni estemporanee dei compagni è molto carente) e soprattutto non esiste play, da quando se ne sono andati prima il Cincia e poi il Chacho. Pangos preso come play? Vogliamo ridere o piangere? Tonut, tanto per dire, in quel ruolo sarebbe peggio? Non sembra possibile.

Finiamo in modo più allegro. Allora, intanto va bene per sabato 17/12. Chi ci sarà, ci sarà. Spero proprio che ci divertiremo come al solito. E, proprio per finire, un aneddoto raccontatomi recentemente da Boša su come si usava in Jugoslavia protestare contro gli arbitri. Poz, impara! Allora: partita Partizan-Rabotnički, la squadra allenata dal vulcanico Lazar Lečić, quello del cambiamento di lineamenti e maglia al suo centro uscito per falli che racconto nel libro. Arbitri clamorosamente pro Partizan. Lečić non batte ciglio e chiama minuto. Al rientro in campo le sue due guardie vanno in pressing sugli arbitri seguendoli metro per metro. Il mitico Josip Farčić rimane solo e segna facilmente da sotto. Alle rimostranze dei suoi dirigenti Lečić risponde in modo che lo senta tutto il palazzetto: “Sono in sette e noi solo in cinque! Non posso marcarli tutti!”